sabato 15 novembre 2008

jazz al MART di Rovereto

Il jazz è tutto: incisione psicogrammatica, sguardo sulla nuova città, pittogramma sonoro

Se si guarda con attenzione alcune cose davvero buffe vengono dalla BNF. Il suo umilissimo, ma grande, repertorio di storia delle voci ci riporta alle copertine delle riviste di musica Irrockutible: se non mancate di guardarvi quelle relative al Jazz e la filarmonica, vi accorgerete che questa musica suona sulla città, la vivifica e la rende vivida al suo interno, la dipinge e le restituisce un abito che conquista le pieghe del genio facendosi classica.

C'è di tutto, dalla grafica alla pittura che sa ancora di spartito sperimentale, dall'imposizione di un atteggiamento enfant prodige al culto letterario. E non è un caso che il jazz sia stato irresistibile per la prima street style: l'orchestra dell'uomo della strada, il linguaggio diretto e disinteressato della sperimentazione e il tip tap.

La pittura è calda, come il cinema e la poesia unisce il glamour di una certa mania del possibile con la sobrietà della prof. di lettere che cerca di attualizzare gli strumenti per leggere la letteratura del dopoguerra. Non poteva non nascere in USA dove si cercavano i colori nuovi dell'esistenzialismo. La motivazione forse è più quella della parole sartriana che dello straniero alla Camus - che il jazz dica "si-si", non so, certo dice "bi-bop"!

semiotica e mente - connubio possibilista

Alcuni spunti per questa riflessione vengono direttamente da un bellissimo numero di VISIO, volume 4 numero 3 autunno-inverno 1999-2000, intitolato ad uno specifico che interessa sia la scrittura che la percezione che abbiamo dell'opera - insomma tra storia e conoscenza: Contruire l'histoire de l'art au 19e et 20e siècle. Gli articoli di fondo sono ben nutriti, dal taccuino storico culturale dell'artista, alla fondazione del museo. Ma a ben guardare è un articolo ben meno evocativo che tocca la questione: Andrew W. Quinn, Représentatio, perception et questions d'ontologie: anthropologie culturelle et cognitive. La bibliografia è certo corposa. Le riflessioni tra congnitivismo e filosofia colgono il segno: la stratificazione. Certo c'è da dire che qualche anno fa, Eco ci ha detto che la considerazione sul continuo categoriale era stata studiata da Peirce in termini di percezione del colore, ma anche come cognizione. E non è un caso che nel suo medello lo troviamo come disegno-continuo-categoriale. Non c'è incompatibilità tra l'idea di laboratorio dell'immaginario e conoscenza sensibile e a ben guardare l'affinamento della dinamica della definizione dell'oggetto.
Poi ho ripreso un articolo che ho trovato tempo fa sul web sulle mappe mentali e architettura e non ho potuto fare a meno di cercare un modello storico culturale a questa ontologia - non nel cubicola romano o cristiano ma nello 'studiolo' - esempio di fusione di stili. Ci sarebbero molti esempi, e tutti proficui, ma l'esempio più curioso dovrebbe avere delle caratteristiche che veramente testano l'abilità cognitiva del soggetto. Non vi dico qual'è - ci sto lavorando. Fra un annetto lo saprete in tutta la sua bellezza: ho l'impressione che nel sistema delle passioni una posizione di indubbio colore e calore affettivo per qualcuno, possano avere certe "stanze" vuoi metriche poetiche, vuoi riassunto sintetico di suoni e immagerie fantastiche come nel Boiardo, vuoi perfezione angolare e cinematografia scenica come nell'Ariosto, ma se qualcuno ben ricorda tutti questi autori hanno a che fare con una delle problematiche maggiori della cognizione: il ruolo delle passioni nell'elaborazione creativa [c'è chi gioca, chi critica e basta, chi assume atteggiamenti pratici e domanda, chi utopicamente instaura un valore non plus ultra, dice J.-M. Floch e se ben guardiamo a scuola c'è spazio per un utente indifferente, uno scostante, uno ludico, e qualcuno che polemicamente ricorre di continuo alla pars destruens - certo un bel da-fare].

