domenica 19 dicembre 2010

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Lo spazio visivo nell’Arte come forma di Significazione

   saggio di ricostruzione storico artistica | la categoria dello spazio come categoria interculturale e multiculturale

[Ogni parte di questo scritto è da considerarsi unitaria al suo significato e quindi si prega di rispettarne il diritto d'autore e la scientificità].

I. Prima di Picasso cos’è lo spazio?
Primo schema: cubo, «cubatura».
Lo spazio, prima di Picasso, malgrado la rivoluzionante ricerca di Cézanne, è inteso quale una camera ottica. Da questo punto di vista lo spazio è inteso come valore chiuso, i cui limini devono essere solo ed esclusivamente ritagliati dall’interno, come in un iglu, in cui per diverse ragioni ci si protegge, ma anche uno spazio articolato dal punto di vista semantico, ha queste proprietà: si pensi alla pagina di un libro cui deleghiamo il nostro diritto alla cultura, essa appare «inibente», sia dal punto di vista di quanto ritaglia come ciò che è «esterno», sia come ciò che risulta non costruito, e quindi non strutturato, fin quando non rinvia all’oralità attraverso le forme del discorso. Una posizione interculturale rigida richiede una codifica molto lunga, per il fruitore: un codice si aprirebbe (nei sistemi autoritari ed indifferenti alla novità, oltre che omologanti rispetto al valore) solo a certe condizioni decise da un unico punto di vista, solitamente quello totalitarista. Una concezione ritenuta ingenua, può essere vista con sospetto e quindi tale sistema si dota di apparati educativi più che di scuole. Anche se manifesta contestualmente proprietà necessarie al testo, alla sua tenuta, cela la paura di aprirsi troppo e perdere la propria unità.

II. Con Pablo Picasso e il Cubismo nelle Arti Visive la vista si struttura (dividendosi e componendosi) in modo interdipendente all’oggetto osservato, nella consapevolezza dell’indeterminazione delle sue angolazioni.
Secondo schema: proiezione trimetrica (le cui direzioni sono misurate in modo indipendente e danno esito ad angolazioni diverse relativamente al piano di proiezione) con intersezione di rette e linee di forza.
Ciò ha permesso di comprendere che il punto di vista può essere inglobante (inclusivo in modo discriminante): lo spazio è visto e percepito quindi dall’interno, ed i limiti sono marcati anche se “aperti”. In tal caso lo spazio se inteso alla stregua di un concetto e quindi metaforicamente, risponde ad una funzione sociale, di costituzione degli oggetti e dei concetti. Argenton, riguardo, ai tipi di arte che nascono con questa funzione, osserva: essa «accoglie in sé numerose e ampie, spesso compresenti, funzioni sott’ordinate a carattere unitario – ludiche, magiche, religiose, etiche, politiche ecc. – a loro volta articolabili e specificabili ulteriormente in rapporto agli usi particolari che dell’arte possono essere fatti (…). Un esempio, a mio parere eccellente per illustrare questa complessa e articolata funzione, è quel movimento politico-sociale che passa sotto la denominazione di “iconoclastia”, il quale è collegato a una certa produzione artistica di un determinato periodo della storia d’Oriente e d’Occidente» (Argenton, 1996, p. 219). Questi aspetti costituiscono il significato dello spazio visivo: «un campo le cui forze sono organizzate in un insieme autosufficiente ed equilibrato e nel quale le componenti interagiscono in tale misura che mutamenti nell’insieme influenzano la natura delle varie parti, e viceversa». (cit. a partire da: Rudolf Arnheim, Il potere del centro, Torino, Einaudi, 1982, p. 271). Per «forze», aggiunge Alberto Argenton in Arte e cognizione, non si dovrebbe soltanto intendere le forze fisiche del mondo fisico, concreto, ma specialmente le forze di tipo percettivo, generate dalla configurazione stessa del campo, dalle qualità della struttura e che possono essere colte in modo organizzato, nel loro relazionarsi, costituendo, in quanto dato percettivo, un fenomeno di carattere universale la cui esperienza è di tipo valorizzante. Ritorniamo così a Picasso: per l’artista, la composizione genera a sua volta linee, colori, note e parole, che stanno a possibili significati, rappresentazioni mentali (la vera vocazione dell’opera d’arte consiste per l’appunto nella sua funzione rappresentativa), pur appartenendo a quel mondo fisico e percepito che conosciamo tuttavia come composizione (vedi Appendice). Le strutture economiche sono fortemente centralizzanti e dipendenti; una visione interculturale di tal sorta può anche disconoscere le influenze sociali se non è consapevole del tradursi degli spazi in «azioni». Il Cubismo ha offerto uno sguardo privilegiato a tutto ciò che appare come «primitivo» proprio perché altamente strutturato e coeso in un insieme saldamente ancorato sia al mito che alla figurazione: gli oggetti rappresentati sono analoghi dei testi e possiedono in tal senso una propria individualità; il visivo dunque esprime un accesso al reale non dato per scontato. Ancor più che in altri periodi storici, il Cubismo ha saputo fare delle competenze eidetiche (relative allo spazio) e cromatiche (colore) dell’artista un vero principio promotore dello sviluppo del linguaggio compositivo. I testi sono dotati di una sorta di poli-visività in cui sono traslati in modo concreto e dinamico accanto ad altri linguaggi testuali di tipo simbolico.

