domenica 19 dicembre 2010

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Lo spazio visivo nell’Arte come forma di Significazione

   saggio di ricostruzione storico artistica | la categoria dello spazio come categoria interculturale e multiculturale

[Ogni parte di questo scritto è da considerarsi unitaria al suo significato e quindi si prega di rispettarne il diritto d'autore e la scientificità].

I. Prima di Picasso cos’è lo spazio?
Primo schema: cubo, «cubatura».
Lo spazio, prima di Picasso, malgrado la rivoluzionante ricerca di Cézanne, è inteso quale una camera ottica. Da questo punto di vista lo spazio è inteso come valore chiuso, i cui limini devono essere solo ed esclusivamente ritagliati dall’interno, come in un iglu, in cui per diverse ragioni ci si protegge, ma anche uno spazio articolato dal punto di vista semantico, ha queste proprietà: si pensi alla pagina di un libro cui deleghiamo il nostro diritto alla cultura, essa appare «inibente», sia dal punto di vista di quanto ritaglia come ciò che è «esterno», sia come ciò che risulta non costruito, e quindi non strutturato, fin quando non rinvia all’oralità attraverso le forme del discorso. Una posizione interculturale rigida richiede una codifica molto lunga, per il fruitore: un codice si aprirebbe (nei sistemi autoritari ed indifferenti alla novità, oltre che omologanti rispetto al valore) solo a certe condizioni decise da un unico punto di vista, solitamente quello totalitarista. Una concezione ritenuta ingenua, può essere vista con sospetto e quindi tale sistema si dota di apparati educativi più che di scuole. Anche se manifesta contestualmente proprietà necessarie al testo, alla sua tenuta, cela la paura di aprirsi troppo e perdere la propria unità.

II. Con Pablo Picasso e il Cubismo nelle Arti Visive la vista si struttura (dividendosi e componendosi) in modo interdipendente all’oggetto osservato, nella consapevolezza dell’indeterminazione delle sue angolazioni.
Secondo schema: proiezione trimetrica (le cui direzioni sono misurate in modo indipendente e danno esito ad angolazioni diverse relativamente al piano di proiezione) con intersezione di rette e linee di forza.
Ciò ha permesso di comprendere che il punto di vista può essere inglobante (inclusivo in modo discriminante): lo spazio è visto e percepito quindi dall’interno, ed i limiti sono marcati anche se “aperti”. In tal caso lo spazio se inteso alla stregua di un concetto e quindi metaforicamente, risponde ad una funzione sociale, di costituzione degli oggetti e dei concetti. Argenton, riguardo, ai tipi di arte che nascono con questa funzione, osserva: essa «accoglie in sé numerose e ampie, spesso compresenti, funzioni sott’ordinate a carattere unitario – ludiche, magiche, religiose, etiche, politiche ecc. – a loro volta articolabili e specificabili ulteriormente in rapporto agli usi particolari che dell’arte possono essere fatti (…). Un esempio, a mio parere eccellente per illustrare questa complessa e articolata funzione, è quel movimento politico-sociale che passa sotto la denominazione di “iconoclastia”, il quale è collegato a una certa produzione artistica di un determinato periodo della storia d’Oriente e d’Occidente» (Argenton, 1996, p. 219). Questi aspetti costituiscono il significato dello spazio visivo: «un campo le cui forze sono organizzate in un insieme autosufficiente ed equilibrato e nel quale le componenti interagiscono in tale misura che mutamenti nell’insieme influenzano la natura delle varie parti, e viceversa». (cit. a partire da: Rudolf Arnheim, Il potere del centro, Torino, Einaudi, 1982, p. 271). Per «forze», aggiunge Alberto Argenton in Arte e cognizione, non si dovrebbe soltanto intendere le forze fisiche del mondo fisico, concreto, ma specialmente le forze di tipo percettivo, generate dalla configurazione stessa del campo, dalle qualità della struttura e che possono essere colte in modo organizzato, nel loro relazionarsi, costituendo, in quanto dato percettivo, un fenomeno di carattere universale la cui esperienza è di tipo valorizzante. Ritorniamo così a Picasso: per l’artista, la composizione genera a sua volta linee, colori, note e parole, che stanno a possibili significati, rappresentazioni mentali (la vera vocazione dell’opera d’arte consiste per l’appunto nella sua funzione rappresentativa), pur appartenendo a quel mondo fisico e percepito che conosciamo tuttavia come composizione (vedi Appendice). Le strutture economiche sono fortemente centralizzanti e dipendenti; una visione interculturale di tal sorta può anche disconoscere le influenze sociali se non è consapevole del tradursi degli spazi in «azioni». Il Cubismo ha offerto uno sguardo privilegiato a tutto ciò che appare come «primitivo» proprio perché altamente strutturato e coeso in un insieme saldamente ancorato sia al mito che alla figurazione: gli oggetti rappresentati sono analoghi dei testi e possiedono in tal senso una propria individualità; il visivo dunque esprime un accesso al reale non dato per scontato. Ancor più che in altri periodi storici, il Cubismo ha saputo fare delle competenze eidetiche (relative allo spazio) e cromatiche (colore) dell’artista un vero principio promotore dello sviluppo del linguaggio compositivo. I testi sono dotati di una sorta di poli-visività in cui sono traslati in modo concreto e dinamico accanto ad altri linguaggi testuali di tipo simbolico.

III. Questa diversa modalità di concezione dello spazio interdipendente favorisce la pluralità del punto di vista.
Terzo schema: intersezioni di piani, proiezione trimetrica con linee di forza ortocentriche: verso l’interno dello spazio.
Oltre l’appunto storico della storia della lettura (Chartier-Cavallo ne tracciano una tutta Occidentale), per quanto concerne l’ambiente testuale inteso come «luogo», possiamo pensare il diritto alla cultura con la sua delega al libro e ad ogni artefatto comunicativo presente nel continuo del tessuto urbano, compresa la presenza di testi “altri” (artefatti comunicativi, salienti) che costituiscono emblematicamente dei punti di riferimento nella mappa in quanto “ambiente” (Barbieri, 1991; Giovanni Anceschi,Monogrammi e figure, Firenze, Usher, 1981; Tarozzi, 1998). Il punto di vista è inglobato ma anche esterno: lo spazio è multicentrato a favore di metriche interattive, e percepito anche dall’esterno secondo le funzioni di un fruitore che interagisce in modo interdipendente. I limiti sono marcati dai soggetti e dalle strutture secondo le norme. Il rischio potrebbe essere di creare una periferia  “estranea”, mentre l’aspetto innovativo, invece, è una periferia ad «area comunicante» come nella mappa dell’underground di una città come Londra o Parigi con le proprie articolazioni interdipendenti. Il modello è pensabile a «province» di significato. Questa diversa visione dello spazio, a livello semantico, può favorire una maggiore consapevolezza del punto di vista dell’altro, di colui che riporta, registra, contribuisce a manifestare una diversa esperienza e si adatta secondo il legittimo consenso. Dal punto di vista interpretativo, la struttura potrebbe essere intessuta di informazioni circa lo statuto delle funzioni secondo questa multi-articolazione del punto di vista (scuola di Mak Halliday e di Alberto Argenton), e dando legittimazione ed autonomia nell’utilizzo delle risorse a seconda degli scopi, non senza la possibilità del confronto e dell’incontro più generalizzato. Dal punto di vista psico-sociologico, potrebbe essere intesa come una struttura a rete, ma in realtà è esattamente una visione a clues: ciò che soddisfa la scelta, è la possibilità di effettuare liberamente indagini comparative su campioni coinvolti nell’ambito decisionale e svolgere alcune attività come il riconoscimento non in modo distaccato dalla visione generale dell’opera e invece connesso alla sua funzione referenziale: «intendendo qualificare con questo attributo la funzione che l’opera artistica può svolgere proprio per il fatto di configurarsi come un oggetto, un “referente inventato”, e che consente di attribuirle un significato diverso dal, o che va oltre il, significato rappresentativo che le è proprio» (Argenton, 1996, p. 223): innestandosi in quelle che successivamente chiamiamovalorizzazioni emotive ed affettive dello spazio semantico. Forse in questo modo i testi e i macrotesti delle strutture, possono essere disegnati con maggiore capacità e possibilità di contribuire alla fruizione delle direzioni di sensoInoltre, questa diversa modalità di concezione dello spazio,  a livello testuale potrebbe favorire una maggiore compresenza di strutture nella realizzazione di una mappa degli «spazi» e  dei «luoghi», concretamente vissuti e vivibili, secondo, ora  coordinate soggettive ed ora coordinate intersoggettive, che pongono il fruitore al riparo da discriminazioni periferiche e ghettizzate inibenti. Essa potrebbe mirare consapevolmente a avere una concezione modulata dell’equità secondo uno stile attributivo trasparente, che coglie aspetti democratici del vissuto accanto alle valorizzazioni di prossemica (relazioni di vicinanza e distanza tra soggetti e oggetti, compresi gli oggetti di valore) di tipo partecipativo, le cui possibilità di interazione e il relativo successo nell’integrazione, dipendono dall’effettiva possibilità di adesione e discussione. Il punto di vista interculturale, quindi, dovrebbe poter essere comunicabile anche quando minoritario secondo valenze  che vi sono inscritte, e non svuotato di legittimità perché eventualmente “periferico”. Le nuove megalopoli basate sulla centralità dei servizi maggioritari, ricompone il silenzio “apparente” delle periferie. In realtà, per noi che osserviamo questi comportamenti attraverso degli assunti, occorre immettere un innesto generazionale e cercare di cogliere cosa accomuna le varie generazioni di strumenti e servizi e di soggetti coinvolti nella ricezione (pertanto sembra imprescindibile la lettura della Storia dell’Arte di Einrich Wöllflin proprio per le caratteristiche generali dell’opera d’arte). In ambito sociale, le funzioni amministrative civili dovrebbero essere fruibili in modo archivistico sempre per meglio favorire il confronto e il linkdiacronico trasparente.

