martedì 10 novembre 2009

riscrittura | metacognizione e apprendimento autoregolato > immissione in ruolo

Riscrittura su modello della neo narratività - scuola di NY - Il testo, comunque, non è mai stato ammesso al quorum della valutazione finale, durante la SSIS - ovvero non è mai ritornata alla valutazione a detta di Job, che mi ha mostrato, purtroppo, una email alterata dove le risposte erano dello stesso colore delle domande, dato che la prof non poteva essere sempre a Rovereto chiedeva che le scrivessimo via mail - Il voto assegnato che inzialmente rifiutai era 18/30, di una tesina più semplice, diretta e io credo spontanea sulle stesse domande - questo era 30/30, ma il prof Job, trasparenza e opacità delle università italiane, con gli strumenti in suo possesso ha deciso di archiviare, peccato dico io, così nel frattempo, restituisco una versione che a mese sembra tecnica, comprensibile ma per chi conosce il testo, in parte, e ad una seconda lettura, dopo diversi anni, questa "metacognizione" mi sembra una virtuosistica stratificazione che preferisco quando ricollegabile al reale.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
dal testo di Mason L. (2001), Verità e certezze. Natura e sviluppo delle epistemologie ingenue, Roma, Carocci.
P. Boscolo in Psicologia dell’apprendimento scolastico, Roma, Carocci.

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Si noti, guardando questi approcci che una vera teoria testuale non esiste e nemmeno un'analisi del discorso o della conversazione. Ci si chiede su cosa ci si basi - ma in realtà è proprio così, è tutto dato per scontato - questa è pura tattica. A mio avviso qualche riferimento alla teoria dell'enunciaizone e alla situazione dell'enunciato e alla situazione di enunciazione è quanto meno necessaria (corsi di R. Grandi).

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
I. Le conoscenze metacognitive che facilitano un compito di lettura
Ho scelto, per rispondere alla domanda sulle conoscenze metacognitive che facilitano un compito di lettura i tratti significativi introdotti da P. Boscolo in Psicologia dell’apprendimento scolastico.
Tra le conoscenze che facilitano un compito di lettura lo studente può gradualmente possedere capacità cognitive e comportamentali orientate verso obiettivi di apprendimento, ma è quindi la configurazione sistematica dell’approccio all’autoregolazione che comporta dei progressi sensibili nel consolidamento della motivazione nei confronti dell’apprendimento di strumenti facilitanti i compiti di lettura e, in generale, nello studio. Anderson e Armbruster (1982) in Boscolo, 1997, p 315-316) sostengono la necessità di una lettura “finalizzata” all’esecuzione di un compito permettendo di individuare la congruenza tra studio e lettura (derivabile dalla ricerca filologica in parte, se si pensi allo studium) ma inserendo nel continuum esperienziale aspetti rilevanti di agenda, che può consistere nella restituzione scolare, orale o scritta, con approcci differenziali motivati. Devine (1991) ci conduce verso un’articolazione che include uno sforzo autoregolato, precedentemente sperimentato in aula attraverso il docente che attivi il compito di lettura: comprendere, ricordare e usare determinate conoscenze o procedure (Boscolo, p. 316). Questa visione generale dell’esecuzione ha portato alcuni studiosi come Devine a considerare l’interpretazione come qualcosa di disancorato dalla spiegazione che comporta la lettura – ma considerando che la riproduzione di un testo implica la rilettura di quanto memorizzato, Boscolo considera questi processi come omogenei alla lettura finalizzata: comprensione, memorizzazione e uso delle conoscenze e/o abilità che l‘attività di lettura suscita. Se cerchiamo quindi di integrare questi aspetti finalizzati al compito possiamo individuare tre fasi (Anderson, 1979). Prelettura (porsi degli obiettivi chiari aderenti ai criteri di valutazione, inoltre, il sondaggio preliminare favorisce la costituzione di una mappa strutturata di tappe necessarie che permette di verificare, ad una prima occhiata ciò che già si possiede su un certo argomento e quindi di fare previsioni; utile, in tale fase, è l’autoregolarsi dal semplice e concreto al complesso e astratto, in una prospettiva generativa dei contenuti. Lettura (l’uso del testo implica la selezione delle parti importanti e la conseguente modulazione e distribuzione dell’attenzione con un certo investimento motivazionale che comporta il primo porre delle domande al testo cui consegue una prima registrazione di “risposte” – si tratta del primo intervento metacognitivo sulla propria comprensione; decisione sull’appropriatezza cui segue la possibilità di approfondimento regolato, quindi, dalla presenza del testo: in tal caso a mio avviso l’espansione, il confronto, e la possibile riduzione per casi, per analogie e differenze, può rappresentare un secondo momento di monitoraggio). Postlettura (qui a mio avviso si innesta lo sforzo inferenziale e produttivo della lettura autoregolata dalla metacognizione: alla condizione che lo studio sia seguito da processi sistematici di rielaborazione, quali riassunti, schemi, domande