III. Questa diversa modalità di concezione dello spazio interdipendente favorisce la pluralità del punto di vista.
Terzo schema: intersezioni di piani, proiezione trimetrica con linee di forza ortocentriche: verso l’interno dello spazio.
Oltre l’appunto storico della storia della lettura (Chartier-Cavallo ne tracciano una tutta Occidentale), per quanto concerne l’ambiente testuale inteso come «luogo», possiamo pensare il diritto alla cultura con la sua delega al libro e ad ogni artefatto comunicativo presente nel continuo del tessuto urbano, compresa la presenza di testi “altri” (artefatti comunicativi, salienti) che costituiscono emblematicamente dei punti di riferimento nella mappa in quanto “ambiente” (Barbieri, 1991; Giovanni Anceschi,Monogrammi e figure, Firenze, Usher, 1981; Tarozzi, 1998). Il punto di vista è inglobato ma anche esterno: lo spazio è multicentrato a favore di metriche interattive, e percepito anche dall’esterno secondo le funzioni di un fruitore che interagisce in modo interdipendente. I limiti sono marcati dai soggetti e dalle strutture secondo le norme. Il rischio potrebbe essere di creare una periferia  “estranea”, mentre l’aspetto innovativo, invece, è una periferia ad «area comunicante» come nella mappa dell’underground di una città come Londra o Parigi con le proprie articolazioni interdipendenti. Il modello è pensabile a «province» di significato. Questa diversa visione dello spazio, a livello semantico, può favorire una maggiore consapevolezza del punto di vista dell’altro, di colui che riporta, registra, contribuisce a manifestare una diversa esperienza e si adatta secondo il legittimo consenso. Dal punto di vista interpretativo, la struttura potrebbe essere intessuta di informazioni circa lo statuto delle funzioni secondo questa multi-articolazione del punto di vista (scuola di Mak Halliday e di Alberto Argenton), e dando legittimazione ed autonomia nell’utilizzo delle risorse a seconda degli scopi, non senza la possibilità del confronto e dell’incontro più generalizzato. Dal punto di vista psico-sociologico, potrebbe essere intesa come una struttura a rete, ma in realtà è esattamente una visione a clues: ciò che soddisfa la scelta, è la possibilità di effettuare liberamente indagini comparative su campioni coinvolti nell’ambito decisionale e svolgere alcune attività come il riconoscimento non in modo distaccato dalla visione generale dell’opera e invece connesso alla sua funzione referenziale: «intendendo qualificare con questo attributo la funzione che l’opera artistica può svolgere proprio per il fatto di configurarsi come un oggetto, un “referente inventato”, e che consente di attribuirle un significato diverso dal, o che va oltre il, significato rappresentativo che le è proprio» (Argenton, 1996, p. 223): innestandosi in quelle che successivamente chiamiamovalorizzazioni emotive ed affettive dello spazio semantico. Forse in questo modo i testi e i macrotesti delle strutture, possono essere disegnati con maggiore capacità e possibilità di contribuire alla fruizione delle direzioni di sensoInoltre, questa diversa modalità di concezione dello spazio,  a livello testuale potrebbe favorire una maggiore compresenza di strutture nella realizzazione di una mappa degli «spazi» e  dei «luoghi», concretamente vissuti e vivibili, secondo, ora  coordinate soggettive ed ora coordinate intersoggettive, che pongono il fruitore al riparo da discriminazioni periferiche e ghettizzate inibenti. Essa potrebbe mirare consapevolmente a avere una concezione modulata dell’equità secondo uno stile attributivo trasparente, che coglie aspetti democratici del vissuto accanto alle valorizzazioni di prossemica (relazioni di vicinanza e distanza tra soggetti e oggetti, compresi gli oggetti di valore) di tipo partecipativo, le cui possibilità di interazione e il relativo successo nell’integrazione, dipendono dall’effettiva possibilità di adesione e discussione. Il punto di vista interculturale, quindi, dovrebbe poter essere comunicabile anche quando minoritario secondo valenze  che vi sono inscritte, e non svuotato di legittimità perché eventualmente “periferico”. Le nuove megalopoli basate sulla centralità dei servizi maggioritari, ricompone il silenzio “apparente” delle periferie. In realtà, per noi che osserviamo questi comportamenti attraverso degli assunti, occorre immettere un innesto generazionale e cercare di cogliere cosa accomuna le varie generazioni di strumenti e servizi e di soggetti coinvolti nella ricezione (pertanto sembra imprescindibile la lettura della Storia dell’Arte di Einrich Wöllflin proprio per le caratteristiche generali dell’opera d’arte). In ambito sociale, le funzioni amministrative civili dovrebbero essere fruibili in modo archivistico sempre per meglio favorire il confronto e il linkdiacronico trasparente.