IV. A lungo la semiotica generativa e quindi l’ermeneutica fenomenologica (incontratesi tra Merleau-Ponty, Lévi-Strauss e Propp, Greimas, e altri) per certe esigenze etnometodologiche (relative ai modelli di riferimento) si sono mosse attorno alle categorie dell’intersoggettività
Quarto schema: più spazi ad intersezione – polimetrica o interattiva; le linee di forza sono convergenti ma anche gerarchizzate e topologiche nell’insieme.
Con le motivazioni che possono compensare certe apparenti rigidità di una visione astratta della relazione primaria di soggetto - oggetto (Harrison Hall, “Intentionality and world: Division I of Being and Time”, in The Cambridle Companion to HEIDEGGER, pp.122). L’intenzionalità può essere intesa come ragione per la quale si da invenzione, (Baxandall, 2000) come apertura del «codice» allo spazio del valore in termini «partecipativi» (Zinna, 1991). In La svolta semiotica, (Fabbri, 1998, pp. 31-63) Paolo Fabbri, parla altresì del regolo temporale in termini di phorie, di “consonanza” e di “discorso” possibile tra eventi che ci aspettiamo (o come direbbe Heidegger, perché possono fare tutti) ma che diamo per scontati in temini anaforici o cataforici (di riferimento al passato, o di uno sguardo al futuro, alle direzioni che prendiamo) a seconda che queste azioni abbiano delle confluenze nella ridistribuzione dei concetti in senso attributivo, oppure in senso previsionale e quindi inferenziale (”se hai continuato a fare così, sarà perché ne avrai avuto delle ragioni”). Si tratta forse di un nuovo spazio maggiormente permeabile delle motivazioni e degli aspetti (o degli effetti) culturali intersoggettivi che risiedono nell’«aurea» della riproducibilità di un “portamento” degli oggetti culturali umanizzati perché condivisi (Zilberberg, 1999); ma non solo di un nuovo spazio maggiormente permeabile delle motivazioni e degli aspetti (o degli effetti) culturali intersoggettivi ma anche di una nuova visione degli oggetti in termini emotivi ed affettivi.


V. Appendice: Guernica)
Quinto schema: l’interattività, pone una questione di stile interculturale, a livello didattico favorisce l’emergenza delle passioni, la loro interazione e interdefinizione; la categoria di persona, comincia ad essere preminente rispetto a quella testuale di soggetto.
Visione che ingloba lo statuto del soggetto e quello degli effetti di valorizzazione attribuiti agli oggetti secondo una modulazione possibile del linguaggio stesso che utilizziamo per famigliarizzarci: Walter Benjamin riportato da Claude Zilberberg per innumerevoli ragioni che contribuiscono a proporre in modo diversificato, ma non di meno coeso, il tema della civiltà degli oggetti culturali, per i quali forse potremmo ricordare il contributo ben più corposo di Kenneth Klark, Civilization; ma è in Immagini di città dove Benjamin riflette sulla città come visitata e vissuta in modo assai disomogeneo e legittimo. Da un lato c’è colui che vi risiede e traslando sul discorso gli oggetti che lo caratterizzano, sono le caratteristiche ad essere in questo caso intrinseche, le proprietà che esso porta con sé; ma è nel fare questo che vede una diacronia ed una sincronia relazionali, più spesso interattive, attraverso le quali costruisce il suo senso del luogo: sulla sublimazione di ciò che non può, magari perché non ne ha il tempo, il residente, fare, ma che a seconda dell’interazione con l’Altro, concede o non permette che sia svolto. Dall’altro c’è il turista, aduso ad un punto di vista distaccato ed estatico, quasi asintotico nel suo far rivivere certe potenzialità, il quale consapevole di dover aderire ad un certo bon ton, tuttavia innesta un saper vivere basato su tratti esistenziali più «deboli», un vero libero gioco, tra combinazioni e letture che si dovrebbe osservare come mediazione interculturale in atto: ora appaiono da una griglia estetica valorizzante (J.-M. Floch, in Semprini, 1990; Zinna, Zilberberg, in Fontanille, 1998). Assi valorizzanti nella scuola, con una particolare attenzione alle modalità in gioco, saranno: 1. le opportunità formative; 2. i soggetti interessati a proporle; 3. gli orari rispetto alla didattica; 4. gli spazi adibiti; 5. la partecipazione. Ho parafrasato il testo (Giusti, p. 53), ma ho “realizzato” che senza l’attenzione all’ambito interattivo tra momenti istituzionali e non della scuola, il problema della didattica interculturale rischia di essere nuovamente risolto come attività «esterna» al curricolo, con i relativi rischi successivi di intolleranza.


Appendice illustrativa
Pablo Picasso, Fabbrica a Horta de Ebro,  1909.
Olio su tela, cm 53 x 60, San Pitroburgo, the State Hermitage Museum.
Pablo Picasso, Tre musici,  1921.
Olio su tela, cm 197 x 185, Filadelfia, Museum of Art, L. and W. Arensberg Collection.
Pablo Picasso, Guernica,  1937.
Olio su tela, cm 351 x 782, Madrid, Museo del Prado, Cason del Buen Retiro.

Bibliografia ragionata per usi didattici
Discussione e riflessioni sulle funzioni dello spazio semantico
Argenton, Alberto
1996        Arte e cognizione, Introduzione alla psicologia dell’arte, Milano, Raffaello Cortina Editore, (Prima edizione).
Latour, Bruno
1999  “Piccola filosofia dell’enunciazione”, in Eloquio del senso. Dialoghi semiotici per Paolo Fabbri, Milano, Costa & Nolan, pp.71-99.
Barbieri, Daniele
1991  “Il racconto”, in I linguaggi del fumetto,  Milano, Bompiani, pp.203-212.
Baxandall, Michael
2000 Forme dell’intenzione. Sulla spiegazione storica delle opere d’arte. Torino, Einaudi (txt. orig. Patterns of Intention, Yale University Press,1985).
Clark, Kenneth
1969  Civilization. A personal view. London, British Broadcasting Corporation.
Fabbri, Paolo
1998 La svolta semiotica, Bari, Laterza.
Floch, Jean-Marie.
1990 “Semiotica plastica e comunicazione pubblicitaria”, in Lo sguardo semiotico, Milano, Franco Angeli, pp. 37-77.
Giusti, Mariangela
1995   L’educazione interculturale nella scuola di base, Firenze, La Nuova Italia.
Hall, Harrison
1993 “Intentionality and world: Division I of Being and Time” in The Cambridge Companion to HEIDEGGER, Usa, Cambridge University Press, pp.122-140.
Marsciani, Francesco e Zinna, Alessandro
1991 “Gli oggetti di valore” in Elementi di semiotica generativa. Processi e sistemi della significazione. Bologna, Esculapio, pp.77-82.
Tarozzi, Massimigliano
1998  La mediazione educativa. Mediatori culturali” tra uguaglianza e differenza, Bologna, Clueb.
Zilberberg, Claude
2000  De l’humanité de l‘objet. (À propos de Walter Benjamin). In VISIO, v. 4, n. 3 autunno 1999 - inverno 2000, pp. 89-117. Www.fl.ulaval.ca/hst/visio

Discussione storico – letteraria
(alcune informazioni incomplete dovute a letture sparse a carattere universitario: si prega di scusare chi scrive, verranno al più presto fatte ricapitolare in una bibliografia coestensiva)
Benjamin, Walter
1971  Immagini di città. Torino, Einaudi.
Bellosi, L.
....  “La rappresentazione dello spazio pittorico”, in Storia dell’arte italiana, v. IV, Torino, Einaudi, pp. 5-39.
Ferretti, Massimo
1986  “Casamenti seu prospettive”. Le città degli intarsiatori, in C. De Seta, M. Ferretti, A. Tenenti, Imago Urbis. Dalla città reale alla città ideale, Milano, Franco Maria Ricci, pp.73-104.
Guidoni, Enrico
1989  “Firenze capitale occidentale” in Storia dell’urbanistica. Il Duecento, Bari, Laterza, pp. 134-173.
Longhi, Roberto
1951  “Giotto spazioso”, in Giudizio sul Duecento e ricerche sul Trecento nell’Italia centrale, (v. VII delle Opere complete), Firenze 1974, pp.59-64. e in Paragone, Anno III, n. 31, Luglio 1952.
Montagnani, Cristina
1990  “Fra mito e magia: le Ambages dei cavalieri boiardeschi”, in Rivista di Letteratura Italiana (tit. Riv. incerto), n. VIII, pp.261-285.
Renouard, Yves
1975 Le città italiane dal X al XIV secolo, Milano, Rizzoli, v. I, pp. 7-17.
Zancan Marina
....  “Le città invisibili di italo Calvino”, Einaudi Letteratura, pp.875-929.
Zatti, S. L’uniforme cristiano e il multiforme pagano. Saggio sulla Gerusalemme Liberata. Milano, Il Saggiatore. Cap. III, pp.91-144.