per porre la verifica sul ragionamento e sul sapere, la mappatura anche sotto forma di intertestualità che media l’espansione, sia scritta che orale e che favorisce la memorizzazione a lungo termine del percorso di lettura svolto – specialmente dove questa competenza è richiesta come base della comprensione del compito stesso). Questa processazione profonda, sottolinea Boscolo, comporta una certa manipolazione dei dati finalizzata alla comunicazione, ma non solo e ben più significativamente alla sua corretta messa in memoria. Questo momento può essere differenziato tra una sistemazione per categorie profonde del contenuto (anche quindi nel loro livello socio-culturale semantico considerato alla stregua di una vera e propria esperienza esperta come sosterrebbe la semiotica cognitivista e testuale che ha studiato questi fenomeni di enunciazione - G. Manetti e P. Violi – che intervengono sull’idea di comprensione come attivazione della lettura e ancora come sviluppo dello studio) o una più articolata disposizione metadiscorsiva che mira ad auto-centrare lo studente secondo la mediazione spazio-temporale e attoriale “storica”: ovvero il ricorso alla pianificazione del tema cui possono intervenire strutture, mappe concettuali spaziali, che manifestano l’intervento di reticoli funzionali gerarchizzati e connettivi. (Queste mappe spaziali, possono così regolare la distribuzione dei concetti sia temporali che attoriali, centrate, cioè, queste ultime sul soggetto sia in funzione tematica che figurativa del discorso attraverso piccoli schizzi che aiutano a ripristinare mnemonicamente alcuni momenti salienti dell’analisi di un opera visiva). Le mappe facili da costruire possono intervenire su percorsi, dati da fissare velocemente e quindi è opportuno partire da queste, mentre quelle sempre più difficili ed esperte sono già composte in modo da sollecitare una ricognizione inferenziale dei concetti rilevanti del testo da leggere (docente-studente – auto-apprendimento), o del testo già letto (studente-riproduzione e autovalutazione). Ma cosa occorre fare? Occorre individuare un numero minimo (più semplice possibile) di concetti chiave, che rappresentino alcune unità semantiche concrete, empiricamente rilevabili dallo studente; una forma gerarchica che orienti il lettore dal semplice al complesso o vista la quantità di occorrenze terminologiche, dall’iponimo superiore all’iperonimo/i inferiore/i relativamente a dati connessi con il testo e quindi secondo l’ordine dell’implicazione logica presupposta; si evidenziano le parti che costituiscono la connessione a mappa che saranno così estratte preliminarmente e si rendono significative le relazioni che ne regolano il flusso associativo etichettandole. La consapevolezza di queste metodologie di lettura esperta, sostiene Boscolo, possono facilitarne l’utilizzo da parte dello studente, accelerando alcuni momenti essenzialmente evolutivi che rendono conto di una maggiore capacità di fare connessioni logico-inferenziali corrette e personali. A mio avviso occorre sostenere gli allievi in questo delicato momento di crescita perché non sempre i risultati sono equiparabili e possono dipendere in parte dalla fiducia accordata, dalla motivazione riconosciuta al loro utilizzo continuo nel processo di lettura. Per far ciò occorre riconoscere che si sta già lavorando su strumenti validi operando con strumenti linguistici e metalinguistici opportunamente vagliati.

II. Essere dualisti o relativisti rispetto alla conoscenza e al conoscere (in generale): influenza sull’apprendimento.
L’approccio allo sviluppo intellettuale ed etico di Perry ha permesso (negli sviluppi successivi che a lui fanno riferimento per la dimensione di scala) di rivolgere una particolare attenzione alle situazioni interattive presenti nell’ambito della formazione, sia in momenti di valutazione che di discussione in quanto focalizza la situazione, più che sui parametri di valutazione delle competenze acquisite o sull’epistemologia adottata, sul grado e la qualità del cambiamento che la situazione di mediazione favorisce: “nelle assunzioni sulla natura della conoscenza e sul ruolo dell’autorità (…) riflessi di quelli più ampi nei processi di cognizione” (Mason, 2001, p. 43). L’applicabilità del metodo vede a confronto una scala posizionale a nove livelli differenziali mentre il metodo ripreso da Baxter Magolda, nel 1992, favorisce un approccio disancorato dalle implicazioni di ‘genere’ e mira a cogliere determinazioni che sono frutto di “pattern” di ragionamento trasversali che rappresentano un “continuum” di differenze nella giustificazione delle assunzioni epistemologiche per ciascun modo di conoscere (idem, p.48) che permette quindi di cogliere anche influenze extra scolastiche. Perry, all’inizio della sua ricerca sulle invarianti ha distinto in quattro raggruppamenti i nove livelli: dualismo, molteplicità, relativismo ed impegno nel relativismo evidenziando in ogni momento, il tipo di rappresentazione di sé e del compito che tali tratti favoriscono negli studenti il raggiungimento di un più alto livello di equilibrio cognitivo in conseguenza dell’assimilazione e dell’accomodamento.