IV. A lungo la semiotica generativa e quindi l’ermeneutica fenomenologica (incontratesi tra Merleau-Ponty, Lévi-Strauss e Propp, Greimas, e altri) per certe esigenze etnometodologiche (relative ai modelli di riferimento) si sono mosse attorno alle categorie dell’intersoggettività
Quarto schema: più spazi ad intersezione – polimetrica o interattiva; le linee di forza sono convergenti ma anche gerarchizzate e topologiche nell’insieme.
Con le motivazioni che possono compensare certe apparenti rigidità di una visione astratta della relazione primaria di soggetto - oggetto (Harrison Hall, “Intentionality and world: Division I of Being and Time”, in The Cambridle Companion to HEIDEGGER, pp.122). L’intenzionalità può essere intesa come ragione per la quale si da invenzione, (Baxandall, 2000) come apertura del «codice» allo spazio del valore in termini «partecipativi» (Zinna, 1991). In La svolta semiotica, (Fabbri, 1998, pp. 31-63) Paolo Fabbri, parla altresì del regolo temporale in termini di phorie, di “consonanza” e di “discorso” possibile tra eventi che ci aspettiamo (o come direbbe Heidegger, perché possono fare tutti) ma che diamo per scontati in temini anaforici o cataforici (di riferimento al passato, o di uno sguardo al futuro, alle direzioni che prendiamo) a seconda che queste azioni abbiano delle confluenze nella ridistribuzione dei concetti in senso attributivo, oppure in senso previsionale e quindi inferenziale (”se hai continuato a fare così, sarà perché ne avrai avuto delle ragioni”). Si tratta forse di un nuovo spazio maggiormente permeabile delle motivazioni e degli aspetti (o degli effetti) culturali intersoggettivi che risiedono nell’«aurea» della riproducibilità di un “portamento” degli oggetti culturali umanizzati perché condivisi (Zilberberg, 1999); ma non solo di un nuovo spazio maggiormente permeabile delle motivazioni e degli aspetti (o degli effetti) culturali intersoggettivi ma anche di una nuova visione degli oggetti in termini emotivi ed affettivi.


V. Appendice: Guernica)
Quinto schema: l’interattività, pone una questione di stile interculturale, a livello didattico favorisce l’emergenza delle passioni, la loro interazione e interdefinizione; la categoria di persona, comincia ad essere preminente rispetto a quella testuale di soggetto.
Visione che ingloba lo statuto del soggetto e quello degli effetti di valorizzazione attribuiti agli oggetti secondo una modulazione possibile del linguaggio stesso che utilizziamo per famigliarizzarci: Walter Benjamin riportato da Claude Zilberberg per innumerevoli ragioni che contribuiscono a proporre in modo diversificato, ma non di meno coeso, il tema della civiltà degli oggetti culturali, per i quali forse potremmo ricordare il contributo ben più corposo di Kenneth Klark, Civilization; ma è in Immagini di città dove Benjamin riflette sulla città come visitata e vissuta in modo assai disomogeneo e legittimo. Da un lato c’è colui che vi risiede e traslando sul discorso gli oggetti che lo caratterizzano, sono le caratteristiche ad essere in questo caso intrinseche, le proprietà che esso porta con sé; ma è nel fare questo che vede una diacronia ed una sincronia relazionali, più spesso interattive, attraverso le quali costruisce il suo senso del luogo: sulla sublimazione di ciò che non può, magari perché non ne ha il tempo, il residente, fare, ma che a seconda dell’interazione con l’Altro, concede o non permette che sia svolto. Dall’altro c’è il turista, aduso ad un punto di vista distaccato ed estatico, quasi asintotico nel suo far rivivere certe potenzialità, il quale consapevole di dover aderire ad un certo bon ton, tuttavia innesta un saper vivere basato su tratti esistenziali più «deboli», un vero libero gioco, tra combinazioni e letture che si dovrebbe osservare come mediazione interculturale in atto: ora appaiono da una griglia estetica valorizzante (J.-M. Floch, in Semprini, 1990; Zinna, Zilberberg, in Fontanille, 1998). Assi valorizzanti nella scuola, con una particolare attenzione alle modalità in gioco, saranno: 1. le opportunità formative; 2. i soggetti interessati a proporle; 3. gli orari rispetto alla didattica; 4. gli spazi adibiti; 5. la partecipazione. Ho parafrasato il testo (Giusti, p. 53), ma ho “realizzato” che senza l’attenzione all’ambito interattivo tra momenti istituzionali e non della scuola, il problema della didattica interculturale rischia di essere nuovamente risolto come attività «esterna» al curricolo, con i relativi rischi successivi di intolleranza.