Ci siamo vicini, alla fondazione di quella che qui chiamano relazione motrice intrinseca o qualcosa del genere - dov'è la scatola degli altrezzi dei nostri amici della mente e del cervello (tracce o impronte che siano)? Io provo a dire nell'immagine, nella sua rappresentazione come summa ecologica e mnemotecnica ben formata - questa si è movimento da una passione, da un campo all'altro senza bieche sovrapposizioni ma con un continuo feed back dimostrato dalla ripresa del discorso dell'altro - integrzione dei laboratori, noi diremmo, nei confronti di una capacità creativa appresa, magari in termini di rapporti tra scienze. OGGI, ma spero ben oltre il quotidiano, anche nell'hobby, preferisco vedermi come una persona che si mette dalla parte di chi li strumenti li rinnova e li innova, che crea dimensioni valutative piene, che cerca la socialità e non rifugge anche uno spazio on once own - se necessario - purché questo, come nell'esecuzione di un compito, sia possibile e agibile da tutti. La prima persona che troviamo con la borsa degli atrezzi in mano che va per campi è dipinta nell'affresco del Palazzo Pubblico di Siena, Ambrogio Lorenzetti - Il Buon Governo. Quando tutti gli elementi si sovappongono, [simulazione, leggibilità, interpretazione, significazione | ispezione, generazione, trasformazione, rigenerazione] la persona apre finalmente la porta e si trova a cospetto della natura, finalmente, da un punto di vista maturo e corretto, nel rapporto tra macro linguaggio naturale e macro linguaggio della natura (mi basti citale L'oeil et l'esprit di Maurice Merlau Ponty forse per allineare il corrispettivo Rosslyniano - quest'ultimo che non conosco ancora bene - ma sono curiosa) in senso pieno e solo alla condizione della struttura ben formata, scatta qualcosa: un attenzione che diviene comprensione della natura e dell'arte al tempo stesso che costituice l'inizio del senso del genio del '400 e poi non finisce più di doversi confrontare con un umanesimo di ritorno (Nelson Goodman included).

Vorrei portare questo sistema, se così si può definirlo, che non so se chiamare competenza latente e funzionale o trasversale o meglio costruttiva, per il festival dell'associazione internazione di semiotica. Certo sono curiosa se posso leggere di più le cose di Mahon e quelle di Quinn, di Jackerson e di Rosslyn. Ma non ho la pretesa di riucire a dire tutto e poi riguardarmi le mie e quelle della semiotica dell'arte e del visivo, della linguistica alla Jakobson piuttosto che della traduzione intersemiotica, della semiotica alla Eco. Ho solo un pugno di esempi e vorrei che in questi esempi storico culturali ne spiccase almeno uno che ha le valenze che qui (B.M.) cerca di dimostrare o ha già dimostrato - solo, ben immerso, in una copiosa semiotica della cultura e dei processi congnitivi. Nel frattempo, spero non mi consideri impertinente, se cercherò l'origine della neurologia e dei primi studi anatomici del cervello - credo di trovarli sistematicamente ad Urbino - ce lo dice Ruggero Pierantoni, ma non è escluso che si tratti anche della prima trattatistica tra arte (pittura) e scienza (disegno).

Quest'anno coi ragazzi e le ragazze della VD del Liceo Scientifico abbiamo giocato a trovare i connettori isotopici che potevano essere strategici in questioni di movimento da un processo ad un sistema. Ne abbiamo trovati alcuni da Cezanne a Manet, da Delacroix alla at della mail @ - fino a farla diventare un algoritmo sommativo-rotativo in cui il 4 resta sempre fuori, come una specie di perfect number - l'osservatore che costruisce, il costruttore come nella trattatistica brunelleschiana, e precedente, dove il master tiene lo sguardo sull'opera e sugli operai, ma la , e ne favorisce poi la mise en page - abbiamo giocato a trovare i connotatori positivi e negativi della numerologia nel cinema e che catastrofe... Resto dell'idea che sembra una di quelle girelle con l'uvetta, molto caloriche...uno psicogramma congitivo che inverità assomiglia alla pizza alla napoletana, o una città ideale con tanti edifici diversi e incongruenti geograficamente come in Mantegna.

Comunque una teoria AT o AL che dica se viene prima l'architettura o la letteratura, c'è già in Leonardo - ha ragione Eco quando dice che siamo nani sulle spalle di giganti... questione di prospettiva.

Basta pensare a Guernica di Pablo Picasso e cercare di dare un senso proprio alla luce, e persino a Las Meninas di Velasquez, per accorgersi che il mondo fisico del conoscere, quello luministico del vedere, seppur anche riflesso, è già modalizzato in un voler sapere e nel saper-poter o voler credere più di quanto le operazioni modali rispettino nella realtà: una tensione tra immaginario e semiotico è possibile ed auspicabile - si, come speranza di civilizzazione e di ricerca.

Il giudizio estetico kantiano sembra formrsi sul gusto, sull'interazione sociale, quello aristotelico sul tatto, sugli effetti di presenza - forse nel secondo c'è ancora traccia della necessità dell'educazione.