lunedì 25 ottobre 2010

venerdì 16 luglio 2010

relations entre les sciences naturelles et les sciences humaines_15-19 settembre 2008

Rovereto - Palazzo dell'Istruzione | Tra gli altri relaziona Jean Petitot - poi lo incontro sotto la cupola del Mart e curiosamente esce dal gruppo, come la grazia della algoritmica @ e non è difficile pensare che in capo al discorso piuttosto ampio possa aver nutrito qualche curiosità algoritmica anche in questo innesto tra sociologia e cognizione dove l'ambito delle interfacce è vogue-sutura cinematografica-connessione solidale, rara specie. Si parla di soglie, di palinsesti di generosità e di fantasia e credo, potrei affermarlo, che l'ambito strutturale della semiotica su cui si sono sviluppati certi rami, sia quello più creativo della semiotica e delle scienze umane almeno per spirito della condivisione - Petitot ce lo riconferma, basta un effetto di presenza, per far scaturire un discorso, tale che dedichi un resumé sostanzioso poco oltre l'anno - edito da Bombiani, con un suggestivo omaggio a Gobetti.

http://bompiani.rcslibri.corriere.it/libro/6249_per_un_nuovo_illuminismo_petitot.html

Qui non ci resta che il recupero, l'armonizzazione, ma sarà fatto, per qualità della trasparenza del Bene Culturale come semiotica dell'educazione, come continuità di sviluppi, come desiderio di ricerca e forse in qualche misura, di scrittura.
    Cito questa risorsa, che ho frequentato in quei giorni di Settembre, per almeno una curiosità: il pensiero epistemologico, per quanto concerne la storia dell'arte visiva, la storia dell'arte e il disegno come effetto di una rappresentazione, non solo progettuale, ma riflessiva, scioglie alcuni campi dell'ambito deduttivo: uno è quello della generazione di un pensiero generalizzando detto critico, che mantiene con l'oggetto alcune interessanti problematiche (di cui si può occupare a pieno titolo un'analisi del testo filosofico anche in senso logico - insiemistico semplice e quindi diffuso su una problematica tensiva come Fontanille et altri, si direbbe gioco di sguardi, intersezioni tra modalità e modi di intendere, di figurare, nel precisionismo di Peirce, a vocazione egizia probabilmente, il segno per ratio difficilis, di Eco esplicita e lancia un sassolino nell'information tecnology, per innovazione) l'altro risponde solitamente alla questione metodologica della griglia componenziale e semantica in genere, dove a fissare il cuore del discorso, sono le sue stesse declinazioni: ultima esegesi possibile resta quella della sua generazione in un ambito motivazionale, del segno motivato, contestualizzato e culturalizzato che si affaccia, aspettualmente, dignitosamente completo o incompleto, credo, alla restituzione dell'oggetto del discorso. Ma vorrei capire cosa farne di termini come ripresa - riavvio - risalita - quasi coniche, bisbigliate nell'orecchio. No? Oggi non sarebbe tanto sbagliato vederne il seguito nella storia del trilix, del modo proprio dell'oggetto, della rappresentazione in prospettiva.
    Tuttavia sarebbe riduttivo non parlare di una storia dell'arte come scienza naturale in parte, come sua possibile branchia, sia per una storia del paesaggio come bene culturale e oggettivo, pellegrino ed esperanto, protoscientifico in questo, senza cadere nella cosa in sé; sia come geografia storica dell'arte, e si pensi a quando l'architettura angosassone a inglobato la domus paleocristiana e ci si accorge di piste comuni nello sviluppo ma anche di inedite rielaborazioni in itinere (che poc'anzi, alla SSIS, ma grazie a Ferretti del DAMS su Giotto ad Assisi, ho credo voluto assumere queste valenze nella direzione della cartografia, e al primo anno di insegnamento, mi sono rivolta a questo soggetto da cui ho ri-trovato, allora, il mio stesso respiro: un paesaggio di segni, ma ingenuamente come da manuale del regolamente delle regioni - percettivamente per tratteggi essenziali e non ho faticato troppo a ritrasmetterlo, se non sempre con qualche bavaglio economico di troppo nel ricongiungermi ai fattori costitutivi che conosco, non senza concrezioni del gusto descrittivo e chiastico spesso nel montaggio temporale, come insegnerebbe un Barbieri, mentre Romano ne staglia giustamente anche i prodotti riflessivi più costrittivi come il campanile di Firenze - ortograficamente zonale - innesto plastico di valenze meno arbitrarie. Eccoci di nuovo alla storicizzazione necessaria, utile, anche auto-biograficamente se il termine biologico parlasse di ciò che siamo restituirebbe qualche tessitura fine di emancipazione pur negli ostacoli e nelle scelte ingrate.
   Una geografia storica, fatta di stilemi, di modi aspettuali e simbolici-semisimbolici, come risorsa di una selezione culturale svolta sull'ambiente (sistemicamente componibile talvolta per competenze di vario grado come dimostra l'associazione d semiotica visiva IASV) sempre grazie a valenze che si costituiscono a partire da un patrimonio probabilmente anche cognitivo che include le figure del pensiero (e già sarebbe interessante spiegare in che cosa consista, un piano cognitivo non meramente riflessivo, una parentesi necessaria sul dizionario o sul processo inferenziale, che occupa una parte considerevole nella costituzione dell'apprensione, della presa e il mantenimento dell'attenzione sulla configurazione semica dell'oggetto, sia pure discorso che altrove mi sembrava identificarsi con l'accesso teorico e poi sintomaticamente con uno deitanti possibili percorsi più o meno giusti, dell'interpretazione soggettiva, spesso, culturalmente o meno, casualmente o meno, alchemicamente intrisa, impregnata di idiosincrasie, che in genere grazie all'osservazione neutra, cadono come foglie, ammesse al riguardante come impressioni del tempo che fugge) e le figure del discorso le quali se attingono al categorie note, etichette, costruzioni nominalistiche a tutti favorevolemnte note dalla ricchezza potenziale del contenuto lessicale, non di meno, ci diceva Peirce sono soggette ad una valorizzazione anche in senso storico (e per questo vanno rilette), ad un raffinamento con l'esperienza.
In una scala inscindibile dall'apprendimento che è la pratica della conoscenza, ci si chiede se l'epistemologo francese, o Daniele Barbieri, che sembra essere sulla stessa pista, possano parlarci di connessione illuminante: cos'è che fa si che un testo illumini il nostro studio, il nostro percorso di valorizzazione della relazione tra soggetti ed oggetti, se possa dirci, insomma, visto che gli scienziati naturalisti non riescono, a quanto ne sappiamo, da soli a percorrere tutto l'ambito della semiosi, a dirci cosa ne resta dell'appreso, mentre in genere gli storici si, possono dirlo, anzi devono e speso lo fanno batesoniannamente, con grazia, restituendo nell'immediato il segno di un'intima coesione testuale, come fanno i maitre de conference, oppure con il cipiglio della motivazione, come allo scalo del diporto euristico: sei arrivato bene fin qui, ma potresti... Ame piacciono tanto tutte e due le modalità enunciazionali: scorporano partecipativamente, includono l'aula di studio in una risonanza costruttiva della costituzione del sapere, se non è troppo.