Appendice illustrativa
Pablo Picasso, Fabbrica a Horta de Ebro,  1909.
Olio su tela, cm 53 x 60, San Pitroburgo, the State Hermitage Museum.
Pablo Picasso, Tre musici,  1921.
Olio su tela, cm 197 x 185, Filadelfia, Museum of Art, L. and W. Arensberg Collection.
Pablo Picasso, Guernica,  1937.
Olio su tela, cm 351 x 782, Madrid, Museo del Prado, Cason del Buen Retiro.

Bibliografia ragionata per usi didattici
Discussione e riflessioni sulle funzioni dello spazio semantico
Argenton, Alberto
1996        Arte e cognizione, Introduzione alla psicologia dell’arte, Milano, Raffaello Cortina Editore, (Prima edizione).
Latour, Bruno
1999  “Piccola filosofia dell’enunciazione”, in Eloquio del senso. Dialoghi semiotici per Paolo Fabbri, Milano, Costa & Nolan, pp.71-99.
Barbieri, Daniele
1991  “Il racconto”, in I linguaggi del fumetto,  Milano, Bompiani, pp.203-212.
Baxandall, Michael
2000 Forme dell’intenzione. Sulla spiegazione storica delle opere d’arte. Torino, Einaudi (txt. orig. Patterns of Intention, Yale University Press,1985).
Clark, Kenneth
1969  Civilization. A personal view. London, British Broadcasting Corporation.
Fabbri, Paolo
1998 La svolta semiotica, Bari, Laterza.
Floch, Jean-Marie.
1990 “Semiotica plastica e comunicazione pubblicitaria”, in Lo sguardo semiotico, Milano, Franco Angeli, pp. 37-77.
Giusti, Mariangela
1995   L’educazione interculturale nella scuola di base, Firenze, La Nuova Italia.
Hall, Harrison
1993 “Intentionality and world: Division I of Being and Time” in The Cambridge Companion to HEIDEGGER, Usa, Cambridge University Press, pp.122-140.
Marsciani, Francesco e Zinna, Alessandro
1991 “Gli oggetti di valore” in Elementi di semiotica generativa. Processi e sistemi della significazione. Bologna, Esculapio, pp.77-82.
Tarozzi, Massimigliano
1998  La mediazione educativa. Mediatori culturali” tra uguaglianza e differenza, Bologna, Clueb.
Zilberberg, Claude
2000  De l’humanité de l‘objet. (À propos de Walter Benjamin). In VISIO, v. 4, n. 3 autunno 1999 - inverno 2000, pp. 89-117. Www.fl.ulaval.ca/hst/visio

Discussione storico – letteraria
(alcune informazioni incomplete dovute a letture sparse a carattere universitario: si prega di scusare chi scrive, verranno al più presto fatte ricapitolare in una bibliografia coestensiva)
Benjamin, Walter
1971  Immagini di città. Torino, Einaudi.
Bellosi, L.
....  “La rappresentazione dello spazio pittorico”, in Storia dell’arte italiana, v. IV, Torino, Einaudi, pp. 5-39.
Ferretti, Massimo
1986  “Casamenti seu prospettive”. Le città degli intarsiatori, in C. De Seta, M. Ferretti, A. Tenenti, Imago Urbis. Dalla città reale alla città ideale, Milano, Franco Maria Ricci, pp.73-104.
Guidoni, Enrico
1989  “Firenze capitale occidentale” in Storia dell’urbanistica. Il Duecento, Bari, Laterza, pp. 134-173.
Longhi, Roberto
1951  “Giotto spazioso”, in Giudizio sul Duecento e ricerche sul Trecento nell’Italia centrale, (v. VII delle Opere complete), Firenze 1974, pp.59-64. e in Paragone, Anno III, n. 31, Luglio 1952.
Montagnani, Cristina
1990  “Fra mito e magia: le Ambages dei cavalieri boiardeschi”, in Rivista di Letteratura Italiana (tit. Riv. incerto), n. VIII, pp.261-285.
Renouard, Yves
1975 Le città italiane dal X al XIV secolo, Milano, Rizzoli, v. I, pp. 7-17.
Zancan Marina
....  “Le città invisibili di italo Calvino”, Einaudi Letteratura, pp.875-929.
Zatti, S. L’uniforme cristiano e il multiforme pagano. Saggio sulla Gerusalemme Liberata. Milano, Il Saggiatore. Cap. III, pp.91-144.