mercoledì 13 giugno 2012

] scorci filosofici tra le fonti dell'Illuminismo


L’EMPIRISMO ILLUMINATO di David HUME
L’ILLUMINISMO AUTORITARIO di Jean Jacques ROUSSEAU
La necessità delle scienze filosofiche per la conoscenza
e la politica come ricerca di un sistema di vita
] appunti per un sostegno individualizzato

Fonti principali Illuminismo in Inghilterra e Francia
AAVV, garzantina di filosofia, Milano, Garzanti, 1993
Bertrand Russell, Storia della filosofia occidentale, Milano, Longanesi, 1983
Wikipedia, voci: Illuminismo, concetto di Illuminismo, le personalità

Parole chiave:
Illuminismo: rischiarare, rendere chiaro; critica e metodo
Hume: distinguere le impressioni dalle idee, la memoria dall’immaginazione; la vita come un flusso in continuo movimento; passaggio abbreviato tra termine ed enunciazione non fa che perpetuare idee soggettive non riscontrabili; sette tipi di relazioni oggettive; la nozione di esperienza; diversità degli approcci ipotetici – tra deduzione e induzione del dato o della legge. Rousseau: la democrazia come il migliore dei sistemi – per una rappresentatività aristocratica su modello della Polis.

Preambolo. Il periodo riconosciuto come Illuministico richiede qualche attenzione terminologica per la sua pervasiva estensione ad una pluralità di significati d’uso corrente, specifico, culturale e ora storico filosofico. Il problema di distinguere un illuminismo prettamente teorico dall’uso specifico che è stato introdotto nella storia richiede riferimenti a termini che riguardano alcune funzioni della filosofia quale il concetto di intelletto. Per cercare quindi di non creare cesure troppo artificiose, questa breve trattazione, cercherà di essere più riassuntiva possibile.
1700 – XVIII detto anche Il secolo dei lumi in quanto accanto ad una necessaria ripresa in campo filosofico del termine il secolo è caratterizzato da una maggiore sistematicità delle scienze, da uno spazio maggiore concesso all’invenzione, alla creazione di un approccio scientifico per regolare e rappresentare gli aspetti contenuti entro un termine a vocazione aperta e storicamente risalente alle origini della scienza stessa nell’alveolo della cultura indoeuropea e specificatamente greca.
Il concetto intuitivamente ricorda il rendere chiaro, rischiarare, porre un lume, svelare illuminando, acclarare (in italiano comporta anche una processualità esplorativa e investigativa) ma le sue origini medievali sono legati a termini meno significativi in sé e per tanto vale la pena di spendere alcune parole su termini come “illustrare” prossimi al concetto originario di enlumination e “descrivere” che pone dei limiti concettuali di attinenza e realtà concreta dei fatti, “trarre da un percorso noto” ed anche “mettere in una luce nuova” qualcosa che è stato visto o letto, scoperto o ritrovato dando così nuovo impulso alla storia che esigeva una condizione di chiarezza espositiva e di compendio (commento e riassunto dei testi). Tuttavia come è stato colto nel Rinascimento la riscoperta dei grammatici, ha posto anche questioni non solo di tipo analogico (analogia come somiglianza e parità di concetto) ma a richiesto una forma libera di indagine, che ha permesso di pensare al concetto di «illuminazione» come a qualcosa che riempie e rende vasto l’orizzonte, favorisce l’estensione di concetti e verbi, regole o fenomeni in base a fatti reali in chiave universale (generalizzazione), rende possibile lo studio dei meccanismi logici produttivi delle generalizzazioni stesse, favorisce lo studio e l’osservazione del vasto campo storico ponendosi al centro temporale, al crocevia simbolico della generalizzazione precisa dei fatti (aoristo). In tal veste non è un caso vedere nell’Illuminismo le fonti del laicismo moderno e contemporaneo più equilibrato ma anche il predominio della scienza sulle altre forme di conoscenza in quanto essa si costituisce sulla base dell’osservazione di leggi sperimentali.
Veste critica e metodologico scientifica. L’Illuminismo per poter sondare con sicura ratio lo scibile con credibilità senza deformare, né osservare in modo contraddittorio e quindi per formulare correttamente le proprie tesi sulla base di osservazioni concrete, si volge alle scienze conosciute: l’ottica sopra tutte (per il concetto di visione globale e d’insieme presa in un solo colpo o in più osservazioni restituibili), la critica ai concetti storici della filosofia e della formazione delle idee. Il concetto stesso dell’illuminismo, si pone come a fondamento delle scienze in quanto stabilisce come principio la fiducia destinata ad esse circa la loro finalità e la loro stessa libertà. Come primo ostacolo quindi da affrontare l’Illuminismo pone la sua critica nei confronti del dogmatismo, delle superstizioni e delle credenze. Per estensione l’emancipazione da queste posizioni costituisce una emancipazione culturale e politica insieme. Per metafora, probabilmente, si pensa che il termine abbia una continuità con tutto il pensiero filosofico in quanto determina un distacco dall’ignoranza a favore della conoscenza e per questo la necessità di riflessione sulla produzione stessa delle idee in ambito filosofico diventa la chiave di lettura della sua fortuna e della sua produttività in ogni campo. Sofisti, scettici, epicurei, stoici affrontarono il motivo persistente della dipendenza dell’uomo da schemi ultraterreni e immaginari e non dalla ragione, né dall’esperienza.
In senso storico l’Illuminismo nasce in Inghilterra sotto la spinta degli studi classici filosofici e scientifici dedicati ad ogni parte dello scibile umano. Dal punto di vista del processo del pensiero prende il nome di enlightenment in quanto pone in relazione l’attività del soggetto con il suo oggetto in senso concreto e reale anche dal punto di vista teorico e ipotetico. Si diffonde in Francia dove è esposto alla forza divulgativa delle Accademie scientifiche che inaugurano l’età illuminista – l’age des lumières tuttavia è connotata dalla segnata importanza con cui sono rappresentati i filosofi e la loro attività saggistica svincolata da immediati impieghi ma unitaria. Il testo diviene per tanto il centro della riflessione, la sua tenuta ed estensione ad ambiti diversificati. In Germania il movimento liberale e antioscurantista concede all’Illuminismo spazi di sviluppo (Immanuel Kant) che non hanno una continuità in quanto se ne accusa l’eccessiva personalizzazione, ma avranno un perdurare dovuto alla possibilità accademica di discussione e perseguimento del valore soggiacente compreso nel termine.
In Inghilterra sono letti Voltaire, Montesquieu, Fontanelle dall’originale quando già circolano le idee di Cartesio e sono sostenute quelle di Locke e Newton come metodologiche non senza contare sulla presenza di Francis Bacon come divulgatore. L’approccio critico e discorsivo aveva messo in luce le tensioni e le contraddizioni portate da una adesione passiva alla scienza (approccio sensibile, intuizionista già descritto da Spinoza o Leibniz che ricorrono alla trasposizione) per un approccio maggiormente generalizzato, dotato di una visione globale, degli effetti del pensiero filosofico che a necessità politiche costituzionali. David Hume, 1711-1776 ridefinisce la teoria generale dell’Illuminismo sotto alcune condizioni di tipo empirico pratico: i fatti contenuti nelle leggi sono oggetto del filosofo. Il suo Trattato sulla natura umana, scritto in Francia, venne poi ridotto e sviluppato nella parte costitutiva dell’Indagine sull’intelletto umano. Il testo si propone di distinguere le impressioni dalle idee e ciò che queste generano qualitativamente: memoria e immaginazione. La realizzazione sistematica dello spazialismo di Cartesio su cui verterà tutta la discussione post kantiana avviene in modo più esplicito e comprensibile a partire dalle idee astratte aderendo certamente nella formulazione anche al pensiero di Berkley: “Tutte le idee generali non sono altro che idee particolari, legate ad un certo termine che dà loro un significato più estensivo, e fa si che esse richiamino alla mente in determinate occasioni (nozioni di ‘circostanza’ e di ‘momento’) altre cose simili ad esse”. Hume fonda la sua critica alla teoria nominalista che si pretende esaustiva e indifferente applicazione degli universali (derivata grossolanamente da Aristotele senza termine di specificazione che permetta di qualificare l’argomento: “l’uomo è razionale” o meglio invece “l’uomo è un essere razionale”) sulla base del principio di verificazione: cosa distingue quel gatto da quell’altro non è certo la somiglianza ma l’individualità. Il laicismo di Hume trova spazio nell’idea di spirito (grossolanamente tradotta di volta in volta con anima, sensibile, intelligenza): esso “non può formarsi alcuna nozione di quantità o qualità senza formarsi una nozione precisa del grado di ciascuna di esse” (in quanto ‘grandezze’). Si pone in un certo modo il problema del linguaggio oggetto della filosofia. Inoltre Hume rende ancora più chiara ma al contempo problematica l’aseità – la sameness - che sarà oggetto di riflessione filosofica ed estetica oltre che psicologica: può il soggetto parlare di come percepisce, o può solo osservarsi percipiente? Ma, quindi, non potrà affatto osare una definizione esatta del percepito (di ciò che di fatto ha percepito)? Per Hume la risposta è chiara: il corpo (e ne deduciamo soggettivamente il ) non è che un continuo flusso in movimento. La novità di questo pensiero è l’idea di traslazione, di trasmissione continua da un soggetto ad un altro, senza soluzione. L’individuo singolo può fare lo sforzo dettato dalla sua abilità in sostituzione delle impressioni e quindi delle semplici idee, di ricondurre i termini alla enunciazione o legge che questi rapportano (traslano) empiricamente alla realtà o meglio alla memoria del vissuto. Il passaggio breve, rapido tra termine ed enunciazione comporta una sorta di economizzazione ma traduce la rapidità e il flusso in perpetuo movimento in analogia con lo stato in cui troviamo l’essere. Hume non valida l’idea di Io e quindi sotto questo aspetto non è precursore dell’idealismo più marcatamente dialettico – è in fatti scettico su questa posizione – che con cautela sostiene non essere senziente ma un termine astratto e liquida in tal modo la questione della sua individuazione. Prossimo alle idee di Occham: il “mazzo” di percezioni che dovrebbe darci un certo Io, non è percepibile prima della sua appercezione, convocata in modo sensibile. (Devo insomma dire “Ehi, Paolo, ci sei? Giochi anche tu?” restituendo sia la relazione soggettiva che oggettiva).Vi possono essere conseguenze anche sul fatto che Hume così facendo toglie sostanza al sensibile in quanto in qualche modo lo generalizza come questione logica e teorica prima e quindi situa l’idea dell’essere Io come semplice idea di soggettività in sé non sostanziale. Il passo progressista, di Hume nella filosofia, se vogliamo dire così, avviene di conseguenza.
La tesi sulla soggettività entra nell’ambito delle modalità aletiche che riguardano la certezza o l’incertezza di una condizione data – ovvero il presupposto stesso della ricerca, la sua necessità. Questa modalità sarebbe tipica dell’aoristo perché ci pone in una condizione incerta rispetto al passato e particolarmente incerta riguardo al futuro in quanto non ancora presente.
Sette tipi di relazioni filosoficamente oggettive o rilevanti: somiglianza, identità, proporzione di quantità o di numero, grado delle qualità, contraddittorietà e causalità [varianti], relazioni di tempo e di spazio [invarianti]. (à invarianti e varianti - sono quelle particolari qualità fisiche, fonetiche e fonologiche riconoscibili nel linguaggio, riconosciute nelle grammatiche logiche già esistenti nella filosofia Aristotelica: Hume ne è evidentemente il fondatore. Con ciò sembra che Hume volesse dire che le categorie invarianti sono regolate dalle scienze esatte che tendono a raggiungere un grado di certezza per approssimazione, mentre le categorie varianti, di per sé rette da strutture logiche ed empiriche, basate sull’osservazione diretta, si fondano di conseguenza sulla certezza, altrimenti si possono semplicemente escludere) Hume parla quindi di conoscenza probabile e conoscenza certa. Contro un abuso della matematica (cabale et simili) o della geometria, Hume sembra ammonire: tutte le nostre idee son copie delle nostre impressioni. Relazioni indipendenti dalle idee sono l’identità, le relazioni spazio-temporali, la causalità. L’insieme, l’intrecciarsi, di queste tre condizioni è l’elemento sufficiente alla certezza oggetto a sua volta della conoscenza empirica.
Il concetto di esperienza indipendente da ogni concetto: per Hume l’esperienza è conoscibile solo per causa ed effetto (concreti) non per ragionamenti o riflessioni. Anzi è l’esperienza che ci conduce a conoscere le cause e gli effetti per deduzione perché in natura tale necessità non è affatto di natura logica ne determinata dalla ragione. La avvocatura dell’esperienza soggettiva di Hume si spinge al punto, da affermare che noi crediamo che una cosa dipenda da un’altra o via sia legata tale che una data impressione (precedentemente esperita) conduca ad una certa idea costituendo quella idea vivida, riferita o associata a un’impressione reale. Hume discute la fondatezza della base formativa della credenza: come ci formiamo, alla mente, una tale idea fissa che chiameremmo opinione diffusa, che in realtà non è che un’idea astratta? Come abbiamo visto – secondo Hume la causalità è ancora riferibile ai soli termini di successione o a catena – vie abbreviate verso una data legge o enunciazione [termine-termine-termine à enunciazione]. Per tanto ciò è visto come un limite.
In pratica sembrerebbe che Hume stia inseguendo una tesi sull’indimostrabilità dell’errore nella scienza, in quanto, dato che una verità è tradotta in un dato e non in un fenomeno determinato per se stesso, noi abbiamo solo impressioni, circa la certezza delle nostre osservazioni, di continuo. Ciò implica una nozione di errore accidentale. Russell mostra infatti la divisione della tesi soggettiva e oggettiva delle impressioni apportata da Hume, la quale sembra da un lato ricostruire la condizione incerta dell’esistenza di una legge siffatta, che, il dato sia un calco, una copia ripetibile di fenomeni, al di fuori delle nostre impressioni stesse, tali sono le aspettative che ci formiamo riguardo a determinate occorrenze anche quando non necessarie. La consequenzialità delle impressioni sarebbe tale che se A determina/è determinato/sarà causa di B allora AàB – quindi – pur non essendo necessaria: tale è la critica circa la condizionabilità di una impressione che appare in realtà come semplice idea. Hume riporta la questione dell’aspettazione – di ciò che vogliamo o vorremmo aspettarci o non dovremmo. Sono dunque pertinenti le nozioni di circostanza, di variabilità di un sistema, di occorrenza. Contro l’idea che un abito mentale (abitudine) possa essere certo rispetto ad una data occorrenza Russell riporta l’esempio della mela: voglio una mela, mordo una data mela ma il suo sapore, mi accorgo, può variare da mela a mela - per catene di aspetti rilevanti che caratterizzano quel dato frutto – rispetto all’aspettativa, a paragone della quale, credo che avrà certamente un dato sapore – sbagliando, nell’accertare la semplice aspettativa fornita dall’idea.
Nella causalità i fatti devono essere posti in congiunzione o successione altrimenti tali aspetti causali sono indefinibili. L’induzione come mera sequenza numerica di dati non è una forma valida di ragionamento. Indotti quindi a pensare che le relazioni di spazio e tempo possano essere scavalcate semplicemente discorrendo, l’uomo può farsi delle idee, che hanno anche una certa forza di fissazione, come delle immagini, nella sua memoria – ma solo la concreta presenza della realtà può confutarle e derimere la falsa idea così riposta grossolanamente nell’anima di una persona. Hume afferma, in fatti, che una relazione causale in assenza ovvero non in presenza non possa esser percepita con certezza. Ciò diviene oggetto di disputa dal momento che alcune leggi della fisica sembrano avere una forma causale tale che determinati fenomeni si verificano anche al di fuori della nostra osservazione diretta. (fatto che abbiamo visto occorrere già nella struttura della deduzione e che quindi caratterizza in gran parte l’induzione nella determinazione di una data occorrenza in base ad una regola già conosciuta e costituita tramite l’esperienza ma non necessariamente nella ripetizione dei fenomeni – se assaggio di nuovo la stessa mela ho nuovamente la stessa aspettativa non necessaria).
I paradossi ottici: “la semplice vista di due oggetti qualsiasi comunque in rapporto tra loro, non può mai darci l’idea d’una forza o d’un legame esistente fra loro (…)che questa abituale trasposizione è, quindi, la stessa cosa della forza e della necessità che in conseguenza sono immaginate nell’anima, e non percepite esternamente nei corpi?” (Russell, 1983, p.641) – Possiamo dedurne che per esteriorità Hume si limiti a considerare i fatti reali contro le impressioni artificialmente costruite? Diciamo di si. L’aspetto forse più progressista riguarda il suo pensiero circa l’identità: “Noi non dovremmo accettare come ragionate le osservazioni che facciamo intorno alle identità, e alle relazioni di spazio e i, dato che in nessuno di questi casi lo spirito va oltre ciò che è immediatamente presente ai sensi”. Per Hume le relazioni causali devono essere necessariamente provate (fatti percepiti) e quindi devono essere ricostruite deduttivamente. Il principio di empirismo sembra così consolidarsi. Ma citiamo Russell (p. 642): “Le leggi causali, da cui queste semplici leggi vengono sostituite nelle scienze già sviluppate, sono così complesse che sarebbe impossibile supporre che esse siano derivate dalla percezione; sono invece, evidentemente, delle elaborate deduzioni, tratte da quanto si è osservato in natura” e, dunque, se false, l’osservazione svolta è inesistente, nulla. Hume critica per tanto sia il concetto di abitudine a pensare (conformismo) che l’associazione di idee (libero legame tra oggetti per nulla connessi tra loro).