    Alcune risposte circa i meccanismi di recupero, di immagazinamento, li abbiamo già scanditi su un problema di modellizzazione che proposto come savoir faire di ambito di studi semiotico-comunicativi, all'IPRASE quest'anno dal Liceo Maffei, potrebbe integrare l'intensione e l'estensione, i gradi di difficoltà, gli inceppi apodittici, gli scarti e forse anche qualche analogia in chiave di modelli precedenti e successivi, etc... e resta per me l'esempio molto bello del test del I corso di Scienze della Comunicazione di Bologna, un must credo come tipologia, dove il frammento di Locke (amato al linguistico e poi rinverdito per chiavi sulla tolleranza all'ISA dove ho concluso le mie tensioni interne di ricerca e di arte estetica grafica) tradotto in molti modi di cui lo studente deve trovare quella buona. La modellizzazione è precipuamente attività dello schema (Levorato, Eco, Kant, Deleuze), e non c'è modo per appropriarsene con un'etichetta qualsiasi; attività simili le abbiamo da una serie piuttosto lunga di tradizioni di studio che attraversono la componente generativa del significato fino alle più recenti scienze cognitive di tradizione non solo aristotelica, ma scientifico plastico-medica, restituiscono il fine, la finalità (kantianamente forse): ovvero in sintesi, solo la corretta valorizzazione bio-storica, permette di non sbagliare la diagnosi, come insegna la vera medicina, e quindi si preoccupano della plasticità della conoscenza, dell'elasticità del linguaggio, grazie alla cultura dei dizionari e delle enciclopedie, delle forme di traduzione e di trasduzione dalla teoria alla pratica, non tanto a doppi legami come certa retorica di matrice psicologica di tempi "freddi" sfruttata a danno degli altri stile pugnalata a Cesare, flatus vocis per situazioni pregne di intrighi, quanto delle relazioni di causa ed effetto e risposta ad una situazione naturale o artificiale, come da tradizione logica, recuperando un nodo fondamentale del Giudizio estetico di Kant. Non so se si tratta anche nel caso del filosofo tedesco di un testo redatto a fini personali, orologio chiastico delle attribuzioni di senso sul testo, di restituzione di una elaborazione filosofica della pragmatica dell'educazione, ma certo lo iato tra teoria e pratica resta uno dei suoi oggetti più interessanti su cui è necessario porre più d'una attenzione e rispetto. A mio avviso, ma è un'opinione, Kant risolve in parte questo iato, sottolinenando come una buona teoria non possa che essere una pratica dignitosa.
    Tornando alle scienze umane, abbiamo componenti che riguardano sia una filosofia della conoscenza che dello spirito, dell'ingegno, della creatività e quindi dell'umanità in senso lato. Possiamo includere tra le voci di cui trattare non solo termini come intensione ed estensione, valide anche per la costruzione dei test di valutazione delle competenze/abilità/contenuti, che strutturate abbastanza finemente nella scuola media superiore e nell'università in pieno sviluppo, possono essere recuperate in modo costruttivo forse anche attraverso il cosiddetto ripasso sistematico di inizio anno o costituire l'exit, un modo per dare spazio al regresso da rivedere davanti a sé, nel montaggio possibile di un momento di rinforzo del giudizio. Recuperare, provavo a costituire il progetto in tal senso, usando un modello che sembrerà strano ma è quello della cupola di Brunelleschi di Santa Maria del Fiore, significa sia percorso attrezzato che faro verso le potenzialità: organizzazione metatestuale, e un po' non lasciar cadere lo spazio semantico che si è costituito davanti ai nostri occhi e valorizzarlo il più possibile. Brunelleschi fa un tamburo circolare ampio, con una molteplicità di finestre. Recuperare è un atto sia intensionale (che assomiglia più alla vela che al tamburo da gran cassa che apre innaugura direzioni pur sempre intensionalmente credo) che un atto estensionale (formalizzando così il raccoglitore si rende fruibile, accessibile di nuovo qualcosa che è già stato detto prima, implicando, quella che più sopra abbiamo rimesso in gioco: la storicizzazione), la scienza naturale, con i suoi orti, potrebbe dirci che al dissodamento di un terreno debba seguire un'attività nutritiva, ma che prima o poi, se l'uso è quello paesistico, il terreno si debba consolidare con radici tanto profonde quanto ancorate a degli scogli solidi ed efficaci.
    Italo Calvino, nato a Cuba, diceva che è così che si invita a rileggere le opere e anche se canonilmente, i classici andrebbero rinverditi specialmente con la ri-traduzione, poiché è la lingua che muta, così come certa storiografia non potrà mai darsi definitiva. La storia dell'arte, analogica e discreta, nella sua possibilità di modelizzarsi sull'opera, ha costituito un ambìto ruolo per secoli: non solo la possibilità della de-scrizione (ékphrasis - quasi un guardare attraverso, oltre la banale superficie delle cose) ma anche quella dell'innovazione terminologica (un po' più ipotipotica e per frasi costitutiva, nella moralità del bozzetto), dell'appropriatezza e adeguatezza del contenuto, la destinano a buona ragione, tra la filosofia della natura e della scienza. Certo se come "storia" si occupasse innanzi tutto del 'godimento di un bene', che non necessariamente è bello o simpatico, ma può avere un valore in senso umano, i più storcono il naso, credendo che fare estetica dell'arte sia "evasione" - che perfetta anlogia con il guardar fuori, aggettare, essere in grado di cogliere le salienze di un problema. Abbiamo appena sondato il problema: la storia dell'arte in quanto intersezione di conoscenze si naturalizza, ma le scienze naturali saprebbero dire altrettanto - ricordo solo un caso in cui uno scientziato anglosassone, scoperto il dna abbia detto che si trattava di una bella forma - Il concetto si compone sulla base di un diritto alla fruizione non solo di un bene, ma dell'informazione relativa ad esso: l'autencità storica tuttavia non si riduce affatto alla fonte, semmai essa sia recuperabile, ma al presente deduttivo e abduttivo deve la sua possibilità di cogliere al meglio quella incredibile sensazione di unicità, con la quale essa custodisce il proposito più elementare nella costituzione di un oggetto, è porsi in relazione con il suo soggetto e con l'ambiente. La storia dell'arte, e tutte le sue derivazioni visuali, forse può restituire la storia ai suoi soggetti (Fontanille): se le si concede la possibilità di ricomporre i piani delle figure del pensiero (piano cognitivo composito e profondo), del discorso (piano pragmatico della distribuzione dei campi semantici articolati), piano delle determinazioni o indici testuali più o meno preferenziali, che riconducono credo a semiotiche diverse come la semiotica semisimbolica (matrix di tutte le teorie delle ombre ad esempio) o simbolica (logico matematica, che tal volta si fonda su una pragmatica del giudizio utopico e quindi serviva a rendere gli universali) e una semiotica complessa, di indubbie articolazioni, dell'ambito del testuale - un po' ri-componendo in modo sempre più costitutivo l'ambito suo proprio. Resta, volevo provare a cogliere l'ultima, quarta, che secondo me non è una semiotica, ma potrei sbagliarmi, la questione esistenziale - è un presupposto. Ma perché l'oggetto, la cosa in sé non può fondare una semiotica e il osggetto invece si? Barbieri dice, in altri termini, ma è lo stesso, che non è senziente. Concordo vivamente che ci debba essere un soggetto per quanto naturale, così però resta l'impronta, un veicolo manierato della passione, un interfaccia del ricordo forse, una sua epidermide astrattiva in germoglio incoativo, a restituirci un allure cui non sappiamo dare spiegazioni. Un esempio: a volte nei nostri tragitti post-traumatici l'oggetto è una carica, meglio una molla che suscita curve sinusoidali, una pila induttiva-conduttiva: basta fermarsi, fare il vuoto e ascoltare e la fotografia emerge chiaramente. A volte nel rimosso ci sono infiltrazioni, ma prima o poi, la genuinità della relazione tra soggetto e oggetto, l'osservazione della proiezione annulla l'anello menzognero - è così che funziona il chiasmo aristotelico - la vince su tutte le questioni - è a questo che serve la psicologia.
    Alla fine di questo post vorrei tornare ad anticipare alcune curiosità - sto finendo un master in informatica della storia medievale, mi sento un po' smarrita per alcuni eventi, ma ci riproverò. accanto al segno ritrovato (plot machine) di Paolo Uccello, sto cercando di dare un'occhiata alla direzioni egizie del testo e della sua messa in prosettiva, duplice, vorrei lavorare sul problema della rigenerazione: quanto insomma faccia bene l'illustrazione e il paesaggio. Spero di cogliere che infine, quanto detto sopra, non è che un modo per parlare dei buffers e delle sistemiche che convergono nel loro buon stato di funzionamento. Un giorno la storia dell'arte sarà una biosemiotica tra le altre e lo studio del segno, la semiotica generale, un'archeologia, ma sin da ora credo che l'attenzione possa esser posta anche in chiave di consegne: una complessità ricevuta.