[1] Nella prima posizione assunta appare con evidenza la necessità di trovare più esempi a sostegno di una teoria, ma anche aspetti che l’hanno rovesciata per poter confrontare adeguatamente i punti su cui poter ampliare la riflessione. [2] Nel pensiero diretto alla ‘molteplicità’ sono gli aspetti subordinati proprio alle diverse modalità di articolazione del sapere che rendono conto di un sentimento di incertezza, tuttavia credendo che la verità possa essere sempre conosciuta: la verifica personale favorisce la costituzione di un pensiero proprio. Dalla ‘complessità dualista’ si passa quindi ad una visione generale che permette di cogliere la pluralità delle posizioni pur all’interno di uno schema che tende ad oscillare tra il ‘relativismo correlato’ (assoluto e dualista) il quale permette di restare ancorati al livello precedente (se non come dice Perry di ritornarvi, forse anche rivisitandolo ad occorrenza) e una situazione di incompatibilità: un assolutismo che origina un certo dogmatismo e un punto di vista relativista (in competizione), se non alla posizione generalizzante che converge verso un relativismo di tutta la conoscenza. [3] È in questo momento che può manifestarsi la necessità di un orientamento maggiormente volto a riconoscere le scelte e l’affermazione, in uno spazio apparentemente neutro e relativo, delle proprie opinioni. A mio avviso questo livello evidenzia la capacità dello studente di garantirsi il proprio ruolo all’interno del processo formativo: non si tratta di un atteggiamento passivo, ma dell’acquisizione più consapevole di strumenti atti a definire il sapere condiviso ancora non completamente adeguato alla propria esperienza, prima di aver svolto qualche passo in modo articolato in un’esperienza di impegno personalizzato, che può vedere coinvolti più strumenti di studio e più punti di vista. [4] Questo stadio assume valenze solitamente percepite come maggiormente creative e soddisfacenti in quanto all’impegno consegue l’esplorazione mirata che favorisce, tra le altre, il temporeggiamento: l’attesa che le competenze possano essere meglio adeguate nello studente al compito, senza che questo debba soffrire di brusche ricapitolazioni al dualismo, se il contesto lo permette. Ecco perché, a mio avviso, quest’ultimo aspetto di sviluppo dell’impegno dovrebbe essere particolarmente assistito nelle sue primissime tappe: lo studente può trovarvi ostacoli che gli impediscono di progredire nell’impegno, e quindi voler ripristinare una metodologia che prima gli sembrava poter dare risposte nette a situazioni frustranti ma senza ulteriore flessibilità e utilizzo autonomo delle risorse. Si tratta anche dell’impiego di competenze emotive, dello sviluppo di un interesse che vede il coinvolgimento dell’arte di vivere in genere e forse anche di un senso estetico: l’assunzione di responsabilità e il riconoscimento dell’altro, che porta a confrontarsi su valori, aspetti professionali, persino la propria identità può essere minacciata o riuscire ad esprimersi secondo le sue vere potenzialità (idem). Ho potuto osservare in classe dei fenomeni di resistenza: uno studente che crede alla propria maturità e prontezza nell’impegno, di fronte ad un ostacolo può sentirsi a disagio, il temporeggiamento gli permette di riproporre una situazione di dualismo e di controllo e in un certo senso lo studente riesce ad entrare nello stato d’animo di poter misurare i propri errori e le proprie capacità, di correggerli e, pur ritrandosi momentaneamente in una situazione dualista, riacquista le valenze che permettono di riflettere su altri compiti e rimettersi alla situazione di mediazione con serenità. Purtroppo ci sono casi in cui la fuga, anche fisica, dalle lezioni rappresenta il vero momento di stasi per lo studente, anche bravo, che non riesce a trovare, nel rapporto tra esplorazione attiva e sviluppo dell’impegno, le risorse sufficienti per rispondere ad un aumento della complessità, forse dovuta anche da una maggior esigenza di definizione della propria identità dai modelli adulti che impiegano la propria per portarli nel migliore dei modi possibili, rispetto al campo disciplinare, a quelle soddisfazioni che favoriscono l’integrazione del sapere acquisito ed elaborato; un sapere, questo, che Belenky et al.(in, Mason, 2001, p.44) hanno riconosciuto come conoscenza costruita. In questo caso normalmente ho optato per alcune forme di ricapitolazione sugli argomenti trattati, in termini di stili di vita, di passioni che costruiscono lo stile di apprendimento, esplicandosi nella durata, nello sviluppo della tolleranza verso il cambiamento: ho potuto verificare, dopo alcune difficoltà, che tenendo conto del genere, la ricaduta dell’impegno sulla classe è più tollerabile anche per riconoscere meglio le proprie modalità di docente e non divenire espressione di una autorità univoca asessuata, ma favorire la condivisione di aspetti emotivi e discorsivi, a condizione di riuscire a esemplificare proceduralmente le varie tappe (conoscenza ricevuta, conoscenza soggettiva, conoscenza procedurale, conoscenza costruita) per poterle utilizzare nelle situazioni difficili e nello sviluppo in rete di relazioni e ruoli che manifestano la presenza di determinate credenze epistemologiche (Baxter Magolda, in Mason, 2001, p.47-51), le quali danno adito a diversi modi di conoscere: assoluta, transizionale, indipendente e contestuale. Nella pratica possono accentuarsi così i momenti di condivisione della conoscenza costruita in quanto condivisa in modo diretto e non offuscato, come nei primi passi di reciprocità con la classe, da soli giudizi provenienti da una conoscenza soggettiva tout cour.

