mercoledì 10 febbraio 2010

Necessità della vita dell'opera

Potrebbero essere portati in luce e dunque mossi due dilemmi sul rapporto dell'autore di manuali di storia dell'arte e quindi con le fonti - ma prima di curare il dilemma, la ferita esistenziale che si è creata - occorre fare luce sull'esistenza di un metodo di ricerca storica e critica-estetica fondante le proprie epistèmes. Il problema è l'approccio deduttivo ed intuitivo, non solo induttivo dell'insegnamento: fare storia dell'arte come metodo di insegnamento e non meramente restituirla, se al di sotto della superficie emerge lo sconcerto, l'omissione, il dubbio ma poi rielaborazione creativa per tutti. Setaccio filosofico del totalitarismo che nuoce a qualunque idea di libertà di ricerca: togliersi quel sasso dalla scarpa! Due guerre mondiali non sono una scaramuccia - sono concezioni del mondo fatte a pezzi o destituite o universali mancati, non letti, non considerati - la critica fondandosi sulla "mancanza" non può che essere necessaria. Dunque al contrario di certe voci negazionistiche omissive, mi porrei sul lato intersoggettivo dell'espressione, della dignità storica - dei travisamenti - e vorrei anche le cause dei travisamenti, se non è esporsi, sporgersi, descrivere oltre modo e troppo dalla finestra limitata del nostro tempo. Come ogni utopia si realizza su ciò che deve essere ricostruito per essere visto nell'insieme, l'omissione, ha una parvenza divergente, di mantenimento della rottura invece che di curatela.

> storia dell'arte come metodologia scientifica: pensiamo all'Argan filosofico che mette a confronto e discute le opere ed i movimenti sottoponendoli al giudizio scientifico-filosofico e quindi storico - è un metodo abbastanza ineccepibile che fa rivivere l'opera nel suo sistema con un margine di teologia abbastanza largo, quasi filologicamente prossimo ad una legge - a dichiarare una regola del dire, del lasciar discorrere l'opera.

> storia dell'arte come metodologia critica mira a riflettere ciò che è soggiacente a un dominio autoriale e poetico: necessità del commento, del confronto assiologico, del giudizio storico e richiede un ulteriore intreccio intersoggettivo o una metodologia più raffinata e professionale (insomma sapere cosa si dice almeno e cosa si traduce, quali strumenti vengono trasposti letteralmente).

Quest'ultima posizione ha aperto la terza più sfumata:

> necessità della critica storico-artistica come metodo epistemologico che riflette sull'estetica.

E due piani di lavorazione del discorso sulla Visione del mondo

> piano sintagmatico gestito sull'asse della sincronia | dialogo con l'opera e le sue finalità ristrette all'opera d'arte e al suo contenuto, la cui forma può essere l'impronta dello spirito, di un Io collettivo, di una ricerca selezionata di materie e strumenti, che costituisce il luogo della diffusione dell'opera, il suo tòpos analitico.

> piano paradigmatico e diacronico che implichi la durata del confronto possibile, individui la partizione come sua strumentazione paradgmatica, ponga la possibilità della posizione certa, storica e consustanziale o l'eventuale euristica, sia cogente nella trasversalità scientifica tra paradigmi (come quando si parla di Maxwell e poi si discute non più solo sullo spazio curvo, ma sulla qualità del tempo).

Ambedue necessitano della retorica quale buona forma di descrizione, spiegazione, informazione controllata o approfondita che sia e dunque dell'analisi: sarebbe trasmissione e informazione - due teorie che hanno dei modelli ormai noti, ma anche integrabili, con il ragionamento, sui casi.

I piani della ricerca sono sempre il primo e l'ultimo [Enciclopedia Universale Einaudi - voce "ricerca"] - prodromie - il fondamento e l'attività dello spirito - lo dobbiamo all'idea crociana della filosofia, ma il canone è probabilmente dato dall'architettura antropologica sistematizzata dalla Grecia classica ed ellenistica e poi emblematicamente dalla forma assunta dal Pantheon Romano, ma ha un che di antropologico, di indiscutibile e lo prova l'aderenza a forme semplici e complesse, al piano stesso del discorso pensato come fondamento, all'idea di un diritto laico o religioso che sia, come finalità dello sviluppo umano naturale; ma sembra non sia stata dismessa: non come dice Goethe, l'essere umano cola nella sua forma, ma sotto un'altra impressione o relazione costitutiva, lo spirito cola nella sua forma. Una po' l'epistemologia dell'envelope. L'esempio che mi è ventuo in mente è l'uomo di Boccioni o l'opera scultorea di Bartolini - un certo realismo che rimette al centro l'essere umano e un certo Futurismo che problematizza le proprie funzioni dello spirito: la creatività prima delle altre. Ma è anche territorio in senso esteso - globo - rispetto della natura, etc. Punti di vista. L'oggetto del discorso è sia l'esistenza immanente presupposta dell'opera, che operi sulla necessità di ex-perire: non soffrire, ma motivare la necessità di vivere, dischiudendo il colloquio con il nous, il dialogo.

I giudizi riflettenti sono di due tipi: estetica e teologia. Potrebbero proprorre una sintesi, una via non alternativa ma complessa dell'esistere del fenomeno e della creatività posta come intelligenza: l'accettazione della necessità umana di fronte al bene e al male come trionfo della vita e del bene accanto al trionfo dello spirito sull'essere incerto e parziale che sia.

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Il concetto di ferita, dovrebbe provenire dall'esistenzialismo francese, ma sembra che stiamo ripercorrendo il problema data la penuria di omissioni critiche dei manuali che risultano abbastanza costruite, mosse da un disimpegno: la storia umana può avere nelle sue forme di governo i seguenti problemi di condivisione dello sviluppo e che ne è di vedere il cielo in un'altro modo, o sotto la superficie, qualcosa di diverso che ricompone il segno:

a. il ricercatore, l'opera, l'oggetto, non entra in contatto con la legge nelle sue forme più esplicite, resta all'ombra di grandi nomi, di movimenti, non arriva: non viene insomma trasmessa;
b. le tesi che potrebbero rigenerare, restaurare un punto di vista, ricomporre la storia vengono omesse, ri-tardate;
c. il passo indietro dell'autore, nonostante non sia concepibile come voce unica della critica, deve poter essere commentabile in virtù della necessità ridischiudendo liberamente le fonti.

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