Con tanto affetto - agli amici.

Per me, credo come per alcune altre persone, la scrittura è l'aria, il disegno il corpo fluttuante di questa. Amo, corrispondentemente, chi ama, nella migliore delle ipotesi, mentre riemergo, è come risonanza.


LES RUINES DE SOU-TAI
des arbustes ont poussé dans les ruines du palais. A présent, la lune de Si-Kiang est la seule danseuse qui évolue dans les salles où glissaient tant e jolies femmes.

LES NUAGES
Le solei se couche. Autour de lui, en robes vertes, en robes violettes, toutes ces favorites, déjà mollement étendues!
dans LE FLUT DE JADE, a cura di Franz Toussaint

giovedì 8 luglio 2010

images|senses|pretextes II

prepost _riflessioni del 18.o6.1o
Il punto del trivio nel quadrivio

Nelle mie escursioni flochiane sulla preistoria (ho fatto alcune equazioni al guazzo di un dolmen, che sembrava una tomba regale, con inscritto il rituale dell'inumazione; tra le altre ricordava il modo di preparare la concia e altrove di lavorare il formaggio) - individuazione grossolana iniziale del genere di discorso - poi da trilix (segno iconologico saussuriano, segno percettivo-schematico logico peirciano, segno come discorso e oggetto narrativo greimasiano), ho intravvisto solo un sistema possibile per la concatenazione dove non c'è che bricolage, sacralizzazione, istruzione, scena.
    Nella mia semplice rappresentazione tre d il segno si sviluppa in direzioni proprie (con-figurazione) ma parte da una base semplice di rapporto con le eccedenze aggiunte del caso con le fisionomie del dato (tematizzazione) - è un'equazione intersemiotica di secondo grado - in cui al freno isotopico del reale, si aggiungono aspetti che Lévi-Strauss chiama 'eccedenze' tra testo/immagine: se da un lato tutto ciò che è profondo e saliente è passibile di infinite intersezioni, la nozione di nodo o di punto obbliga ad una sorta di reticolazione isotopica verificabile (veridittiva). Mentre cercando quindi le soglie della cristallizzazione dell'oggetto narrativo si lavora sulla periodizzazione della mancanza (e sulle conseguenze della menzogna o del tranello, e chissà dove mette l'errore Fontanille, se non nel non sapere incoativo (iniziale) di una abilità, un dover essere modellabile e in modellamento, ovviamente volta a qualunque progetto anche nel pieno di una risorsa creativa), il presemiotico resta nella nebulosa, dove diviene enunciato a suo modo, speranza e rinvio, proiezione e catastrofe apparente di mezzi e strumenti che stanno cominciando a prendere forma. Un esempio ci vorrebbe - di come critica d'arte e semiotica dell'arte convivano a volte come sposi separati a letto per ignote ragioni: entrambe avrebbero l'obbligo di ricostruzione etimologica o filologica, entrame dovrebbero usare griglie funzionali a carpire configurazioni stabilizzate, entrambe dovrebbero possedere una filosofia del diritto virtuosa e non accollare all'oggetto teorico o fisico cose che di fatto non ci sono.
   Se per fare un esempio veneziano colto e un po' repubblichino nel gesto propulsivo, Vedova collima con il senso di Pietà, consapevole, come nel Tondo Doni cui si ispira, di aprire un saggio deonotologico ed epistemologico della pittura italiana (gli americani direbbero coast to coast, e noi da Bellini al disegno Toscano), che il segno temporale, la consecutio, c'è; se, quindi, la demarcazione è ineludibile, 'soggetto' di questa presa, di questo cogliere è proprio lo spazio (nel senso del discorso, della voce dizionariale ed enciclopedica), il suo 'proprio', il contenitore è il continuum, mentre paradossalmente forse la luce (misura dell'atmosferica ineffabilità) ne è il diaframma dissolvente la barriera, giocato in Paolini come replicabilità della rima nel Giovane che guarda Lorenzo Lotto del 1967 - e non dimentichiamoci l'aurea-aureola, dell'oggetto del discorso - altrove connaturata solo al fare estetico, alla curiosità imparziale, misurata, che cerca nell'essenza cava, nella manque, una figurazione diversa dall'apparire omogeneità; poi la soggettività: una concezione della natura strutturata forse.
   Torno al preistorico: è prefigurale? Diciamo di si, va bene. Forse tanto quanto la passione per il paesaggio di un vero fotografo - di un vero pittore. Quando si parla di semiotica nella preistoria occorre sapere che il 'testo' è dato dall'ambiente, dal cosmo, dal rigagnolo di acqua che permette la sopravvivenza ed è per questo che la regola della reciprocità talvolta mette i punti esplicativi in ordine a seconda [più sotto tentiamo di rileggere il pezzo relativo a Silvy citato da Eco nelle lezioni di Harvard, che sembra farci trasalire oltre che per la consistenza del limite da osservare mentre si tenta una buona, la migliore traduzione possibile, per il fatto di riportarci in qualche modo simbolicamente di continuo sulla frons scenae del teatro Palladiano, in versi, ma forse con la marsina regolare (lo smoking) da boccascena, perché non per questioni linguistiche]. Proprio questo singolo complicato congegno dell'imperfetto italiano mi ha fatto pensare: poniamo che invece che sia una questione di descrizione del fare: Eco dice durativo - iterativo come aspetti e giustamente con questo non deve dirci che questo signore, che tutte le sere va a teatro, forse va in scena, perché semmai è il testo che deve dircelo. Allora è proprio l'imperfetto ad instaurare un approccio polemico: non è un'alone di mistero? e certo vedere un signore così elegante, può permetterci infinite illazioni. Se il suo abito, il suo vestito fosse completo, ma la sua vista fosse solo all'ingresso e all'uscita del teatro, sarebbe indizio di una incoatività ineccepibile: siamo solo nell'incipit e nell'exit - d'altra parte nessuno vede, o quasi, l'altro quando calano le luci. Il francese "Je sortais du théâtre où tous les soires Je paraissais aux avant scènes en grande tenue de soupirant" che tradurrei in inglese: "I did get out of the theatre where every evening I did appear to the front scenes in a whispering suit" - lo so la traduzione può sembrare bizzarra, dell'imperfetto, ma a mio avviso possibile per un suggeritore forse per nulla 'affettato'. Eroico (grande tenue), costante (tous les soires) supporto del testo (de soupirant).
   Torniamo al figurale: cosa fa? Il sasso, la roccia immersa nel paesaggio, concrezione graduale e sistemica dell'ambiente che colloquia con un fare che sta emergendo come saper fare, per noi che amiamo la natura talvolta senza capire, non disgiunto dal saper essere, come primo limite alla sopraffazione stessa dell'oggetto. Source et scible du droit naturelle: il pluralismo esplicito di attanti e attori. Poi occorrre capire che la figurazione schematica contestuale (bel termine anche questo circa il supporto), illustrata deve essere studiata a contatto anche con la fotografia, con le 'gomme pane' si ottengono primi calchi piccoli di osservazione sul luogo, e, dà una forma ingenua, ma anche con il pennarello e il lucido molle, si hanno sensazioni sorprendenti del solco mentre con la cera, campioni eventuali del segno lasciato indirizzano verso strumenti raffinati e durevoli: dovete sapere se si tratta di punta di quarzo o metallo (trapano o scalpello?), per discriminare un falso ideologico da un reperto 'convenzionale', portatore di un 'segno', per razionalizzare il campione e poi accostarlo alla dinamica semiotico-storica veridittiva dove diviene semiosi.
   Il concetto di congiunzione, quindi: questa non va vista come operazione ma come contenuto concettuale, posta assiomaticamente, sistemicamente - memoria continua, credo possibile nell'oggetto (museografia, design, industrie), potenziale solo nel soggetto: se per astrazione indichiamo un processo astrattivo, astraente, non di meno questo aspetto potrebbe essere contestualizzato. Torniamo all'eccedente, per un momento, se il gabbiano vola non è un rema (Livingstone lo sapeva 'immaginando il senso del luogo'): se il guerriero salta da una roccia ad un'altra si. Lo sapevano già i romani con l'invenzione del quadro di III stile. Il salto è storia, l'ovvio è illustrazione - sono regimi di senso che qualificano l'eroico concettuale disgiunto da qualunque particolare mero accidente e l'estetico basato puramente da relazioni spaziali e schematiche; insomma mentre l'illustrazione si incatena ad una configurazione al massimo paesistica, epica benché trasposizione per garadi di invenzione (ci viene in mente Renato Guttuso che illustra Una Vita di Vittorini con quel segno limpido, quasi a giocare al ton gris), l'eroe segna il passaggio lasciando una traccia di inventio, rendendo 'soggetto' il luogo_ sinechismo eccellente. Una grammatica bell'e pronta per divenire loquace ed eloquente brusio, lavorio di forme. Se la storia della letteratura non è solo illustrazione all'ora anche la storia dell'arte deve scendere nei casi, credo e sforzarsi di tradurre per comprenderne il miracolo (Proust e Monet) ed ha ragione Marco Bona Castellotti a citare "I passages" de L'Angelus Novus di Benjamin quando parla di Parigi. Se leggiamo Ungaretti, come per Montale, non dobbiamo stupirci che i suoi creti siano molto di più di colore, segno, piano possibile di un fotogramma diverso, ton gris o tush. La poesia diviene il topos di confine (Robert Graves ne è l'esempio limite - come saggista e come poeta è pittore, come voleva Marsciani - non sfugge che il suo guazzo possa essere rima acquosa, cinta metrica del testuale): se lasciare traccia dell'esistere è discorso sulla vita, allora la poesia ne è un riflesso tangibile, la registrazione fedele, la punteggiatura ritmica, la rima causale che garantisce coerenza e coesione dell'Io davanti al luogo ineludibile in cui, compensa la storia qui e ora, con l'eternità immaginabile.
   Aristotele cosa ha a che fare con la preistoria? l'anima di Aristotele è tempo? schema? silhouette? "perimetro del senziente" - vedere Wikipedia alla voce Filosofia del diritto
412b - altri modi per un città oculare tipica dei nostri stilemi informatizzati è - l'occhio di Decartes - envelope - limine? Atto primo di un corpo naturale che ha la vita in potenza: il vedere. Una paratassi complessa che costituisce il differenziale, un po' bizantino, ma più o meno. Più quattro shifters! spostamento, alterazione, diminuzione e accrescimento (traducendo forse Peirce che le ha buttate giù come relazioni prensili - prese - estensione/modificazione/sottrazione/moltiplicazione e complementari algoritmici del movimento), tutte da rimettere alla sola prova qualificante: l'essere umano, l'essere in genere, migliora, si raffina, si assottiglia nella sua capacità di percepire la giustezza di qualcosa, con l'esperienza su oggetti simili e dissimili. Per me, Peirce introduce il concetto di magnifico, come qualcosa di rappresentabile e di coglibile (una scelta oltre l'anedottico) e in questo è molto 'American', come certi quadri di storia giganti, che riprendono immense sequoie, eucaliptus che estendono le chiome fino a carpire forse anche le nuvole...ma poi ci ripensa, si ri-sposa con una francese che coltiva qualche curiosità egiziana, e il "magnifico" diviene segno culturale, estrinseco alla natura, creato dall'uomo per un qualcosa che solo il senso della misura contiene in sé. Quasi una scienza ex voto.

sabato 12 giugno 2010

images|senses|pretexts

La comunicazione IASV è stata inviata per gli atti - nel possibile - sarà restituita qui in italiano, con le relative immagini, i riferimenti al tush - nella speranza che si crei un piccolo gruppo di interesse sulla cartografia e la letteratura, il cinema e l'arte - potrebbe essere in seguito studiato e sviluppato per un 'paesaggio di segni' andando a cercare gli atti dei convegni estivi del 2005 di Urbino... tra fumetto e archeologia della scrittura. Nel frattempo chi scrive annuncia di completare il master in informatica della storia medievale sull'arte quattrocentesca, la stilistica romana, alcuni aspetti costitutivi dell'immagine - poi sperabilmente - di conseguire alcuni esami di aggiornamento tra quelli liberi e sperando che il mio cognome non sia il motivo di tanto odio - e quindi di non dover ricorrere alla richiesta di assumere quello della zia materna (Maffei) - nel prosieguo aggiornerò questo blog con le news sulla discriminazione sociale e razziale e quindi sul falso protezionismo che sta intentando con ogni mezzo forme di fagocitazione della cultura italiano-europeista-mediterranea di tradizione antichissima. Qui da Rovereto - Trentino - dalla écriteure libre - semper fidelis a Degasperi e alla Costituzione. Se poi mi sarà concesso l'insegnamento nonostante padre Italo-Inglese e mamma discendete fu Tommaso Maffei e assiduo lavoratore per l'Italia dal suo primo lavoro come ingegnere, e dato che gli inglesi siano i veri cugini per Magna Grecia degli italiani, allora chiderò ai miei amici di Urbino, dopo anni di tentativi non riusciti, a causa di un sistema basato sull'incertezza professionale, se mi possano riconoscere un livello 1 di master in Narratività e nuovi media per titoli e Master informatico e a distanza fare il II livello - o altrimenti chiedere a quelli di Venezia dove anche mi piacerebbe insegnare ma immagino che sarà la cosa più difficile e chissà... per un amore che conservo: comunicare, progettare è essere - erga sum - per comprendere per sviluppare cittadinanza attiva, per trasmettere cultura, ai sensi del Codice dei Beni Culturali, per sviluppare idee nell'originalità possibile della didattica efficace.