III. In riferimento al proprio ambito disciplinare (considerare una disciplina), dire cosa significhi avere credenze epistemologiche meno evolute e più evolute e come si possa promuovere il pensiero epistemologico degli studenti.
Tenendo conto della relatività della presenza, in entrambi i sessi, di aspetti distintivi di pattern correlati a tipologie di ragionamento trasversale e quindi differenziato, dell’esigenza manifesta e della «motivazione intrinseca» di studenti in apprendimento della storia dell’arte e dell’arte in genere (intesa anche come ambito pluridisciplinare negli Istituti Superiori d’Arte), mi sono sembrate maggiormente ravvisabili sia dal punto di vista dell’attenzione che dai risultati successivi ai primi compiti strutturati (in cui vi fosse maggiore investimento sia della comprensione del testo, che della diversità di possibili attribuzioni di valore di verità e quindi della presentazione di domande sistematicamente volte alla ripresa della riflessione (sia scritta che verbale) attivata in aula) che il quadro generale presentato da Baxter Magolda sia abbastanza conforme alla situazione descritta. In alcuni alunni le prospettive epistemologiche (tabella 2.3, p. 52) derivate da posizioni «dualiste» nelle prime classi sono quelle che risultano più difficili da superare – ma ritengo che di fronte alla novità di uno stile, in qualche misura, lo studio della storia dell’arte nella sua componete critica si avvalga, in particolar modo, nella manualistica, di questa posizione atta a rendere conto di una forma di sistematicità in cui il sistema di opposizioni non concede ancora una riflessione in termini di sviluppo differenziale e graduato che dev’essere attivato, a mio avviso soprattutto nella lezione frontale e successivamente osservato nella restituzione di compiti e quindi gradualmente nell’ ambito di una programmazione a gruppi o ad esempio, sullo sviluppo di un monografico, che favorisce la verifica della natura del sapere da parte dello studente. Ma la categorizzazione differenziale è sempre un buon punto di partenza, se successivamente completato riflessivamente con i dovuti ampliamenti e le dovute stratificazioni di concetti. Solo quando gli studenti investono maggiore spazio nell’interazione agli strumenti didattici e quindi alla relazione docente – classe, nella riflessione consentita da aspetti condivisi, si ottiene abbastanza rapidamente il superamento di questo primo stadio che appare un comodo riparo, atto ad eliminare qualunque frustrazione sia ambientale che derivata dallo sforzo dello studio: un luogo in cui ritornare a mio avviso necessario che tuttavia dev’essere restituito alla sua valenza relativa di connettore semantico (spazi, tempi, attori) in un contesto di apprendimento motivato dall’acquisizione personale di un sapere costruito con la classe e con la convergenza o la divergenza dei sussidi. Il passo necessario corrisponde proprio al momento di sviluppo di una visione molteplice della conoscenza, in cui la presa soggettiva sui dati, favorisca l’emergere di aspetti transizionali, i quali se ben inquadrati (a mio avviso frasi come alle medie facevo così; il professore precedente faceva così e così) sono messaggi abbastanza evidenti ma che vanno successivamente interpretati dando spazio alle opportunità del progresso indipendente dello studente e quindi facendo leva sulla connessione con altri stili di apprendimento connessi che separati o fortemente individualizzati: spiegare le differenze e le analogie tra artisti che dipingono nello stesso periodo storico, nella stessa “scuola di pittura” ma raggiungono esiti diversi e stimolare l’attenzione verso la percezione di un canone motivato dalla conoscenza sistematica migliore dell’artista, può favorire la graduale strutturazione di una conoscenza, di uno stile o modo di conoscere indipendente. Per favorire queste esperienze la storia dell’arte può essere suscettibile quindi di una tenuta generale: potendo includere ogni livello, si deve tentare, tuttavia, di non rendere superficiale o ridicolo ogni “slittamento” e ogni “salto”. King e Kitchner sembrano cogliere la differenza della configurazione discorsiva del conoscere dal semplice riportare un dato: l’abilità di formulare giudizi riflessivi implica, infatti, la consapevolezza dell’incertezza, il