Conclusioni – Hume sembra essere fedele ad un’idea sperimentale dell’evidenza e dell’intenzione, per giungere a cogliere formalmente i nostri pregiudizi e le nostre false deduzioni e al tempo stesso fonda la filosofia sull’inviolabilità della presunzione di innocenza in quanto riporta a termini riducibili l’analisi attraverso sette categorie. La riduzione alla causa così come la verificazione sembrano i presupposti scientifici della scoperta. Hume ne affronta un paradosso debole, che riguarda l’essere vivente: il sangue è un tessuto eppure è liquido.
Scopo della scienza è raggiungere una sorta di omogeneità degli strumenti o di assunti all’interno di una legge. Il migliore dei modi, sostiene quindi Hume, di trattare una problema che affida la sua ragione alla credenza e al pregiudizio è la noncuranza e l’indifferenza mentre affidarsi ad una ragione di cuore, se si ha una verità propria, può tuttavia esserci da guida verso la poesia pura, o una visione pura. Hume per queste ragioni è stato definito in gran parte uno scettico in quanto pur avendo fatto leva sull’importanza della memoria e sulle forze che possono far leva su di essa – crede che la maggior parte dei problemi sia studiata in modo errato e per scopi finalizzati che non hanno molto a che vedere con la realtà o l’obiettività: una semplice idea deve tuttavia essere della consistenza di una fatto percepito e quindi il filosofo cerca nel limite all’artefazione proprio quegli spazi di verità che fuoriescono dalle errate o false deduzioni e indizioni.

In Francia
Rousseau, 1712-1778 a vissuto per lo più a Ginevra. Bertrand Russell sostiene che Rousseau è il padre del totalitarismo di Hitler, mentre Locke  all’opposto è il padre del movimento democratico internazionale.
Calvinista ortodosso Rousseau scappò in Piemonte per ottenere una borsa di studio e dovette convertirsi al cattolicesimo. Tralasciando la sua variegata biografia il suo primo successo fu legato ad un concorso il cui titolo  era: “Le scienze e le arti hanno conferito dei benefici all’umanità?” del 1750 circa – a Digione il filosofo propose un saggio interamente negativo, in cui sembrava percorre una sorta di pessimismo scettico. Più tardi i suoi attacchi alla legge naturale sembravano venati di un problematico ritorno al protestantesimo per conflitti territoriali – ritiene che i privilegi stabiliti per convenzione usurpino l’uguaglianza – mentre le differenze naturali di intelligenza, salute, età non sembrano assolutamente essere discusse per comprendere le differenze sociali. Il suo calco più evidente al teatro di Molière appare con l’idea di sazietà: se l’essere umano quando è affamato è cattivo, avido, sarebbe meglio incontrarlo quando esso è satollo dove la sua natura buona ancorché selvaggia non possa nuocerci. Le contraddizioni tuttavia sono evidenti: non solo dissocia la proprietà dal singolo ma poi anche dalla nazione e quindi dal continente, ma poi ritiene che l’avidità umana pacata con il cibo mascheri un soggetto infine solo in apparenza buono e ‘selvaggio’ ovvero ‘naturale’. Hume lo vide vittima delle sue stesse idee, un Micra piuttosto che un Apollo, alla caccia di forme che poi lo privano di concretezza.
Russell discute solo due aspetti per la sua accusa di totalitarismo: la teologia e la teoria politica. Rousseau appariva spesso come in ribellione contro il mondo – usciva persino dai ristoranti facendo scenate in cui si definiva un credente. Questo fanatismo lo portò a condividere la Festa dell’Essere Supremo con Robespierre. Le contraddizioni o forse un certo realismo ingenuo tal volta lo portarono a mettere in luce le sue influenze: “la professione di fede di un vicario savoiardo” ma bensì prive di tracce di una vera rielaborazione critica, di reminescenze. Forse comprese male Hume e diresse i suoi intenti a rendere superfluo il procedere filosofico – residuo della sua critica per éclats è la presenza di una coscienza infallibile ed esatta, che non può sbagliare e che manifesta alcune caratteristiche del genere per riduzione di tutte le causalità esterni alla Volontà Generale. Quando la ragione assume connotati religiosi e tuttavia i sentimenti possono essere soltanto simili tra individui Rousseau spazza via il concetto affidandosi nuovamente alla saggezza del selvaggio. La posizione cattolica fa si che contrapponga tradizionalmente la felicità vista come bene economico alla vita come valore trascendente. Questa “teologia del sacro cuore” per Russell non offre spazio ad argomenti ed è a stento una teoria.
Il Contratto sociale – base di una moderna società fondata sul concetto di bene quale vita attuale e futura dell’umanità tutta, è forse il testo più caratteristico di Rousseau, il più progressista. 1762 Russell scrive che nonostante il dissidio vissuto tra cattolicesimo e calvinismo Rousseau matura una scelta propria nella difesa inizialmente sobria dell’idea di democrazia ma poi concepisce un concetto di sovranità allora inconcepibile. Si definisce “cittadino di Ginevra” – “Nato di uno stato libero e membro della sovranità”. L’aristocrazia elettiva chiamata a rappresentare il popolo sovrano che implica la diretta partecipazione attiva di tutti i cittadini alla vita pubblica. Questa visione di dà forma, ma nel ritrovare il modello della città si sviluppa nelle sue direzioni interne, quella della Città Stato – Russell critica la pochezza dell’assunto – giusto a suo avviso ma andrebbe sviluppato ance per ovviare a fraintendimenti. Il pensiero di Rousseau si concetra infatti sull’idea di eguaglianza e di libertà – se sembra tradurre il contratto sociale di Locke e Hobbes – in realtà Rousseau lo configura più che altro per stadi evolutivi o ‘passaggi’: lo stato di natura; la perdita dell’indipendenza individualistica; il formarsi della società. “Ognuno di noi pone la sua persona e tutti i poteri in comune sotto la suprema direzione della volontà generale e, nella nostra capacità collettiva, ciascun membro è concepito come una parte indivisibile del tutto”. Corpo morale si chiama Stato ed ha funzioni più che altro passive – collettivo quando è Sovrano e attivo in tal senso – Potere quando deve le sue relazioni al rapporto con altri corpi. La Volontà generale è quella sovrana – non è infallibile e non è rappresentata visibilmente dallo Stato. Russell individua nel concetto forzoso o addirittura forzato di libertà una incrinatura nel pensiero di Rousseau per il quale lo Stato avrebbe l’obbligo di rendere l’individuo libero – forzatura che in sé non ha nulla di negativo ed è forse affine all’idea di miglioramento della qualità sociale dipendente da un contratto: Russell vi vede una sorta di tensione tra il termine ‘forzare’ e quello molto meno occasionale di libertà: si può essere liberi in un senso non convenzionale come quello di Byron alla ricerca di una libertà politica quando si è sottoposti ad una erosiva quanto coercitiva Volontà Generale? La divisione dei poteri o se vogliamo degli organismi è la componente che colpisce di più per vaghezza: ognuno avrebbe la sua parte, certo di far leggi ed eseguire, ma a chi spetta cosa? Inoltre un passaggio tetico restrittivo ci ricorda che l’aristocrazia elettiva sarà concepita come Volontà Generale, non certo maggioranze qualsiasi o persino il volere di tutti: insomma nella discussione di Russell appare ancora oscuro il metodo con cui il Governo possa esercitare “liberamente” tale volontà senza entrare in contraddizione con i suoi stessi scopi o finalità. Tale risposta trova consonanza con il concetto di democrazia: o è tale o è tirannide e allora la libertà non esiste o è di pochi sui molti.

Conclusioni Tre punti fermi restano validi nella scena polemica delle ‘personalità’ atte a rappresentare e definire il concetto di governo, nella sua dottrina politica: se la democrazia è adattabile, trasponibile, un governo farebbe bene a formarla e a custodirla perché è la migliore delle forme, pur nella sua promessa rappresentatività che pare disseminata talvolta di incertezze. I suoi limiti fisiologici meno scontati sono: il clima, la produzione esagerata e l’idea costante di ricorso al motivo dell’origine divina del governo. Il giudizio di Russell è venato di tristezza, di rassegnazione quasi a vederne il calco opportunistico o fatalistico: tutti quei popoli che disperano per condizioni gravi dovrebbero subire condizioni addirittura peggiori, con la tirannide?