Aurevoir


Tania L. Gobbett (Maffei)



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Il punto del trivio nel quadrivio


Nelle mie escursioni flochiane sulla preistoria (ho fatto le equazioni al guazzo di un dolmen che sembrava una tomba regale con inscritto il rituale dell'inumazione, tra le altre) - individuazione grossolana iniziale del genere di discorso - poi da trilix (segno iconologico saussuriano, segno percettivo-schematico logico peirciano, segno come discorso e oggetto narrativo greimasiano), ho intravvisto solo un sistema possibile per la concatenazione dove non c'è che bricolage, sacralizzazione, istruzione, scena.
   Nella mia semplice rappresentazione tre d il segno si sviluppa in direzioni proprie (figurazione) ma parte da una base semplice di rapporto con le eccedenze aggiunte del caso con le fisionomie del dato (tematizzazione) - è un'equazione intersemiotica di secondo grado - in cui al freno isotopico del reale, si aggiungono aspetti che Lévi-Strauss chiama 'eccedenze' del testo/immagine: se da un lato tutto ciò che è profondo e saliente è passibile di infinite intersezioni, la nozione di nodo o di punto obbliga ad una sorta di reticolazione isotopica verificabile (veridittiva) - mentre cercando quindi le soglie della cristallizzazione dell'oggetto narrativo si lavora sulla periodizzazione della mancanza (e sulle conseguenze della menzogna o del tranello, ma dove metteresti l'errore Fontanille? se non nel non sapere incoatività di una abilità, un dover essere modellabile e in modellamento, ovviamente volta a qualunque progetto anche nel pieno di una risorsa creativa), il presemiotico resta nella nebulosa, dove diviene enunciato a suo modo, speranza e rinvio, proiezione e catastrofe. Se per fare un esempio veneziano colto e un po' repubblichino nel gesto propulsivo, Vedova collima con il senso di Pietà, consapevole, come nel Tondo Doni, che il segno c'è, la demarcazione sia ineludibile, soggetto di questa presa, di questo cogliere è proprio lo spazio, il contenitore è il continuum, paradossalmente il diaframma dissolvente la barriera, giocato in Paolini come replicabilità altrove connaturata solo al fare estetico, alla curiosità imparziale, che cerca nell'essenza cava, nella manque, una figurazione diversa dall'apparire omogeneità; poi la soggettività: una concezione della natura strutturata forse.
   Torno al preistorico: è prefigurale? Quando si parla di semiotica nella preistoria occorre sapere che il 'testo' è dato dall'ambiente, dal cosmo, dal rigagnolo di acqua che permette la sopravvivenza. Il sasso che colloquia con un fare che sta emergendo come saper fare non disgiunto dal saper essere, come primo limite alla sopraffazione dell'altro. Source et scible du droit humain. Poi occorrre capire che la figurazione schematica, illustrata deve essere studiata a contatto anche con la fotografia, con le gomme pane si ottengono primi calchi piccoli di osservazione sul luogo, ingenua, ma anche con il pennarello e il lucido molle si hanno sensazioni sorprendenti del solco, con la cera, campioni eventuali del segno lasciato: dovete sapere se si tratta di punta di quarzo o metallo, per discriminare un falso ideologico da un reperto, per razionalizzazre il campione e poi accostarlo alla dinamica semiotico-storica veridittiva.
   Il concetto di congiunzione, quindi: questa non va vista come operazione ma come contenuto concettuale, posta assiomaticamente, sistemicamente - memoria continua, credo possibile nell'oggetto (museografia, design, industrie), potenziale solo nel soggetto: se per astrazione indichiamo un processo astrattivo, astraente, non di meno questo aspetto potrebbe essere contestualizzato. Torniamo all'eccedente, per un momento, se il gabbiano vola non è un rema (Livingstone lo sapeva): se il guerriero salta da una roccia ad un'altra si. Il salto è storia, l'ovvio è illustrazione - sono regimi di senso che qualificano l'eroico concettuale disgiunto da qualunque particolare mero accidente e l'estetico basato puramente da relazioni spaziali e schematiche; insomma mentre l'illustrazione si incatena ad una configurazione al massimo paesistica, epica, l'eroe segna il passaggio lasciando una traccia di inventio, rendendo soggetto il luogo. Una grammatica bell'e pronta per divenire loquace ed eloquente brusio, lavorio di forme.
   Se leggiamo Ungaretti, come per Montale, non dobbiamo stupirci che i suoi creti siano molto di più di colore, segno, piano possibile di un fotogramma diverso, ton gris o tuchs. La poesia diviene il topos di confine: se lasciare traccia dell'esistere è discorso sulla vita, allora la poesia ne è un riflesso tangibile, la registrazione fedele, la punteggiatura ritmica, la rima causale che garantisce coerenza e coesione dell'Io davanti al luogo ineludibile in cui compensa la storia qui e ora con l'eternità immaginabile.
   Aristotele cosa ha a che fare con la preistoria? l'anima di Aristotele è tempo? schema? silhouette? perimetro del senziente |412b| - l'occhio di Decartes - envelope - limine? Atto primo di un corpo naturale che ha la vita in potenza: il vedere. Una paratassi complessa che costituisce il differenziale, un po' bizantino, ma più o meno. Più quattro shifters! spostamento, alterazione, diminuzione e accrescimento (traducendo forse Peirce che le ha buttate giù come relazioni prensili - prese - estensione/modificazione/sottrazione/moltiplicazione e complementari algoritmici), tutte da rimettere alla sola prova qualificante: l'essere umano, l'essere in genere, migliora, si raffina, si assottiglia nella sua capacità di percepire la giustezza di qualcosa, con l'esperienza su oggetti simili e dissimili. Per me, Peirce introduce il concetto di magnifico, come qualcosa di rappresentabile e di coglibile (una scelta oltre l'anedottico) e in questo è molto american, come certi quadri di storia, che riprendono immense sequoie, eucaliptus giganti che estendono le chiome fino a carpire forse anche le nuvole...ma poi ci ripensa, sposa una francese che coltiva qualche curiosità egiziana, e il "magnifico" diviene segno culturale, estrinseco alla natura, creato dall'uomo per un qualcosa che solo il senso della misura contiene in sé. Quasi una scienza ex voto.

mercoledì 2 giugno 2010

|neue|such|licht|keit| lumi nella stanza della scrittura

|    I solitari amano il diario ['il tempo' alla francese diceva Giac suonando il piano per spiegare il senso del ritmo]. Poi ci sono quelli che amano gli acquiloni - che in francese sono cervi volanti (cerf volants) analogia del chiasmo. La ricerca di una 'pagina' della storia parte comunque dall'oggetto del sapere. Flying kite e teoria degli insiemi fanno il resto. I giochi di parole, danno ai rebus il sapore enigmistico del colpo di fortuna o del colpo di scena: la verità, invece, è un duro lavoro di collocamento successivo del sé nella cultura e nella storia.
Non è il mio campo la letteratura artistica forse - ma ho fatto due esami perché mi piaceva - volevo fare l'ISIA di Roma, prima, molto prima, amavo il disegno architettonico - tutto credo per andare più lontano, o a Urbino, perché mi piaceva l'idea di disegnare qualcunque cosa, non so come sono scesa alla stazione di Bologna e mi ci sono fermata tre anni e mezzo - quattro più sei mesi quà e là e tantissime ore in treno - ne amo alcune cose ma l'unica cosa che ricordo mi abbia ferita era l'arto mancante della camera oscura in via Zanardi - ne è emerso il mio pensiero bromografico - onda quadra del rilievo - Wittgenstein si è dimenticato di mettere il francobollo, penso ora, della sua teoria, così della sua email la casella postale ha lasciato un timbro dissolto sul rango neutro della pagina. L'email cloisonné di antica memoria decorato con foglie d'ulivo forse, del Musée d'Orsay, sembra uno scrigno. Dell'impaginato ho l'immaginazione, la sensazione la curiosità, qualche graffiante à plomb mi costringe a guardarci dentro, ma è come vedere ad occhi chiusi; così, mi sento come una naufraga, con l'isola da ripulire dalla tempesta, se non che spero sempre che ci sia qualcuno che mi getti un salvagente in un mare blu inchiostro decisamente profondo, dai lembi scocciati - certo qualche piccola opera grata all'esistente forse ne nascera, dalle suture delle coste o dalle striature offese, slise imbronciate slavature. Quando si parla di arte e del modo di approcciarsi, Calvino resta un fantasista notevole: lui al centro di una cosmologia, in cui affonda con tutto il peso, una specie intera di dinosauri che sembrano accorgersi di non essere soli - per idealizzare la sua figura non ci sono mezzi disponibili che quelli del quotidiano approccio alle cose, il design, l'industria, l'auto, basta guardare fuori dalla finestra e in alto; una sorta di diarizzazione etnometodosemiotica del rapporto tra la cultura e la società preindustriale si raccorda al suo Cavaliere inesistente - il mito del sestante-misura di un'attesa prima che finisca il film Neorealista, o asciutta analogia di un orologio celeste sidereo in una stazione di Hitchcock.