riuscire ad integrare e valutare i diversi dati disponibili in rapporto alle teorie (…), il saper trovare una soluzione ad un problema affrontato, difendibile come razionale e plausibile aiuterebbe a recuperare in modo maggiormente coeso all’interno di modi di strutturare il pensiero critico e riflessivo dove quest’ultimo si attiva in modo più significativo e saliente in problemi mal strutturati; ad esempio una critica estetica insoddisfacente che non rende conto dell’integrazione aggiornabile di strumenti di analisi, testi, sintesi e che manca dell’individuazione di un repertorio sistematico a prova della teoria e quindi sottovaluta gli elementi, ad esempio, di coesione testuale dell’opera, rifugiandosi in una assunzione epistemologica data per scontata, che in realtà poggia su aspetti di tipo associativo e non crea alcuna abilità distintiva a sostegno di una assunzione teorica necessaria). La distinzione tra la natura della conoscenza e la natura della giustificazione data, appare invece in particolar modo nelle quinte classi superiori in cui ci si appresta a discutere l’importanza dell’equilibrio ambientale in relazione alla consapevolezza di compiere dei possibili salti di sviluppo sentiti in ogni ordine disciplinare dal più pratico al più astratto e in particolar modo nella storia dell’arte dove gli studenti sono valutati secondo competenze altamente connesse tra loro, dal recupero storico, alle nozioni presemiotiche dell’iconografia alla distinzione tra una lettura idiosincratica e una metodologicamente e autenticamente riflessiva (disputa che all’interno del dibattito semiotico visivo ed estetico ha visto da un lato la scuola barthesiana e dall’altra quella generativa e interpretativa di A.J. Greimas ed U. Eco, per citare un esempio storicamente rintracciabile e le cui origini metodologiche sono date da attivazioni semio-linguistiche e cognitiviste). Tuttavia è l’entusiasmo della scoperta continua, della completezza o incompletezza del repertorio, che ad una prima reazione insicura, favorisce l’attenzione verso l’acquisizione alternata a momenti di sistemazione e generalizzazione (i “plateau” di Fisher e le “zone di sviluppo prossimale” di Vygostskij) delle abilità relative ai successivi domini.

IV. Quando diventa efficace l’insegnamento di una strategia
Dopo avere acquisito i primi strumenti per la distinzione dei casi specifici attraverso analogie e differenze il docente cerca di individuare la formazione di nuove modalità di schematizzare i nuovi schemi e quindi la capacità di mettere in relazione più frammenti isolati applicabili a situazioni diversificate in cui sia possibile applicare e mettere alla prova il nuovo insegnamento (Pressley, Borkowsk, Schneider, 1989) quindi disporre di una metodologia (Rumelhart e Norman, 1978, cit in Boscolo, p. 332) di ristrutturazione del sapere per conseguire un apprendimento significativo. I casi in cui la soddisfazione circa l’insegnamento di strategie di apprendimento sono maggiori e raggiungono quindi obiettivi che possono essere consolidati nel tempo e quindi divenire efficaci sono diversi ma possono essere riassunti sotto il profilo di una sorta di situazione di delay dovuto a serie di fattori: le caratteristiche che sono osservabili (Boscolo) sono connesse sia con la produzione di risposte psico-attitudinali (rigidità verso nuove operazioni di pensiero) che di tipo strutturale, ovvero è l’organismo a rifiutare l’adattamento richiesto da una modificazione cognitiva. Solo con l’avanzare dell’osservazione in aula si possono notare gli sforzi compiuti dagli studenti in relazione alla situazione di mediazione la quale, secondo la mia esperienza di tirocinio e d’insegnamento, ha dato maggiori frutti in una situazione attiva e partecipe: la prima delle condizioni di Feuerstein, riguardo all’acquisizione di elementi di esperienza investe infatti tutta la relazione di mediazione con varie oscillazioni intersoggettive fino alla realizzazione di una sorta di “buona distanza” in cui il docente riesca a rispondere ai tentativi di apprendimento autoregolato dello studente. Ecco dunque in che misura la mediazione risulta condizione necessaria, ma non sufficiente: la seconda categoria di Feurstein, concernente gli aspetti formali della cognizione, mira alla realizzazione e alla soddisfazione di