13.o6.2012
di tania letizia obbett (c)
minima|visus [r]




domenica 8 gennaio 2012

Giotto e gli artisti filosofi naturali


PREPUBBLICAZIONI <|> Problema: geometria/matematica/ tempo/ottica e colore nella rappresentazione assisiate di Giotto
ciao Giuseppe_ho scritto due appunti_sono sparsi, sedimentari e incompleti_ma vorrei che li avessi
Ciao Tania (L. G.) anche per il tuo diario di bordo se vuoi

24. novembre 2011 | appunti_ analisi qualitativa (II) su alcuni aspetti motivati dalla tesi di master in informatica per la ricerca storica nell'ambito della storia dell'arte_la cattedrale di Assisi è stata studiata per il suo orientamento e quindi per la disposizione speculare delle storie, nei registri narrativi a paragone con quelli della stilistica romana ascendente – quest'anno, a semplici riflessioni ho aggiunto due idee: individuazione della diagonale del cubo/parallelepipedo, determinazione di una scansione detta zonale del colore tratta da MacAdam mescolata con la classica rgb/cmyb l'idea di un timbro cromatico, regolato su registri, lati, profondità mi ha fatto pensare che anche la tavolozza può esprimere in modo connotativo e denotativo assieme quando assiste logicamente alla figurazione dei personaggi delle storie. Qualcosa su cui non varrebbe la pena di insistere, visto che lo sappiamo già. Quindi resta da indagare la possibile corripondenza con le scale cromatiche lignee delle tarsie, della miniatura, o intertestualmente (cosa che preferisco) ovvero sulle analogie che si creano in modo del tutto spontaneo e motivato al tempo stesso tra segno e colore.
Quindi luce come montaggio strutturale delle cosiddette 'stanze' giottesche. Scoprire perché il piano di superficie 'sembra' essere così predominante – ovvero se Giotto voglia 'introdurre' un discorso per profondità tutto da collegare con i testi biblici (natura e cultura) e neotestamentari. Così dato lo schema: sopra natura : genesi come storia : vita di Jesù – si comprende come il linguaggio visivo di Giotto sia un vero 'canone' spiraliforme, illustrato come se implicasse una rotazione, ovvero una sorta di 'durata' metaforica – pensando a tale espediente per descrivere la temporalità del racconto – si è in corso ovviamente nel problema 'solare' delle meridiane e dei punti più o meno esplicitati che possono far emergere il concetto. Resta solo con ogni evidenza l'architettura ruotata per far volgere a 180 gradi la struttura – qualcosa che non si è mai presentato nella storia delle basiliche paleocristiane o gotiche che sia – dunque emblematica origine della storia come specchio della realtà e come riflessione mediata dal reale.

(Ringrazio Giuseppe Salerno per avermi aiutato a verificare le equazioni su un paio di cose divertenti per cui non riuscivo a capire se la mia teoria fosse semplice: archi di cerchi, rotazioni e qualcosa di simile sullo spazio positivo cartesiano ad Ottobre e poi diagonale e idea di rotazione - recently 'layers').

In attesa di poter chiarire e rappresentare graficamente questo aspetto, proverò ad approfondire le corrispondenze visive-cromatiche, le euristiche e quindi a proporlo in abstract di ricerca – come sempre IASV/IAS – spero.

10.11.2011_Laives, scuola | La cosiddetta (Meyer Shapiro) Rinascenza ristretta e il quadrato giottesco (quadrato come matematica – geometria trivio) o già connubio tra trivio e quadrivio. Struttura: oggi ho cercato di farmi spiegare visto che l'avevo immaginata, la formula per derivare la diagonale del cubo – d radice quadra di aq+bq+cq – altro tema da completare è l'affluenza araba e nordica – insomma il tema di Umberto Eco – che sia Occkham a portare l'interesse per la misura o sia il calcolo arabo a definire il contesto di applicabilità. Il solito, ma perché trovare poi semiotici che tentano di spiegare i coni ottici dei costumi delle opere Giottesche come se si trattasse del rasoio di Occham questo ancora non l'ho capito. Preferisco lavorare su due cose: Il dono del mantello – storia e natura, chiesa e città, mura chiuse, natura aperta, e il fondamento del diritto canonico più la scoperta della necessità della legge – che sola può dare la grazia all'umano errare, etc. in vita – o storicamente ratificare una sorta di grazia divina (ma come). Insomma diagonale soprastorica e funzionalità che avevamo già visto agli Scrovegni, con l'installazione dei lettori modello/reali e autori modello/reali.

> quale seguito logico?

Interessante è rilevare che c'è coerenza con la basilica superiore gotica - gli archi gotici, faccio notare, per me sono sestanti, (analogie della misurabilità del cielo e anche in fondo analogia tra strumenti e cielo cercata nella forma) e l'idea che si diffonde della salvezza dopo il diluvio universale già sentito come concetto di universalità della cultura – le diverse interpretazioni del gotico italiano e i suoi 'lessici'.

> rispetto alla nozione di rinascenza ristretta, forse omaggio a Einstein da parte di Shapiro.
> cosa centra con Shapiro e il romanico... no ho ben capito e immagino che riguardi solo e puramente il metodo storico quantitativo poi qualitativo, visto che sono proprio i francesi a negare 'perfettibilità' della ricerca sulla luce e sul colore per poi rimangiarsi alla fine dell'ottocento la questione con la luce elettrica. Dunque riscoperta di 'valenze' umanistiche: enlumination, impaginazioni, miniature, architettura, astronomia, pittura, musica, certamente geometria delle ombre in netta sostituzione (Monge) dell'antico dilemma sul colore - etc. sarebbe da ingrati restare alla superficie del diniego: il colore come sistema assoluto di là da scoprire, viene riproposto nella magnitudine solo con o dopo Maxwell.

Ragionando  invece sugli argomenti figurativi senza scindere il testuale e il figurativo come coincidenze rispetto alla trasposizione del significato, si può riparlare di una tetica graduale, metastorica e profonda grazie agli affreschi di Assisi. Sempre rispettando il primo testo di Eco sul medioevo come antecedente e riproposizione, l'accesso, configura in battuta la questione dell'enunciazione della legge – mi sembra che sia da qui che occorre trovare sia l'intepretazione del percorso che le figure della redenzione, o processo inteso come sequenza dialettica di riflessioni sui dati acquisiti, del confronto diaristico quasi e quindi la metafora del Cantico fluida (o cristallinea?) più che meccanicistica, forse, o ancora di avviluppo come vorremmo ribadire, in cui un limite va riportato, come una soglia: la sua envelope – così San Francesco, non parla tanto di una mente liquida, o di fluidità di schemi, si usa l'analogia nel Cantico, ma per termini come purezza, chiarezza, dolcezza che non sono contrapposti del tutto ma conviventi con i loro contrari indispensabili e segno del sacro sopra il profano come éclat (sole, acqua, aria, fuoco, etc. elementi animati naturale - l'anima del mondo). 

Accostamenti a ricerche precedenti_Quel rapporto di descrizione e costruzione, di ipotesi e di realizzazione, che indica in Leonardo il motivo del doppio punto di vista che scopro analizzando costruttivamente, righelli in mano, esser costitutivo di una doppia articolazione del processo e del sistema, del libro e della città, della letterarietà che istruisce il disegno, o della natura che restituisce l'ente universale, visto come geometricamente corretto, idea; dove: nell'immagine della Enunciazione (Kenneth Clark: prima opera autonoma dell'artista) – opera che segna il debutto – dove dalla nicchia cubica parte una prospettiva tipica del proscenio, mentre dal libro quella prospettiva funzionale a rappresentare il disegno della mappa della città...(!), così dal cubicolo parte la prospettiva della città reale – prima opera in cui vediamo realizzata la città modello e la città reale nel sincretismo iconico: è questo che mette le due a registro – che le realizza come dire entrambe. Insomma verrebbe fuori un Medioevo immaginifico, capace di immaginare il mondo e non solo di dettarne regole – una condizione sfumata che integra il bisogno di relazione tra il proprio tempo e la storia (San Francesco e Jesù) e natura e storia intesa come scienza naturale oserei dire, come spiegazione del creato e salvezza (Antico e Neo Testamento: Eco (1987) dice che sarebbero come continui e usiamo volentieri contigui sullo stesso livello e interlacciati per 'senso', restando fedeli alla tradizione 'trasparente' dei layers, forse...gradi della scolastica, può darsi, ma specialmente soluzioni, immagino per descrivere, mi verrebbe da pensare una sistematica e una linearità altrimenti impossibili, persino inconcepibili, se non fossero legate al gusto. 

Il testo Giottesco intreccia una scienza naturale evolutiva con modi nuovi, non coltiva ne costruisce oggetti – li osserva, li restituisce al proprio mondo naturale. È vero che potremmo trovare rinnovata la lettura di Aristotele (l'anima), le discussioni – ma sono certo risolte nell'architettura gotica nell'articolazione detta più sopra di lessici, si di lingue che si sono date non solo la palatinizzazione ma anche le liquide, etc. come si trattasse di dover descrivere parallelamente le scienze e la natura, l'acqua e il linguaggio con cui descrivere questi linguaggi oggetti, di nuovo.
La domanda potrebbe essere a questo punto: Giotto prevede un'istanza dell'osservazione, dell'attesa, dell'astanza o di qualunque altro genere? O si occupa di descrivere, didatticamente, pdeagogicamente, cosa poter fare con il cubo, con quel giocattolo ermeneutico. D'altra parte, tutto è già la, anche nei termini di legge della conservazione – di impulso proiettivo della salvezza – insomma psicologia e obiettività scientifica si generalizzano per trovare equidistanze. Stavo poi pensando ragionando con Te (Giuseppe Salerno) che l'arco di cerchio che disegnamo servì forse nello spicchio a ruotare il catino absidale, perché forse doveva essere dall'altra parte; ma l'architettura superiore genera un'altra vista, lo mette in modo che, credo, sia non est – insomma a ovest, secondo una prospettiva che i tedeschi poi chiamano wesperbuild /ung /er etc – insomma la porta d'accesso verso ovest che rappresenta (come facessero a saperlo lo vedremmo solo con i cartografi) Nazareth più a Occidente – e il tema curioso della stella cometa Betlemme – come rinvio forse trasposto nella nostra idea di diagonale, arco celeste, si potrebbe anche dire, ecco perché l'arco gotico, risolve inclinandolo di scorcio un arco molto più grande che sarà semicircolo – misura celeste. L'intelligenza raffinata della semplicità e della naturalità della traduzione riporta come detto alla fenomenologia, solo in quanto riattualizzazione storica 'dal vero' – nelle Storie di San Francesco, sino ad un certo punto: ma ora è rinnovatio della scienza naturale stessa intesa come descrizione possibile, come testo possibile.