     Di Bologna amo il vigile senso del 'tempo', e non è strano che si provi commozione per chi se ne cura - il desiderio di rileggere le cose perché qualcosa sta andando perso - il gotico fiorito cullato tra marmorizzazioni bianchissime (memoria sociale dei minatori di Carrara) e mattoncini rossi refrattari che diventano 'roccia' della storia e limine contro i barbari - corridoi dove puoi andare con i rollerblade, vestito da timido pagliaccio che fa il giornalista, la domenica incontrando qualcuno per fare due chiacchere e leggere il giornale - il sorriso della gente sui tram che sa di adozione - qualcuno che è sempre disposto a mostrare e trasmettere la storia con un gusto profondissimo e legato all'Inghilterra dalle vie di Pellegrinaggio - diritte al cuore della parte antica della città, i suoi musei scientifici prima laboratori dei dottori dell'università e dei pellegrini... vie che risentono di un'antichità inconfondibile sembrano epidermidi specchianti...Ma può darsi che mi sbagli: schizzi, grafi esistenziali, sembrerebbe la fotocopia di K. Klark che leggevo piccolissima a spugna, o il dentino di un personaggio mordicchiante che ha solo la patina in una illustrazione d'infanzia - oltre a studiare e vedere le cose degli altri, mi piacerebbe disegnare disegnare e scribacchiare poesie, sotto ombrelloni volanti, tutto il tempo (preferisco i disegni a penna di Morlotti, ai suoi quadri - quel rischio di slavature improvvise...) e non so come faccia Holderlin ad essere a fianco di un suo quadro; almeno per tre settimane all'anno, aspettando qualche doccia fresca dall'Atlantico, a Santa Maria di Leuca, qualcuno da infastidire con le bolle per poi coltivare lo strano interesse per la costa come forma di magmatica astrazione.


     Basta a colmare il mio senso inquieto di abbandono - come se orfane fossero le pieghe delle pagine... nelle canzoni dei neri e dei bianchi smarriti e solo così possiamo suonare delle canzoni che siano jazz e popular music a sfondo italoidiografico. Io che mi sento figlia dei templi di Paestum, delle grotte azzurre, delle stalattiti... e già da piccolissima cavalcavo le onde con la deriva della barca a vela di mio padre... surfing semiotics.


Ma ecco, proprio in questi giorni ho pensato che farò una mostra iasv, se, entro il 2016 - frammenti di risacche: resti, avanzi, riporti, scarti che arrivano sulla spiaggia, inaspettati - a Tolstoj e a Calvino - per una semiotica plastica della ripresa. Logicamente non si tratta di questo, ma di tutto quello che non ti aspetti venga impresso - una piccola cosmologia sistemica - pezzi indefiniti di noi, stelle senza nome che aspettano, nuove nuove che ricordano taxi driver...e molto altro, su quelle increspature una foto in costume da bagno a punti bianchi o rossi, sulla deriva nel più bel mare della Campania, o l'idea che una tuta a tacche bianche e blu possa sembrare più egiptian nel tuffo più che nella camminata, in gita alla Grotta Azzurra. Non suona diverso, inconsueto, stranamente italiano? Qui, per i fatti miei, ma solo nell'idea spero, farò un viaggio di ritorno, con la rete piena di frammenti...pensando a come italo Calvino vedeva l'Italia da fuori. Ma non so se ci riesco, qualche cosa, qualche foto l'ho vista, io ho visto solo lo studio alla Garzanti, avevo 16 anni, conoscevo la Marcella Bassi. Ma di voi non so niente, prima o poi qualche cosa però, mi intrufolo e raccolgo, o ci mando una nota spia...l'unico mito del '900 è la fotografia neonatale, l'autocarrozzina - a quattro ruote, la spiaggia adattata ad uso pediatrico, lo zucchero a velo. Poi il contrasto della guerra, il fascismo teologico, il divismo delle bufere della Russia tradotto in aloni di fumo di Greta Garbo - l'astrazione da tutto - il colore. Il manuale della conchiglia...Vi immaginereste un ritorno all'antinominalismo alimentare? quello in cui non 'è nemmeno un gradiente che vi dice cosa e quanto vi sia dentro nelle confezioni per bambini, adulti, sportivi etc.?


Ciao
una vita in t-pee
21.o6.1o

sabato 22 maggio 2010

I MACCHIAIOLI

Il realismo discreto Yle vs éidos

Il 1861 consacra la capitale provvisoria del governo dello Stato Italiano a Firenze – che sarà protagonista della Esposizione Nazionale (Industriale ed Artistica). Sotto il Governo di Leopoldo II, granduca, si celebra un cauto liberalismo. Questo governo favorisce in parte il nascere spontaneo del cenacolo di pittori e intellettuali, scrittori e critici d’arte orientati alle tendenze liberiste ed anarchiche quale reazione al conservatorismo servile. Teorico del Café Michelangelo è Diego Martelli [1838-1896] la cui retorica di maniera, in parte, favorisce una scrittura attenta ai fenomeni artistici. È quindi Saverio Altamura a rappresentare l’Italia a Parigi nel 1855, all’Esposizione Universale, contribuendo così a riportare in Italia le novità, ma anche a rappresentare le innovazioni italiane costituendo un valido punto di incontro degli artisti francesi, come felice traduzione in campo pittorico di motivi culturali e di genere tra belle lettere e belle arti.”Fu l’Altamura, ci dice il Martelli, ‘che in modo sibillino e involuto cominciò a parlare di ton gris allora di moda a Parigi, e tutti a bocca aperta ad ascoltarlo prima e a seguirlo poi per la via indicata, aiutandosi con lo specchio nero che, decolorando il variopinto aspetto della natura, permette di afferrare più prontamente la totalità del chiaroscuro, la ‘macchia’” (Dario Durbé). Mentre la collezione pittorica di Anatoli Demidoff, nella villa medicea di Pratolino, esponeva nella sua raccolta aggiornata Delacroix, Ingres e Corot. A breve i soggiorni fiorentini di Ingres (che dovrebbe incontrare Bartolini), Manet e Degas (che frequentavano Hayez) permisero un dialogo formativo, ispiratore di nuovi criteri compositivi creando una nuova tensione innovatrice tra il Quattrocento italiano (il disegno stagliato di Botticelli e lo sfumato leonardesco) e il lessico cromatico della toscana risorgimentale.
I Macchiaioli attivi tra il 1855 e il 1867 sono capeggiati da Giovanni Fattori che ritenne il termine piuttosto come un piglio dai contorni antiaccademici mentre in realtà ne inaugurava lo sguardo rivolto alle lezioni di Leonardo sulla macchia ad incrostazione naturale – un valore non più semplicemente di decorazione pittorica di sfondo, ma, sul lezione di Leonardo, una lezione di pathos, di superficie, tanto da riversare su di esso aspetti memorabili, concettuali e teorici, di descrizione fenomenologia dei valori luministici.
Luce, colore e ombra – skiografia – sono infatti le leggi della teoria delle ombre importata dalla Francia, ma inaugurata per necessità ottiche dal mosaico italiano bizantino. Di ombre colorate infatti ne troviamo diverse a rendere comunicative le dimensioni dello spazio urbano dei Macchiaioli. Non più solo la forma, l’éidos, ma il colore, a dare sostanza alla gradualità della profondità, sulla scorta leonardesca. Se da un lato abbiamo sottolineato la matrice musiva (del mosaico) utile a dare corpo a piccole “masse compatte e solide” di colore concreto, è la loro combinazione, il preciso contatto a determinarne il valore tonale, la luminosità, il contrasto cromatico che offre intensità e peso. L’idea di dipingere, d’altra parte, secondo varie “temperature” luminose, di toni caldi e freddi, era già artificio retorico visivo nell’Hayez de Il Bacio, ora restituendo un segno abbreviato e tremulo, sfrangiato nei contorni, tanto da dare alle figure un aspetto vibrante come nel controluce che ne traduce l’atmosfera. Le architetture (tra I e IV stile) cromatiche e luministiche, e non vogliamo qui esaurirne il tema complesso già riconfigurato come contesto tematico lirico, del genere di storia, intensificano la componente poetica a tutto vantaggio della concentrazione in piccole tele dei soggetti. Qui dove nasce il salto di genere, matura la contrapposizione generazionale, il superamento dell’effige “di storia” per una ricerca pittorica non più restituita sulle ampiezze e sulla descrizione, ma sulla direzione di ricerca della discrezione. I contorni sfocati, attenuati, come per acuità visiva, oculare, sono dati nella concezione veristica: una natura che non ha contorni netti, icastici (stagliati e quasi staccati dallo sfondo), sulla scorta della tarsia, quanto rivolti ad integrare l’immagine nel suo contesto atmosferico, su ben consolidate soglie leonardesche. Saranno le riscoperte tavolette di un Simone Martini, piccoli, paesaggi senesi che, strutturati simbolicamente, custodiscono micro racconti fantastici, ad attirare il consenso dei pittori più colti. Il volume ridotto (per ricondurci criticamente, sebbene teticamente a posteriori, alla riduzione fenomenologia di un Husserl) adotta piccole superfici di colore uniformi accessibili ad uno sguardo ravvicinato data la misura delle opere. Paiono tacche, plaghe di colori saturi che si sovrappongono gradatamente sugli sfondi, talvolta spenti, come concreti dettagli adibiti a supporto del colore. Eppure, se geometrici, in quanto rappresentano puri piani prospettici che denotano la profondità con sicurezza, aspirano ad essere placche cartografiche, piani o livelli. Ciò che rimane delle mezze tinte, fa da legante (da agglutinante, come espressione locale), luogo in cui depositare una memoria visuale, costruita a macchie, ma di ordine essenziale, ricordando appunto legno, mattone, intonaci e, grossomodo, fronde. Restituiscono, di nuovo, scarni elementi compositivi. Gli esempi studiati sono dunque eccellenti per il rapporto traduttivo, per l’assunto veristico, per le intime sonorità rivelatrici di un paesaggio vissuto.