obiettivi di tipo costruttivo e costitutivo al tempo stesso; organizzare, mettere in relazione, trasformare relazioni, ad esempio con l’aiuto del concreto intervento argomentativo sono fenomeni effettivamente percepiti come prerequisiti all’aquisizione di strumenti migliori, che restituiscono un migliore accesso all’esperienza. Il concetto di non irreversibilità della scarsa modificabilità cognitiva ci può essere quindi di aiuto, rispetto alla nostra stessa risposta emotiva di fronte allo stato di cose: talvolta un libro con errori, e quindi parzialmente mal strutturato, può diventare, una sorta di segnale intermittente rispetto all’apprendimento passivo per modificare e rimettere in gioco l’attenzione critica, nonché la strumentazione metacognitiva che guida i processi di apprendimento. La correzione in itinere permette di non fissarsi sul soggetto ma sul problema e di migliorare la motivazione intrinseca che si opera per inserirsi attivamente nel flusso informativo di una riproduzione rielaborativa. L’attenzione può essere posta alle modalità di produzione e quindi valutata nella potenziale risposta migliorativa della conoscenza. In aula per cominciare da una prima del terzo ciclo, ho adottato l’insegnamento diretto delle strategie per la compilazione di una piccola ricerca sulla Biblioteca di Alessandria motivata dall’integrazione al testo e dalla possibilità di coinvolgimento in gruppi – quando alla verifica che la classe fosse in grado di reperire tali informazioni in modo differenziato e personalizzato. Alla prima consegna ho distribuito loro il compito vero, facendo si che l’informazione trovata potesse restare nella condizione di allegato: comporre un titolo nuovo e quindi originale rispetto a quello reperito, definirsi curatori e quindi datare e restituire con ancora una certa immediatezza informazioni sull’autore del testo, il luogo di produzione e l’anno; fare una premessa all’informazione trovata e quindi un commento circa la validità del documento o la ricchezza e la coerenza informativa; successivamente, ma come strumento d’aula, proporre la disamina del glossario da fissare sul quaderno inserendo in tal senso la forma della citazione tra virgolette che potrebbe essere già necessaria in un lavoro di accesso al testo. Queste modalità processuali sono rese possibili grazie alla facilità con cui, già in una prima superiore gli studenti si relazionino con gli ambienti ipertestuali e i formati di scrittura, quando vengano stimolati e aiutati in casa o in laboratorio di scrittura da un docente esperto. Dal punto di vista metodologico potrebbe implicare una ricaduta ricostruttiva di cui se ne riconosce l’utilità in quanto manipolare il materiale di studio per metterne in rilievo le informazioni più importanti, per ricordarle meglio, per stabilire connessioni con altre conoscenze (Lonka et al., 1994, in Boscolo, p.317) può avere un carattere generativo, in quanto la loro applicazione comporta una trasformazione profonda del materiale stesso a vantaggio della messa in relazione con gli strumenti più sicuri per gli studenti che non riescono ad utilizzare la comunicazione interattiva. L’esempio produttivo può essere quello della restituzione semantizzata per esempio nella forma della grafica schematica, di riassunti, matrici e mappe. Questi aspetti sono stati analizzati dopo che la classe ha conseguito un modulo di scrittura processuale fondato sulla presenza-guida dell’esperto [codocenze per esempio] e sulla successiva opportunità di collaborazione: quest’ultima può dunque essere messa in atto secondo modalità interattive in classe (il docente non sa tutto e quindi l’informazione che l’alunno dà alla classe è elevata – il docente tuttavia sa come strutturare l’informazione in modo attivo e illuminante, sotto alcuni aspetti) che possono risultare efficaci quando, con il riassunto, vengono messe in luce parole chiave che stimolano l’argomentazione, la connessione, il ragionamento mirato ad un tema. La strategia più difficile è quella previsionale: che forse è maggiormente istruibile in periodi della storia dell’Arte estesi, in cui l’assimilazione delle competenze degli artisti può favorire una comprensione elevata di un soggetto inserito come prototipico (l’arte Egizia e quella della Grecia, per esempio, i cui motivi sono soggetti