Non so se il compito possa ampliarsi - ho trovato altre cose nei manuali - il più giusto è quello di DeVecchi e Cerchiari, poi il Bona Castellotti - perché introduce il primo un tratto costitutivo anglo-francese sulle vie di pellegrinaggio e l'altro perché mostra la sovrapposizione delle navate frontalmente - ma poi salta fuori quella punta triangolare del piede di San Francesco nel dono del mantello come se indicasse un punto preciso e mi sono scalzata del tutto se contiamo alfabeticamente le cose, Giotto potrebbe aver giocato una relazione con le sue lettere cardine della storia, ma individuandole sul partito architettonico - M sta per la rotonda mariana. Comunque anche il bel testo di Anna Chiavacci Leonardi, (nel Paradiso di Dante) potrebbe essere da guida se si volessero i raffronti e i commneti, nello stile della ricerca delle prove.

  1. aggiungere argomento sulla tarsia - quella sorta di scaffolding: guardare sopra il piano, alzando i piedi, insomma, l'estensione della cultura – tarsie urbinate e veronesi.
  2. provare a semplificare il più possibile il testo e cercare in che modo diventi una nuova via di pellegrinaggio scientifico umanistico in pieno umanesimo. - cercare questioni sull'esperanto europeo e le nozioni di comunità, civiltà, costruzione europea - mediterranea, alessandrina tra classico e prima maniera ellenistica anche in geometria, dunque quadrato e invenzione del quadroetc.
  3. riguardo alle figure 'nobili' della geometria, tentare sempre una semplificazione e vedere in che modo gravitano, non accontentarsi di letture strampalate e simboliche perché come al solito, quando il tema è legato alla natura, si tratta di semisimbolismo (proporzioni tra elementi e oggetti – in genere natura e cultura), di rapporto con la verità e il segreto della natura.
Anche la storia dell'arte ha i suoi noir | Un paio di 'motivi'_vedi il bacio di Giuda_lo strano caso del suo mantello orientato come se fosse un riquadro III del piano cartesiano negativo in tutte le direzioni - ma dobbiamo intercedere qui perché si riduca questo relativismo e non si tengano esattamente tali riquadri come emergenze connotate - quanto come differenze tra luoghi condivisi, in cui i soggetti mostrano valenze differenti benché volte alla ricerca (es. se il pastiche per me è del III riquadro - in parte vi colloco il Neoclassicismo perché riproduce una sorta di crinale alessandrino - così nel I piano apparentemente tutto positivo conviveranno termini opposti a contrasto classico e romano inteso come greco e latino, come classico inteso come antico e moderno contro una romanità intesa come ellenizzante e rinascimentale - se vi pare - tanto da mettere in questa serie a facce affrontate tutti gli elementi strutturali di uno e dell'altro - farò una tabella, ho già visto che sarebbe quasi più semplice - ce ne sono altre pitagorico-retoriche basate sul criterio generazionale, di Renato Barilli - ma io opterei per mettere i layers, riconosciuti da una scuola internazionale strutturalista, della pittura romana a contatto con i procedimenti euristici e vedere dove si va, almeno a livello di modellizzazione della scienza) – sul piano della rappresentazione provo a confrontare con il modello trovato sull'analisi Peirce e le fasi interpretative e vediamo a cosa può corrispondere l'abbraccio di contatto delle due figure di profilo perché non capisco – per me che tendo a storicizzare l'oggetto culturale è una specie di motivazione ingenua e mi scuso per questo tentativo di risemantizzazione del tema: Giuda vuole il processo alla strage degli innocenti ma non riesce a cogliere né il modo né la ratio e incastra Jesù che rimane stupefatto per la situazione artefatta e assurdamente ingenua; d'altra parte diventa tutto il tema orribile perché già culturalmente stratificato – tuttavia si annota la 'doratura del mantello' e l'idea di sezione salta fuori da sé (l'altra interpretazione è che Giuda invidioso perché mosso dall'idea di possesso di un grande territorio abbia tentato di rovesciare il ruolo di Jesù - ma sono tutte parafrasi fittizie - la posizione indica qualcosa, il verso, solitamente il cavaliere che procede verso destra indica la morte e la resurrezione cristiana - Giuda resta come ancorato a quel tempo storico, come se la sua negazione lo avesse irretito con le sue stesse mani - complicato, no?) – quindi non riesco a non rileggere la questione in chiave più di 'perdono' rispetto ad un atto tanto avventato ma giustificato in senso storico se non con la fiducia ingenua nel popolo – tempo fa, la stessa curiosità la si aveva su tematiche simili quando scoprendo un tema ad aspetto sociale ci si chiedeva se un popolo vorrebbe mai cimentarsi in un argomento biblico se probabilmente non ne ha nemmeno conoscenza: così preferisce avere tosto i soldi che Barabba deve, piuttosto che Jesù, ma questo scambio mi sembra in sè poco interessante - come potrebbe un processo avvenire a schema plebiscitario, proprio non so.

Procedere solo per tetiche semiotiche - perché i temi sono troppi - appare sempre più necessario alla disciplina della storia dell'arte, benché la costruzione del testo e i volumi eccellenti che escono sulla questione delle cattedrali italiane ed europee spinge a comprendere tanta fatica a conservare i problemi dell'interpretazione; Questo leitmotif, questa escursione nel testo con le sue forme di traduzione intersemiotica appaiono evidenti sia sullo sviluppo dei layer che nel contesto della descrizione (ékphrasis) ormai messa in pagina certa di un 'oggetto culturale' e quindi disposto secondo regole narrative certe, esplicite. Se a Padova si credeva che la struttura del lettore modello – reale, dell'autore modello – reale fosse tanto inscritta e unitaria da essere unica nell'esperienza giottesca, di colpo il concetto delle storie di Assisi sembra investire su una sorta di cronotipo – appoggiandosi da un lato al rovesciamento della croce sanpietrina, volgendo il capo al presepe, alle origini della chiesa romana, come per 'citazione' di occorrenze discrete, quali possono corrispondere, quelle non meno implicate nella domanda della regola e quindi del 'sogno' – già rara specie di racconto in sé – dove Francesco sogna di essere a Parigi e chiede il riconoscimento della regola francescana – sappiamo che la regola è architettonica e che ci si presenta un tema di architettura del testo visivo - quale adesione ad un concetto più vasto e naturalistico come quello proposto nel Cantico pur tema letterario poetico, elogio delle creature, oltre che in un certo senso legge interpretata che motiva il testo visivo giottesco – insomma in qualche modo, traduce come per gesto teorico un insieme che in modo giustamente elementare si potrebbe dire intersezione di enunciati, storie, dove ad essere 'quasi' a specchio sono le storie di Gesù e Francesco, ma come analizzato altrove, hanno come prepulsore schematico solo il lanciatore del disco, il discobolo, che io sappia – perché 'propulsori' fisici dovrebbero interessare la composizione – non so. Ma in fatti la cosa che mi sembrava più strana è questa articolazione a zig-zag con un moto che ascende e confronta ma alla fine, distingue benissimo le forie interessate su un lato e l'altro. L'idea di spinta e di questione temporale, è oggetto di discussione tra Bertrand Russel e Bergson, il primo, filosofo matematico, infatti, accusa o definisce in un certo senso il monolitico Bergson a causa del suo uso univoco del punto di vista - privo di pareteticità con l'altro – Eco d'altra parte sembra dire che il punto di vista sia come neutralizzato perché l'antico testamento si fonde con il nuovo e non c'è una rottura tra i due. 
   Questo arco che qui inscriviamo, disegnandolo come metafora di una forma di enunciazione, spazioso come nella traduzione del Longhi, cos'è se non il prototipo del romanzo storico, della lingua volgare romanza, il racconto delle ore francese restituito ad ascendenze latine e ancora più al santo sepolcro come origine temporale della storia intesa come diario, attualizzazione di eventi, osservazione. Restava un dubbio che la forie non sia finita lì, che il solco individuato dall'uno non necessariamente si risolve nell'altro, motivi della cacciata dall'Eden come necessità della reincarnazione del divino e commiati in senso catastrofista come da giudizio e diluvio universali... 


Ho concluso, ma metterò in ordine più che posso, che il tema è trasposto questa volta forse si univocamente da Michelangelo nella Cappella Sistina, nel Tondo Doni, già lo trovai mentre insegnavo al Liceo Maffei due anni or sono in una bellissima classe (IV A classico) di nuovo il predominio del testo antico sul nuovo, ma la vittoria delle tavole della legge nel Giudizio, che tanto stranamente vengono mutilate nella completezza dei layers che sono ben quattro, in cima gli angeli apteri (si veda il Devoto OLi | apofelio ed epifelio) che scortano la croce e la colonna della flagellazione. Resta da verificare se l'impiantito su cui fare la sezione aurea sia offerto dalla singola campata o possa essere espresso come misura del torto (colonne tortili) o per altre analogie, sullo sviluppo dell'intera chiesa – il completamento del quale è dato da una facciata con le consuete o meno, motivate figure lobiformi del trifoglio – di nuovo orfane, in un certo senso, strage degli innocenti – l'avviso è come dato come per sottolineatura, il rinvio al divino come giudice è composto con l'equilibrio non tanto della volta dei dottori, a mio avviso, quanto della natura come nella lettura wagneriana – Giovanni Segantini infatti, di fronte al tema della Fuga in Egitto trova un'altra risposta: potevano scappare con i figli – poi intimorito come forse da quello che comportava, forse un sacrificio più cruento – dice che solo la natura può rispondere e restituire – questa chiosa, conclusione cui giunge in parte per sue leture di Nietzsce in parte per Wagner, le restituiresce nel graffito delle Cattive madri (Liverpool). Simbolista ormai, il quadro poetico di storia di Segantini ricorda che la natura provvede alla cura della discendenza non tanto la volontà... etc. non so se si possa concludere in modo simile un tratto così specifico – ma basti ricordare il suo Trittico per trovare consonanze anche più 'quotidiane' ed immerse nella vita di tutti i giorni.


Mi proporrei stile vacanze di Natale solo di segmentare graficamente l'origine e la sezione aurea su apofelio ed epifelio e vedere se la trovo – solo in ultima analisi dopo aver segmanetato il continuum naturale proverei in caso a vedere se le connotazioni 'dubbie' del resoconto giottesco si staglino in modo sempre più chiaro e interdefinito, così magistralmente.

Ø     Cose da controllare: - semiotica visiva, insiemistica, qualche traccia algebrica, qualche ricerca sugli orologi del dominio delle ore di ambito francese del XIII secolo. Generalato anglo-francese_protettorato. Cnone con la testa a ovest a quale asse dell’enciclica, secondo me è tipo Marzo - mariana come chiesa, come sempre: 25 marzo – mi ricordo che il 27 Febbraio 2009 alle 18.oo la luna era una specie di smile con dentro una stellina perfettamente in centro, come se fosse un semicerchio con il punto. Così, solo per dire. Vedere lo stellarium – mettere data, ora, coordinate di Assisi e cercare – è logico che poi diviene un’istanza corale – i fiamminghi sembra, si siano presi il vanto dell’aver inventato la logica dell’imperfezione in semiografia musicale, ma se fosse come penso – occorre rileggere anche un testo di Goethe sulla traduzione perché c’è una pista diversa, va bene i fiamminghi potrebbero fare la parte dei ‘disinteressati’, ma la questione dell’esperanto mi piace e poi allunghi il passo e trovi certamente un problema iconico, di traducibilità. Ne ho un altro più spinoso che devo verificare sull’esatta corrispondenza della catastrofe del terremoto. Come agente, scherzo, come sospettosa (i semiologi sono tutti predisposti a verifiche di garanzia del bene culturale) devo fare i compiti – e li faccio – sta pur sicuro.
Ø     Caro Giuseppe – il lavoro da fare sulla didattica interculturale tra scienze naturali, geometria, algebra e semiotica del visivo e del testo, infondo c’è, si tratta anche di fare alcune verifiche sulla tenuta diaristica, sul significato propositivo che l'opera mette insieme dandoci una forma di risultato, ma siccome non possiamo pretendere di ricalcare orme carismatiche possiamo solo cercare di condurre al ductus, alla sequenzialità architettonica e prenderla come una lezione di cultura generale del Paese, dell’Europa, del Mediterraneo internazionale, ora in fondo memoria il cui tempio è consacrato alla storia naturale - ora anche visiva - come linguaggio naturale - più elevato dal punto di vista pedagogico e sperare che non ci siano i nessi della flagellazione o della crocefissione anche se il pettine delle sezioni auree potrebbe essere una normalizzazione della regola, un suo presupposto (tetiche a gradienti). San Francesco è tutto questo – è il segno dell’appartenenza al cristianesimo storico e filosofico, umano ed esistenziale, persino laico e naturale in senso civile.

domenica 21 agosto 2011

tipico di Barbieri... trovare sempre una cosa che (...) fa dell'eccezione la regola

Bene allora consideriamo che il fuoco, la fiamma sia data dalla colonna, benché non porfiriaca quindi non è un assioma o un albero o una ratio dizionariale/enciclopedica, ma quasi un 'luogo' piuttosto - sopra come se fosse un tavolo ribaltato, presente certe cose di Giulio Paolini, dove a specchiarsi è la roccia, come una mappa di chissà dove (...) volendo alludere al luogo non potrebbe essere più preciso di così - poi in effetti sei stato davvero elegante nello scorcio perché la fischelle sulla sinistra non l'avremmo notata, affine agli angeli architetti, misura cosmologica del fato persino della durata, Dedalo che si ritrova con Icaro precisamente in metafora dove al massimo dovremmo trovare ali angeliche c'è solo l'incutere di una spada ben affilata... può darsi che quella 'cordina' sia mera struttura e che al suo posto andasse veramente la spada mancante, invece, ma di chi è di Cellini? Forse sarebbe l'unico a far apprezzare contrasti minimali così immediati senza ingigantire la portata enciclopedica dell'assunto.

venerdì 4 marzo 2011

Beatrice Maffei | una donna alla scienza
in Trentino

Nasce a Rovereto nel 1901, figlia di Gaspare Baldessare Maffei (fu Tommaso - ramo cavaliere di origine Toscana di investitura francese - riconosciuto dall'Imperatore d'Austria nell'XIX a tutta la discendenza tra quattro rami Maffei in Trentino). Nel 1923 ottenne il diploma di insegnante di pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma e quindi si perfezionò con il maestro M. Alfredo Casella. Segue corsi di ritmica con un alievo di J. Dalcroze. Nel 1927 ottenne il dottorato di ricerca in Scienze Naturali con i professori Sergi, Grassi e Fano. Specializzazione isto-fisiologica e di scienze dell'alimentazione. Dal 1930 al 1943 venne incaricata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche a Roma di attendere ad un servizio in scienze biologiche nel settore bibliografico (comunicazioni scientifiche per intendersi), in lingua italiana, francese, inglese e tedesca. Dipinge e possiede un certo buon gusto per l'arredo che a Roma diviene uno dei suoi hobbies. A Rovereto e a Roma frequenta Carlo Belli, Fortunato Depero e Rosetta, Vittorio Casetti. Grazie alla sorella educata in Svizzera, stringe contatti con la patria neutra. Tra i suoi carteggi più significativi c'è quello su Antonio Rosmini con l'Istituto di Torino, con le colleghe prima della guerra e nel suo scoppio e con vari istituti di ricerca Trentini. Ha cooperato con il gruppo Scout di Rovereto per anni - una volta vollero prenderla in giro dicendo che non avevano certo bisogno di lezioni di naturismo (lettera). Era single ma dal suo contegno credo che mise al centro la stima e l'affetto di Carlo Belli. Ha scritto un romanzo: Albertine che ne riporta l'introduzione. La corrispondenza personale con l'artista che viveva a Roma, era fitta di considerazioni famigliari, civili e a volte politiche nel confronto tra eventi e tensioni terroristiche, ruolo della chiesa nel passato (II guerra mondiale) e necessità che la donna non diventasse eccessivamente imitazione del machismo come ricaduta del Fascismo imperante.

domenica 19 dicembre 2010

<> | 2003

Lo spazio visivo nell’Arte come forma di Significazione

   saggio di ricostruzione storico artistica | la categoria dello spazio come categoria interculturale e multiculturale

[Ogni parte di questo scritto è da considerarsi unitaria al suo significato e quindi si prega di rispettarne il diritto d'autore e la scientificità].

I. Prima di Picasso cos’è lo spazio?
Primo schema: cubo, «cubatura».
Lo spazio, prima di Picasso, malgrado la rivoluzionante ricerca di Cézanne, è inteso quale una camera ottica. Da questo punto di vista lo spazio è inteso come valore chiuso, i cui limini devono essere solo ed esclusivamente ritagliati dall’interno, come in un iglu, in cui per diverse ragioni ci si protegge, ma anche uno spazio articolato dal punto di vista semantico, ha queste proprietà: si pensi alla pagina di un libro cui deleghiamo il nostro diritto alla cultura, essa appare «inibente», sia dal punto di vista di quanto ritaglia come ciò che è «esterno», sia come ciò che risulta non costruito, e quindi non strutturato, fin quando non rinvia all’oralità attraverso le forme del discorso. Una posizione interculturale rigida richiede una codifica molto lunga, per il fruitore: un codice si aprirebbe (nei sistemi autoritari ed indifferenti alla novità, oltre che omologanti rispetto al valore) solo a certe condizioni decise da un unico punto di vista, solitamente quello totalitarista. Una concezione ritenuta ingenua, può essere vista con sospetto e quindi tale sistema si dota di apparati educativi più che di scuole. Anche se manifesta contestualmente proprietà necessarie al testo, alla sua tenuta, cela la paura di aprirsi troppo e perdere la propria unità.

II. Con Pablo Picasso e il Cubismo nelle Arti Visive la vista si struttura (dividendosi e componendosi) in modo interdipendente all’oggetto osservato, nella consapevolezza dell’indeterminazione delle sue angolazioni.
Secondo schema: proiezione trimetrica (le cui direzioni sono misurate in modo indipendente e danno esito ad angolazioni diverse relativamente al piano di proiezione) con intersezione di rette e linee di forza.
Ciò ha permesso di comprendere che il punto di vista può essere inglobante (inclusivo in modo discriminante): lo spazio è visto e percepito quindi dall’interno, ed i limiti sono marcati anche se “aperti”. In tal caso lo spazio se inteso alla stregua di un concetto e quindi metaforicamente, risponde ad una funzione sociale, di costituzione degli oggetti e dei concetti. Argenton, riguardo, ai tipi di arte che nascono con questa funzione, osserva: essa «accoglie in sé numerose e ampie, spesso compresenti, funzioni sott’ordinate a carattere unitario – ludiche, magiche, religiose, etiche, politiche ecc. – a loro volta articolabili e specificabili ulteriormente in rapporto agli usi particolari che dell’arte possono essere fatti (…). Un esempio, a mio parere eccellente per illustrare questa complessa e articolata funzione, è quel movimento politico-sociale che passa sotto la denominazione di “iconoclastia”, il quale è collegato a una certa produzione artistica di un determinato periodo della storia d’Oriente e d’Occidente» (Argenton, 1996, p. 219). Questi aspetti costituiscono il significato dello spazio visivo: «un campo le cui forze sono organizzate in un insieme autosufficiente ed equilibrato e nel quale le componenti interagiscono in tale misura che mutamenti nell’insieme influenzano la natura delle varie parti, e viceversa». (cit. a partire da: Rudolf Arnheim, Il potere del centro, Torino, Einaudi, 1982, p. 271). Per «forze», aggiunge Alberto Argenton in Arte e cognizione, non si dovrebbe soltanto intendere le forze fisiche del mondo fisico, concreto, ma specialmente le forze di tipo percettivo, generate dalla configurazione stessa del campo, dalle qualità della struttura e che possono essere colte in modo organizzato, nel loro relazionarsi, costituendo, in quanto dato percettivo, un fenomeno di carattere universale la cui esperienza è di tipo valorizzante. Ritorniamo così a Picasso: per l’artista, la composizione genera a sua volta linee, colori, note e parole, che stanno a possibili significati, rappresentazioni mentali (la vera vocazione dell’opera d’arte consiste per l’appunto nella sua funzione rappresentativa), pur appartenendo a quel mondo fisico e percepito che conosciamo tuttavia come composizione (vedi Appendice). Le strutture economiche sono fortemente centralizzanti e dipendenti; una visione interculturale di tal sorta può anche disconoscere le influenze sociali se non è consapevole del tradursi degli spazi in «azioni». Il Cubismo ha offerto uno sguardo privilegiato a tutto ciò che appare come «primitivo» proprio perché altamente strutturato e coeso in un insieme saldamente ancorato sia al mito che alla figurazione: gli oggetti rappresentati sono analoghi dei testi e possiedono in tal senso una propria individualità; il visivo dunque esprime un accesso al reale non dato per scontato. Ancor più che in altri periodi storici, il Cubismo ha saputo fare delle competenze eidetiche (relative allo spazio) e cromatiche (colore) dell’artista un vero principio promotore dello sviluppo del linguaggio compositivo. I testi sono dotati di una sorta di poli-visività in cui sono traslati in modo concreto e dinamico accanto ad altri linguaggi testuali di tipo simbolico.

III. Questa diversa modalità di concezione dello spazio interdipendente favorisce la pluralità del punto di vista.
Terzo schema: intersezioni di piani, proiezione trimetrica con linee di forza ortocentriche: verso l’interno dello spazio.
Oltre l’appunto storico della storia della lettura (Chartier-Cavallo ne tracciano una tutta Occidentale), per quanto concerne l’ambiente testuale inteso come «luogo», possiamo pensare il diritto alla cultura con la sua delega al libro e ad ogni artefatto comunicativo presente nel continuo del tessuto urbano, compresa la presenza di testi “altri” (artefatti comunicativi, salienti) che costituiscono emblematicamente dei punti di riferimento nella mappa in quanto “ambiente” (Barbieri, 1991; Giovanni Anceschi,Monogrammi e figure, Firenze, Usher, 1981; Tarozzi, 1998). Il punto di vista è inglobato ma anche esterno: lo spazio è multicentrato a favore di metriche interattive, e percepito anche dall’esterno secondo le funzioni di un fruitore che interagisce in modo interdipendente. I limiti sono marcati dai soggetti e dalle strutture secondo le norme. Il rischio potrebbe essere di creare una periferia  “estranea”, mentre l’aspetto innovativo, invece, è una periferia ad «area comunicante» come nella mappa dell’underground di una città come Londra o Parigi con le proprie articolazioni interdipendenti. Il modello è pensabile a «province» di significato. Questa diversa visione dello spazio, a livello semantico, può favorire una maggiore consapevolezza del punto di vista dell’altro, di colui che riporta, registra, contribuisce a manifestare una diversa esperienza e si adatta secondo il legittimo consenso. Dal punto di vista interpretativo, la struttura potrebbe essere intessuta di informazioni circa lo statuto delle funzioni secondo questa multi-articolazione del punto di vista (scuola di Mak Halliday e di Alberto Argenton), e dando legittimazione ed autonomia nell’utilizzo delle risorse a seconda degli scopi, non senza la possibilità del confronto e dell’incontro più generalizzato. Dal punto di vista psico-sociologico, potrebbe essere intesa come una struttura a rete, ma in realtà è esattamente una visione a clues: ciò che soddisfa la scelta, è la possibilità di effettuare liberamente indagini comparative su campioni coinvolti nell’ambito decisionale e svolgere alcune attività come il riconoscimento non in modo distaccato dalla visione generale dell’opera e invece connesso alla sua funzione referenziale: «intendendo qualificare con questo attributo la funzione che l’opera artistica può svolgere proprio per il fatto di configurarsi come un oggetto, un “referente inventato”, e che consente di attribuirle un significato diverso dal, o che va oltre il, significato rappresentativo che le è proprio» (Argenton, 1996, p. 223): innestandosi in quelle che successivamente chiamiamovalorizzazioni emotive ed affettive dello spazio semantico. Forse in questo modo i testi e i macrotesti delle strutture, possono essere disegnati con maggiore capacità e possibilità di contribuire alla fruizione delle direzioni di sensoInoltre, questa diversa modalità di concezione dello spazio,  a livello testuale potrebbe favorire una maggiore compresenza di strutture nella realizzazione di una mappa degli «spazi» e  dei «luoghi», concretamente vissuti e vivibili, secondo, ora  coordinate soggettive ed ora coordinate intersoggettive, che pongono il fruitore al riparo da discriminazioni periferiche e ghettizzate inibenti. Essa potrebbe mirare consapevolmente a avere una concezione modulata dell’equità secondo uno stile attributivo trasparente, che coglie aspetti democratici del vissuto accanto alle valorizzazioni di prossemica (relazioni di vicinanza e distanza tra soggetti e oggetti, compresi gli oggetti di valore) di tipo partecipativo, le cui possibilità di interazione e il relativo successo nell’integrazione, dipendono dall’effettiva possibilità di adesione e discussione. Il punto di vista interculturale, quindi, dovrebbe poter essere comunicabile anche quando minoritario secondo valenze  che vi sono inscritte, e non svuotato di legittimità perché eventualmente “periferico”. Le nuove megalopoli basate sulla centralità dei servizi maggioritari, ricompone il silenzio “apparente” delle periferie. In realtà, per noi che osserviamo questi comportamenti attraverso degli assunti, occorre immettere un innesto generazionale e cercare di cogliere cosa accomuna le varie generazioni di strumenti e servizi e di soggetti coinvolti nella ricezione (pertanto sembra imprescindibile la lettura della Storia dell’Arte di Einrich Wöllflin proprio per le caratteristiche generali dell’opera d’arte). In ambito sociale, le funzioni amministrative civili dovrebbero essere fruibili in modo archivistico sempre per meglio favorire il confronto e il linkdiacronico trasparente.

IV. A lungo la semiotica generativa e quindi l’ermeneutica fenomenologica (incontratesi tra Merleau-Ponty, Lévi-Strauss e Propp, Greimas, e altri) per certe esigenze etnometodologiche (relative ai modelli di riferimento) si sono mosse attorno alle categorie dell’intersoggettività
Quarto schema: più spazi ad intersezione – polimetrica o interattiva; le linee di forza sono convergenti ma anche gerarchizzate e topologiche nell’insieme.
Con le motivazioni che possono compensare certe apparenti rigidità di una visione astratta della relazione primaria di soggetto - oggetto (Harrison Hall, “Intentionality and world: Division I of Being and Time”, in The Cambridle Companion to HEIDEGGER, pp.122). L’intenzionalità può essere intesa come ragione per la quale si da invenzione, (Baxandall, 2000) come apertura del «codice» allo spazio del valore in termini «partecipativi» (Zinna, 1991). In La svolta semiotica, (Fabbri, 1998, pp. 31-63) Paolo Fabbri, parla altresì del regolo temporale in termini di phorie, di “consonanza” e di “discorso” possibile tra eventi che ci aspettiamo (o come direbbe Heidegger, perché possono fare tutti) ma che diamo per scontati in temini anaforici o cataforici (di riferimento al passato, o di uno sguardo al futuro, alle direzioni che prendiamo) a seconda che queste azioni abbiano delle confluenze nella ridistribuzione dei concetti in senso attributivo, oppure in senso previsionale e quindi inferenziale (”se hai continuato a fare così, sarà perché ne avrai avuto delle ragioni”). Si tratta forse di un nuovo spazio maggiormente permeabile delle motivazioni e degli aspetti (o degli effetti) culturali intersoggettivi che risiedono nell’«aurea» della riproducibilità di un “portamento” degli oggetti culturali umanizzati perché condivisi (Zilberberg, 1999); ma non solo di un nuovo spazio maggiormente permeabile delle motivazioni e degli aspetti (o degli effetti) culturali intersoggettivi ma anche di una nuova visione degli oggetti in termini emotivi ed affettivi.


V. Appendice: Guernica)
Quinto schema: l’interattività, pone una questione di stile interculturale, a livello didattico favorisce l’emergenza delle passioni, la loro interazione e interdefinizione; la categoria di persona, comincia ad essere preminente rispetto a quella testuale di soggetto.
Visione che ingloba lo statuto del soggetto e quello degli effetti di valorizzazione attribuiti agli oggetti secondo una modulazione possibile del linguaggio stesso che utilizziamo per famigliarizzarci: Walter Benjamin riportato da Claude Zilberberg per innumerevoli ragioni che contribuiscono a proporre in modo diversificato, ma non di meno coeso, il tema della civiltà degli oggetti culturali, per i quali forse potremmo ricordare il contributo ben più corposo di Kenneth Klark, Civilization; ma è in Immagini di città dove Benjamin riflette sulla città come visitata e vissuta in modo assai disomogeneo e legittimo. Da un lato c’è colui che vi risiede e traslando sul discorso gli oggetti che lo caratterizzano, sono le caratteristiche ad essere in questo caso intrinseche, le proprietà che esso porta con sé; ma è nel fare questo che vede una diacronia ed una sincronia relazionali, più spesso interattive, attraverso le quali costruisce il suo senso del luogo: sulla sublimazione di ciò che non può, magari perché non ne ha il tempo, il residente, fare, ma che a seconda dell’interazione con l’Altro, concede o non permette che sia svolto. Dall’altro c’è il turista, aduso ad un punto di vista distaccato ed estatico, quasi asintotico nel suo far rivivere certe potenzialità, il quale consapevole di dover aderire ad un certo bon ton, tuttavia innesta un saper vivere basato su tratti esistenziali più «deboli», un vero libero gioco, tra combinazioni e letture che si dovrebbe osservare come mediazione interculturale in atto: ora appaiono da una griglia estetica valorizzante (J.-M. Floch, in Semprini, 1990; Zinna, Zilberberg, in Fontanille, 1998). Assi valorizzanti nella scuola, con una particolare attenzione alle modalità in gioco, saranno: 1. le opportunità formative; 2. i soggetti interessati a proporle; 3. gli orari rispetto alla didattica; 4. gli spazi adibiti; 5. la partecipazione. Ho parafrasato il testo (Giusti, p. 53), ma ho “realizzato” che senza l’attenzione all’ambito interattivo tra momenti istituzionali e non della scuola, il problema della didattica interculturale rischia di essere nuovamente risolto come attività «esterna» al curricolo, con i relativi rischi successivi di intolleranza.


Appendice illustrativa
Pablo Picasso, Fabbrica a Horta de Ebro,  1909.
Olio su tela, cm 53 x 60, San Pitroburgo, the State Hermitage Museum.
Pablo Picasso, Tre musici,  1921.
Olio su tela, cm 197 x 185, Filadelfia, Museum of Art, L. and W. Arensberg Collection.
Pablo Picasso, Guernica,  1937.
Olio su tela, cm 351 x 782, Madrid, Museo del Prado, Cason del Buen Retiro.

Bibliografia ragionata per usi didattici
Discussione e riflessioni sulle funzioni dello spazio semantico
Argenton, Alberto
1996        Arte e cognizione, Introduzione alla psicologia dell’arte, Milano, Raffaello Cortina Editore, (Prima edizione).
Latour, Bruno
1999  “Piccola filosofia dell’enunciazione”, in Eloquio del senso. Dialoghi semiotici per Paolo Fabbri, Milano, Costa & Nolan, pp.71-99.
Barbieri, Daniele
1991  “Il racconto”, in I linguaggi del fumetto,  Milano, Bompiani, pp.203-212.
Baxandall, Michael
2000 Forme dell’intenzione. Sulla spiegazione storica delle opere d’arte. Torino, Einaudi (txt. orig. Patterns of Intention, Yale University Press,1985).
Clark, Kenneth
1969  Civilization. A personal view. London, British Broadcasting Corporation.
Fabbri, Paolo
1998 La svolta semiotica, Bari, Laterza.
Floch, Jean-Marie.
1990 “Semiotica plastica e comunicazione pubblicitaria”, in Lo sguardo semiotico, Milano, Franco Angeli, pp. 37-77.
Giusti, Mariangela
1995   L’educazione interculturale nella scuola di base, Firenze, La Nuova Italia.
Hall, Harrison
1993 “Intentionality and world: Division I of Being and Time” in The Cambridge Companion to HEIDEGGER, Usa, Cambridge University Press, pp.122-140.
Marsciani, Francesco e Zinna, Alessandro
1991 “Gli oggetti di valore” in Elementi di semiotica generativa. Processi e sistemi della significazione. Bologna, Esculapio, pp.77-82.
Tarozzi, Massimigliano
1998  La mediazione educativa. Mediatori culturali” tra uguaglianza e differenza, Bologna, Clueb.
Zilberberg, Claude
2000  De l’humanité de l‘objet. (À propos de Walter Benjamin). In VISIO, v. 4, n. 3 autunno 1999 - inverno 2000, pp. 89-117. Www.fl.ulaval.ca/hst/visio

Discussione storico – letteraria
(alcune informazioni incomplete dovute a letture sparse a carattere universitario: si prega di scusare chi scrive, verranno al più presto fatte ricapitolare in una bibliografia coestensiva)
Benjamin, Walter
1971  Immagini di città. Torino, Einaudi.
Bellosi, L.
....  “La rappresentazione dello spazio pittorico”, in Storia dell’arte italiana, v. IV, Torino, Einaudi, pp. 5-39.
Ferretti, Massimo
1986  “Casamenti seu prospettive”. Le città degli intarsiatori, in C. De Seta, M. Ferretti, A. Tenenti, Imago Urbis. Dalla città reale alla città ideale, Milano, Franco Maria Ricci, pp.73-104.
Guidoni, Enrico
1989  “Firenze capitale occidentale” in Storia dell’urbanistica. Il Duecento, Bari, Laterza, pp. 134-173.
Longhi, Roberto
1951  “Giotto spazioso”, in Giudizio sul Duecento e ricerche sul Trecento nell’Italia centrale, (v. VII delle Opere complete), Firenze 1974, pp.59-64. e in Paragone, Anno III, n. 31, Luglio 1952.
Montagnani, Cristina
1990  “Fra mito e magia: le Ambages dei cavalieri boiardeschi”, in Rivista di Letteratura Italiana (tit. Riv. incerto), n. VIII, pp.261-285.
Renouard, Yves
1975 Le città italiane dal X al XIV secolo, Milano, Rizzoli, v. I, pp. 7-17.
Zancan Marina
....  “Le città invisibili di italo Calvino”, Einaudi Letteratura, pp.875-929.
Zatti, S. L’uniforme cristiano e il multiforme pagano. Saggio sulla Gerusalemme Liberata. Milano, Il Saggiatore. Cap. III, pp.91-144.