Raffaello Sernesi [1838 – 1866]. Si nota delle sue opere il volume ridotto, a piccole superfici di colori uniformi (secondo una caratteristica omogeneità) e geometrizzanti, con uno scalare declivio di piani verso pacate profondità.

Giovanni Fattori, nasce come pittore di “storia”, ma è una storia di cronaca, trattenuta con lo sguardo partecipe. Contribuisce alla poetica verista. Il concorso del 1859 offerto dal Governo a tutti i pittori e scultori in grado di illustrare le grandi vicende italiane, lo porterà ad esporre temi come quello del Campo italiano dopo la battaglia di Magenta: il supporto è narrativo, una fotografia, si direbbe, colta sull’istante, discostata dagli eventi della grande cronaca, come a partecipare nel retroscena, dietro le quinte, con un attenzione a restituire il morale. L’aspetto umano degno di rappresentazione è quello dell’attesa, della vigilanza sul campo nei momenti di pausa, di sosta o di tregua: gli permette di dare voce agli angoli riposti, al respiro delle situazioni di un esercito, senza porre etichette, giudizi o proclami. La realtà, così, è ciò che l’opera afferma nel momento ripreso. Il Risorgimento italiano è vissuto con lo sguardo di un Pisanello, per il linguaggio cortese, di un Paolo Uccello (Battaglia di San Romano), con un effetto vividissimo di presenza. I toni cromatici sono l’effige, il simbolo di appartenenza, ma anche una sorta di naturale linguaggio esprimibile.
La rotonda di Palmieri (si suggerisce un parallelo con il Thomas Mann de La Montagna Incantata) I riferimenti senesi non diminuiscono ma si accentuano nella scelta di formati, ma non solo, come per incastonature possibili, il panorama intagliato quasi dai tendaggi ricorda la Maestà, sui palchi di Siena. La stesura calligrafica del formato sembra tuttavia impreziosita da improvvisi dettagli luministici. È a Livorno nel 1866. Il mare visto come rifugio della famiglia dell’artista è l’occasione del quadro. Toni infuocati dal meriggio assolta tolgono al paesaggio ogni accessorietà. La pittura si schiarisce più nei colori che nei soggetti, visti come stagliati di schiena eccetto forse la protagonista del quadro. Come a vibranti eccedenze pittoriche, speranze espresse da quella luce che avrebbe dovuto essere terapia per la malattia della moglie di Fattori, basta a sfaldare quella tensione lineare come si trattasse di un disegno morbido, litografico. Il formato è volutamente ridotto, come abbiamo detto, nella compostezza della misura portatile che ricorda le icone (12x30 cm) assume la valenza di un ricordo telegrafico, orizzontale, sfrondato, senza venir meno al segno e al dettaglio privato dell’opera. Il testo ricorda una sorta di “partitura cromatica”, à plat, realistica. Insistendo sui piani ne individua l’orizzonte come un flebile contatto di superfici scandito aritmicamente da figure raggruppate attorno ad una di esse stante. L’annotazione affettiva, casuale in parte, della situazione è eloquente: manca l’analiticità delle opere del concorso, non c’è quella messa a fuoco di volti o di dettagli, favorendo un programma di “misura” coerente con la presenza dei disegni preparatori.

Gli altri protagonisti: Giuseppe Abbati [1836 – 1868] - Telemaco Signorini [1825 – 1901]
Questi due artisti si incontrano spesso nella tenuta di Castiglioncello di Diego Martelli – la vocazione intellettuale e di ricerca favorisce un chiarimento rispetto all’opera: la pennellata secca, illustrativa, asciutta, il segno conciso, rapido e telegrafico, fanno pensare al modo di disegnare tipico della litografia, rapida esecuzione, focalizzazione di retorica espressiva, immediatezza – sulla tela, riportata alla tecnica tradizionale dell’olio, sembra potersi riconoscere un’intenzione pittorica che riporta in luce la tecnica a giornate, contesto questo in cui l’artista fissa il suo proprio canone descrittivo.

Giuseppe Abbati ne La baia di Caletta presso Castiglioncello, 1861-63, olio su tela, di 21x66 cm ora conservato a Savona, in una collezione privata – è svolto complessivamente sulla ricerca di un impaginato arioso, ne costituisce il linguaggio estetico l’aspetto artistico della restituzione. Una prospettiva naturale, composita e en plain air, finita in studio, probabilmente, per i toni omogenei di alcuni elementi (acqua), pone una prospettiva di ottica da campo lungo ora costantemente studiata per gli effetti generali della composizione: si distinguono i piani con le increspature dorate del sole sparse sul terriccio, con varianti di stesura non imitativi, per placche materiche di colore.

Telemaco Signorini, Pascoli a Castiglioncello, cm 31x76, Montecatini Terme, coll. Privata.
Anche in Signorini, il colore è riflessione: il segno partecipa dell’animazione dei soggetti rappresentati, quasi a coglierne il respiro, mentre le tonalità sulla scorta di Leonardo, sono della tavolozza più varia, a contrasto, con scarti di toni che tornano sul segno per scandire i limiti di campo. Se risulta lo sfondo sotto tono è perché sulla distanza l’occhio non ha presa nel dettaglio vivido. L’equilibrio della situazione è profondamente compositivo e non dispersivo di quello sforzo globale mimato dalla pastorella (in realtà in termini ottici e per semplificare, si potrebbe parlare di una sorta di sforzo visivo, panoramico, non di meno poetico – realistico, tanto da richiamare il ben noto sistema della veduta).

Silvestro lega [1826 – 1895] Lo stile paesaggistico di Lega può essere definito “paesistico” per gli evidenti riferimenti alla vita del tempo, alla realtà vissuta si confronta con la corrente realista, i temi letterari, inoltre, sono sviluppati accostando anche in questo caso la realtà quotidiana della famiglia. Una giornata sotto il pergolato è il pretesto mondano e famigliare trascritto con intenti composti secondo una sorta di revisione dei generi, una applicazione delle regole compositive per mettere in luce l’inventività della griglia della veduta. Il risultato è di saggio in cui compostezza e precisionismo architettonico si confondono con i temi civili. L’effetto di partecipazione è motivata dalla “regia” di sguardi tanto da risultare una silenziosa presenza di soggetti. È poi il dispiegamento della teoria delle ombre a restituire i rimandi all’arte applicata, tra ombre portate ed effetti luministici cari alla tradizione pittorica settecentesca. I gesti minimi non si disperdono in una somma di dettagli ed assumono il valore il valore di una sorta di discorso simbolico tra figure.

LA SCAPIGLIATURA LOMBARDA
L’eccezionalità della pittura sembra una risposta all’ecclettismo internazionale del contesto culturale lombardo prefigurando i generi dell’Impressionismo italiano. I colori e le luci sono contemporaneamente costruiti sul sicuro impaginato e l’immediata leggibilità, pur nell’inafferrabilità, nella densa e frastagliata cornice dei valori pittorici di superficie. Una pittura che sembra data come lo zucchero soffiato, esprime una dolcezza barocca mentre il tratteggio sempre più rapido e mosso ne costituisce l’elemento costruttivo. La pittura degli scapigliati è giocata forse sul rinvio provinciale: capigliature appunto, ora messe in rima con il trattamento cromatico dei tessuti ne rivelano l’intima coerenza. Un segno vibrante e virtuoso, emerge come raccordo storicistico di alta cultura: solo l’edera, in primo piano, scandisce e incolonna il ritmo ascensionale dell’immagine di Tranquillo Cremona, dove con L’Edera, del 1878 (132,5x100 cm (Torino, Galleria d’Arte Moderna) mostra di rappresentare la trama del racconto pittorico. Oggi potremmo leggere queste opere come sfide alla geometria euclidea – si tratta di modulare la luce in contorni non più lineari, di uno spazio curvo. Ne costituisce il congegno la teatralità, l’ariosità e la gestualità trattenuta. Lo stesso identico risultato, criticamente, lo si riscontra nelle opere di Daniele Ranzoni dove nei Figli dei principi Trubezkoy del 1873-1874, l’opera di un formato medio, per la ritrattistica (116x138cm), mette in luce una posa fotografica, in cui l’immediatezza e la cura dei dettagli traducono una sperimentazione dei valori pittorici.