ripresi nella storia e appartenenti, su un piano astratto dello sviluppo della conoscenza, all’umanità). La funzione distributiva, di ordinare le conoscenze e metterne il luce gli aspetti salienti evidenziandone le relazioni, sembra essere quella di maggiore utilità in tutti i tipi di compiti (Novak, 1995, cit. in Boscolo, p. 318). Punto chiave della strutturazione del compito è quello della possibilità di una distribuzione gerarchica che renda accessibile le differenze tra aspetti di maggiore specificità da quelli che riguardano la generalizzazione e l’applicazione. Gli obiettivi che mostrano l’efficacia della strategia in uso possono essere osservabili a posteriori in alcuni modi: attività riassuntive, di organizzazione del testo, quindi saper distinguere la “voce” dell’autore. Inoltre, la chiarificazione studente-testo-commento al testo e quindi docente-studente, come strumento testuale e orale; il fare delle domande al testo, attraverso la riattivazione di strumenti che esso offre, e fare domande al docente quale guida in questa organizzazione dell’apprendimento. Boscolo osserva che occorre sia il docente in tale ruolo di mediatore esperto, colui che costruisce i test di verifica, i compiti relativi alla misurazione delle capacità di lettura: in tal senso, anche gli inviti alla dizione del testo scritto quale primo accesso, devono poter non essere sentiti come meri test, ma come eventi di studio: forse l’aspetto più difficile da integrare in una classe molto vivace di primo anno, in cui il delay iniziale, in alcuni studenti, si manifesta quasi esclusivamente come difficoltà di attenzione. A mio avviso occorre sperimentare un coinvolgimento a carattere collaborativo ed interattivo maggiore che miri a rivalutare la perfomance necessaria allo studio delle discipline umanistiche: lettura, recitazione (è stato dimostrato che leggere in piedi, ai compagni, anche un breve brano adeguato alla prestazione in classe, favorisce un riconoscimento della dignità del compito e dei propri strumenti), riflessione, discussione di gruppo, roleplay non privi del supporto scientifico del riconoscimento della voce dell’autore. Lumbelli, (idem, p. 312), parla dell’attivazione delle strategie in termini metodologici rispetto all’individuazione di incoerenze e alla necessità dell’analisi per condurre le inferenze sul testo. Le tre condizioni che rimettono in gioco la situazione d’aula in modo propositivo anche per situazioni di incomprensione sono: che vi sia la consapevolezza della possibilità di non poter risalire a tutta l’informazione (lacuna), quindi la possibilità che il docente verifichi, attraverso protocolli verbali, le effettive incomprensioni e terza ed ultima, (molto simile alle regole dei gialli, di Chandler, Van Dijk e altri) che l’incongruenza presente, debba essere reperibile ad un’attenta lettura del testo. [Quest'ultima, a mio avviso, è la soluzione migliore]. Al docente sta, a garanzia di queste condizioni, un ruolo di rispecchiamento cui solo in extremis segue l’intervento risolutivo del compito in positivo o negativo (ovvero attraverso una verifica della qualità della restituzione del compito di ricerca-soluzione). In conclusione, poter ricapitolare sul metodo, sulle procedure attivate di controllo e di analisi, restituisce (a mio avviso nei casi più complessi nelle classi terminali di terzo ciclo) il senso non solo di ragionare fornendo evidenze utili, ma anche l’opportunità rielaborativa di attendere alla corretta processazione di testi (Reynolds, 1992, idem) altrimenti letti solo in chiave di casualità disorganica, cui è esclusa la lettura per tratti salienti. Questa diversa modalità di testare l’abilità cognitiva, a mio avviso, è favorita anche dalla possibilità di trasporre il modello attentivo di Reynolds della focalizzazione su processi e sistemi della produzione del senso e sul meccanismo della ricezione, inscritti nella situazione o persino nel testo, che facilitano il rapporto tra autore e lettore – testo, specialmente dove occorre ricostruire tali condizioni per attivare la comprensione in termini storici. Il grado quindi di comprensione delle salienze motiverebbe l’attenzione anche nel senso della sua durata ed intensità, ma non esclusivamente su queste variabili che possono tuttavia incrementare il livello di apprendimento.

V. Cosa significa sapersi autoregolare nell’apprendimento
L’apprendimento autoregolato si verifica quando lo studente è in grado di attivare e mantenere cognizioni e comportamenti sistematicamente orientati a obiettivi di apprendimento (Schunk, 1990, cit. in Boscolo, p.320). Ma ci sono due punti di vista che hanno permesso di individuare e successivamente di unificare i processi di autoregolazione in situazioni di apprendimento: Boscolo citando gli studi su tali aspetti ha rilevato (Garcia, Pintrich, 1994; Boekaerts, 1996) l’importanza sia del punto di vista metacognitivo sul compito che sia quello più strettamente motivazionale che favorisce l’impegno e l’autovalutazione, in grado, quest’ultima, di proteggere l’individuo nel momento di sforzo, incentivandosi e ricomponendosi. Boscolo sottopone all’analisi alcuni criteri ritenuti indispensabili all’accrescimento della motivazione e quindi all’autoregolazione: il senso di efficacia, il porre degli obiettivi, la richiesta di aiuto, le strategie motivazionali difensive, la volontà. Per Bandura, la consapevolezza del primo di questi processi è in grado di favorire il giudizio, propositivo, sulle proprie abilità connesse a certi tipi di compiti e sulla capacità di resistenza di fronte ad ulteriori loro difficoltà; ma non di meno, esercita un ruolo interessante sull’equilibrio emozionale che riguarda il potenziale di ostilità ambientale. Significativo è il fatto che Bandura proponga di osservare la natura del cambiamento di prospettiva dell’”agente” che si attiva sia sul sé che sull’ambiente circostante. Convinzioni come quelle definite di self-efficacy belief permettono di instaurare un senso di continuità prodotta da una situazione di valutazione positiva con esiti motivazionali in vari compiti. Occorre quindi cercare di rendere percepibile l’aspetto dimensionale degli obiettivi in termini di rappresentazione: specificità, standard, vicinanza/lontananza nel tempo. Nonostante questi parametri abbiano dato indicazioni relative alla disponibilità dello studente all’autovalutazione dell’efficacia, sono i gradienti che graduano la facilità o difficoltà percepita nell’esecuzione di un compito che a lungo termine permettono una maggiore informazione relativa alle abilità individuali. Un terzo parametro permette di verificare l’autoregolazione degli studenti in situazioni di apprendimento: la ricerca di aiuto (help-seeking) comporta un rilievo anche sul piano sociale. Per essere genuinamente interattive le richieste devono assumere un aspetto motivazionale adattivo (Newman, 1990) che comporti una sequenzialità nella formulazione della domanda stessa: pur essendo un fattore che si rileva rispetto al senso di efficacia, la qualità e la motivazione della domanda, la pertinenza della scelta dell’interlocutore a cui è rivolta sono fattori che rispondono, forse, ad un senso di efficacia commisurabile ad aspetti conversazionali (regole di Grice) che favoriscono la previsione circa le capacità di adattamento sul compito. Un interessante sviluppo di questo tipo di modulazione dell’adattamento alla situazione può essere esercitato con il reciprocal questioning (King, 1990, in Boscolo), che tuttavia durante il tirocinio ho visto utilizzare di rado, ma che è sentito anche da altri docenti quale strumento per verificare le potenzialità di studenti di livello minore in relazione ai pari ma di livello maggiore, cui non si esclude la partecipazione del docente. Secondo alcuni studiosi, l’esercizio della volontà comporta il controllo dell’azione successivamente alla scelta di operare, in compiti il cui successo sia relativo al sostegno dell’ambiente scolastico (Corno, 1994). Si possono distinguere due tipi di controllo: quello motivazionale e quello emotivo. Le strategie di volontà sono rilevabili quali sintomi propositivi soprattutto quando adeguate, nella ricerca di aiuto, e quando sostanziate da scelte progettuali. L’ultima componente dell’apprendimento autoregolato trattato da Boscolo, e inseribile nelle applicazioni didattiche durante l’insegnamento, è la strategia difensiva che si esplica attraverso fenomeni di auto-osservazione in generale, o specificatamente di auto-ascolto. Sono strategie di self-handicapping tutte le espressioni che portano a danneggiare se stessi, rispetto all’esplicitazione di una richiesta motivata di aiuto: i sintomi sono sempre allusivi e trattano in parte l’esclusione dalla vita quotidiana del docente quindi accusabile di esigere troppo, ma non solo vi sono aspetti latenti di tipo caratteriale che rivestono una certa importanza: alcuni aspetti emotivi che se mal superati, non fanno che replicare l’instabilità attributiva rispetto al valore dello sforzo impiegato nel compito. L’ultimo esempio mi appare noto: quasi fosse la marca presente in quasi ogni scuola e letta anche in parte come “bullismo”; essa si manifesta proprio con il rifiuto di mettersi alla prova e la svalutazione dell’impegno di classe: a mio avviso colpisce maggiormente persone che hanno individuato anche nel timore dell’etichettamento (disagio economico, per es.) un fattore di sottosviluppo (auto) imposto da utilizzare per paura che la richiesta di aiuto esplicita sia smascherante rispetto ad altre risorse della motivazione. Il ruolo propositivo dell’insegnante, inteso come facilitatore, sembra segnare il passo a questo tipo di problematiche quando (Covington, 1985) il clima competitivo è ricondotto alla sfera individuale e viene chiarita la possibilità di un apprendimento e di uno sviluppo delle competenze chiare negli obiettivi ed adeguate alle possibilità ed aspirazioni. Il riconoscimento che lo studente può volgere a se stesso, in quanto in grado di verificare autonomamente il proprio apprendimento e quindi determinare il senso di efficacia, favorisce l’accrescimento della motivazione.

Nessun commento: