martedì 10 novembre 2009

riscrittura | metacognizione e apprendimento autoregolato > immissione in ruolo

Riscrittura su modello della neo narratività - scuola di NY - Il testo, comunque, non è mai stato ammesso al quorum della valutazione finale, durante la SSIS - ovvero non è mai ritornata alla valutazione a detta di Job, che mi ha mostrato, purtroppo, una email alterata dove le risposte erano dello stesso colore delle domande, dato che la prof non poteva essere sempre a Rovereto chiedeva che le scrivessimo via mail - Il voto assegnato che inzialmente rifiutai era 18/30, di una tesina più semplice, diretta e io credo spontanea sulle stesse domande - questo era 30/30, ma il prof Job, trasparenza e opacità delle università italiane, con gli strumenti in suo possesso ha deciso di archiviare, peccato dico io, così nel frattempo, restituisco una versione che a mese sembra tecnica, comprensibile ma per chi conosce il testo, in parte, e ad una seconda lettura, dopo diversi anni, questa "metacognizione" mi sembra una virtuosistica stratificazione che preferisco quando ricollegabile al reale.

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dal testo di Mason L. (2001), Verità e certezze. Natura e sviluppo delle epistemologie ingenue, Roma, Carocci.
P. Boscolo in Psicologia dell’apprendimento scolastico, Roma, Carocci.

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Si noti, guardando questi approcci che una vera teoria testuale non esiste e nemmeno un'analisi del discorso o della conversazione. Ci si chiede su cosa ci si basi - ma in realtà è proprio così, è tutto dato per scontato - questa è pura tattica. A mio avviso qualche riferimento alla teoria dell'enunciaizone e alla situazione dell'enunciato e alla situazione di enunciazione è quanto meno necessaria (corsi di R. Grandi).

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I. Le conoscenze metacognitive che facilitano un compito di lettura
Ho scelto, per rispondere alla domanda sulle conoscenze metacognitive che facilitano un compito di lettura i tratti significativi introdotti da P. Boscolo in Psicologia dell’apprendimento scolastico.
Tra le conoscenze che facilitano un compito di lettura lo studente può gradualmente possedere capacità cognitive e comportamentali orientate verso obiettivi di apprendimento, ma è quindi la configurazione sistematica dell’approccio all’autoregolazione che comporta dei progressi sensibili nel consolidamento della motivazione nei confronti dell’apprendimento di strumenti facilitanti i compiti di lettura e, in generale, nello studio. Anderson e Armbruster (1982) in Boscolo, 1997, p 315-316) sostengono la necessità di una lettura “finalizzata” all’esecuzione di un compito permettendo di individuare la congruenza tra studio e lettura (derivabile dalla ricerca filologica in parte, se si pensi allo studium) ma inserendo nel continuum esperienziale aspetti rilevanti di agenda, che può consistere nella restituzione scolare, orale o scritta, con approcci differenziali motivati. Devine (1991) ci conduce verso un’articolazione che include uno sforzo autoregolato, precedentemente sperimentato in aula attraverso il docente che attivi il compito di lettura: comprendere, ricordare e usare determinate conoscenze o procedure (Boscolo, p. 316). Questa visione generale dell’esecuzione ha portato alcuni studiosi come Devine a considerare l’interpretazione come qualcosa di disancorato dalla spiegazione che comporta la lettura – ma considerando che la riproduzione di un testo implica la rilettura di quanto memorizzato, Boscolo considera questi processi come omogenei alla lettura finalizzata: comprensione, memorizzazione e uso delle conoscenze e/o abilità che l‘attività di lettura suscita. Se cerchiamo quindi di integrare questi aspetti finalizzati al compito possiamo individuare tre fasi (Anderson, 1979). Prelettura (porsi degli obiettivi chiari aderenti ai criteri di valutazione, inoltre, il sondaggio preliminare favorisce la costituzione di una mappa strutturata di tappe necessarie che permette di verificare, ad una prima occhiata ciò che già si possiede su un certo argomento e quindi di fare previsioni; utile, in tale fase, è l’autoregolarsi dal semplice e concreto al complesso e astratto, in una prospettiva generativa dei contenuti. Lettura (l’uso del testo implica la selezione delle parti importanti e la conseguente modulazione e distribuzione dell’attenzione con un certo investimento motivazionale che comporta il primo porre delle domande al testo cui consegue una prima registrazione di “risposte” – si tratta del primo intervento metacognitivo sulla propria comprensione; decisione sull’appropriatezza cui segue la possibilità di approfondimento regolato, quindi, dalla presenza del testo: in tal caso a mio avviso l’espansione, il confronto, e la possibile riduzione per casi, per analogie e differenze, può rappresentare un secondo momento di monitoraggio). Postlettura (qui a mio avviso si innesta lo sforzo inferenziale e produttivo della lettura autoregolata dalla metacognizione: alla condizione che lo studio sia seguito da processi sistematici di rielaborazione, quali riassunti, schemi, domande per porre la verifica sul ragionamento e sul sapere, la mappatura anche sotto forma di intertestualità che media l’espansione, sia scritta che orale e che favorisce la memorizzazione a lungo termine del percorso di lettura svolto – specialmente dove questa competenza è richiesta come base della comprensione del compito stesso). Questa processazione profonda, sottolinea Boscolo, comporta una certa manipolazione dei dati finalizzata alla comunicazione, ma non solo e ben più significativamente alla sua corretta messa in memoria. Questo momento può essere differenziato tra una sistemazione per categorie profonde del contenuto (anche quindi nel loro livello socio-culturale semantico considerato alla stregua di una vera e propria esperienza esperta come sosterrebbe la semiotica cognitivista e testuale che ha studiato questi fenomeni di enunciazione - G. Manetti e P. Violi – che intervengono sull’idea di comprensione come attivazione della lettura e ancora come sviluppo dello studio) o una più articolata disposizione metadiscorsiva che mira ad auto-centrare lo studente secondo la mediazione spazio-temporale e attoriale “storica”: ovvero il ricorso alla pianificazione del tema cui possono intervenire strutture, mappe concettuali spaziali, che manifestano l’intervento di reticoli funzionali gerarchizzati e connettivi. (Queste mappe spaziali, possono così regolare la distribuzione dei concetti sia temporali che attoriali, centrate, cioè, queste ultime sul soggetto sia in funzione tematica che figurativa del discorso attraverso piccoli schizzi che aiutano a ripristinare mnemonicamente alcuni momenti salienti dell’analisi di un opera visiva). Le mappe facili da costruire possono intervenire su percorsi, dati da fissare velocemente e quindi è opportuno partire da queste, mentre quelle sempre più difficili ed esperte sono già composte in modo da sollecitare una ricognizione inferenziale dei concetti rilevanti del testo da leggere (docente-studente – auto-apprendimento), o del testo già letto (studente-riproduzione e autovalutazione). Ma cosa occorre fare? Occorre individuare un numero minimo (più semplice possibile) di concetti chiave, che rappresentino alcune unità semantiche concrete, empiricamente rilevabili dallo studente; una forma gerarchica che orienti il lettore dal semplice al complesso o vista la quantità di occorrenze terminologiche, dall’iponimo superiore all’iperonimo/i inferiore/i relativamente a dati connessi con il testo e quindi secondo l’ordine dell’implicazione logica presupposta; si evidenziano le parti che costituiscono la connessione a mappa che saranno così estratte preliminarmente e si rendono significative le relazioni che ne regolano il flusso associativo etichettandole. La consapevolezza di queste metodologie di lettura esperta, sostiene Boscolo, possono facilitarne l’utilizzo da parte dello studente, accelerando alcuni momenti essenzialmente evolutivi che rendono conto di una maggiore capacità di fare connessioni logico-inferenziali corrette e personali. A mio avviso occorre sostenere gli allievi in questo delicato momento di crescita perché non sempre i risultati sono equiparabili e possono dipendere in parte dalla fiducia accordata, dalla motivazione riconosciuta al loro utilizzo continuo nel processo di lettura. Per far ciò occorre riconoscere che si sta già lavorando su strumenti validi operando con strumenti linguistici e metalinguistici opportunamente vagliati.

II. Essere dualisti o relativisti rispetto alla conoscenza e al conoscere (in generale): influenza sull’apprendimento.
L’approccio allo sviluppo intellettuale ed etico di Perry ha permesso (negli sviluppi successivi che a lui fanno riferimento per la dimensione di scala) di rivolgere una particolare attenzione alle situazioni interattive presenti nell’ambito della formazione, sia in momenti di valutazione che di discussione in quanto focalizza la situazione, più che sui parametri di valutazione delle competenze acquisite o sull’epistemologia adottata, sul grado e la qualità del cambiamento che la situazione di mediazione favorisce: “nelle assunzioni sulla natura della conoscenza e sul ruolo dell’autorità (…) riflessi di quelli più ampi nei processi di cognizione” (Mason, 2001, p. 43). L’applicabilità del metodo vede a confronto una scala posizionale a nove livelli differenziali mentre il metodo ripreso da Baxter Magolda, nel 1992, favorisce un approccio disancorato dalle implicazioni di ‘genere’ e mira a cogliere determinazioni che sono frutto di “pattern” di ragionamento trasversali che rappresentano un “continuum” di differenze nella giustificazione delle assunzioni epistemologiche per ciascun modo di conoscere (idem, p.48) che permette quindi di cogliere anche influenze extra scolastiche. Perry, all’inizio della sua ricerca sulle invarianti ha distinto in quattro raggruppamenti i nove livelli: dualismo, molteplicità, relativismo ed impegno nel relativismo evidenziando in ogni momento, il tipo di rappresentazione di sé e del compito che tali tratti favoriscono negli studenti il raggiungimento di un più alto livello di equilibrio cognitivo in conseguenza dell’assimilazione e dell’accomodamento.
[1] Nella prima posizione assunta appare con evidenza la necessità di trovare più esempi a sostegno di una teoria, ma anche aspetti che l’hanno rovesciata per poter confrontare adeguatamente i punti su cui poter ampliare la riflessione. [2] Nel pensiero diretto alla ‘molteplicità’ sono gli aspetti subordinati proprio alle diverse modalità di articolazione del sapere che rendono conto di un sentimento di incertezza, tuttavia credendo che la verità possa essere sempre conosciuta: la verifica personale favorisce la costituzione di un pensiero proprio. Dalla ‘complessità dualista’ si passa quindi ad una visione generale che permette di cogliere la pluralità delle posizioni pur all’interno di uno schema che tende ad oscillare tra il ‘relativismo correlato’ (assoluto e dualista) il quale permette di restare ancorati al livello precedente (se non come dice Perry di ritornarvi, forse anche rivisitandolo ad occorrenza) e una situazione di incompatibilità: un assolutismo che origina un certo dogmatismo e un punto di vista relativista (in competizione), se non alla posizione generalizzante che converge verso un relativismo di tutta la conoscenza. [3] È in questo momento che può manifestarsi la necessità di un orientamento maggiormente volto a riconoscere le scelte e l’affermazione, in uno spazio apparentemente neutro e relativo, delle proprie opinioni. A mio avviso questo livello evidenzia la capacità dello studente di garantirsi il proprio ruolo all’interno del processo formativo: non si tratta di un atteggiamento passivo, ma dell’acquisizione più consapevole di strumenti atti a definire il sapere condiviso ancora non completamente adeguato alla propria esperienza, prima di aver svolto qualche passo in modo articolato in un’esperienza di impegno personalizzato, che può vedere coinvolti più strumenti di studio e più punti di vista. [4] Questo stadio assume valenze solitamente percepite come maggiormente creative e soddisfacenti in quanto all’impegno consegue l’esplorazione mirata che favorisce, tra le altre, il temporeggiamento: l’attesa che le competenze possano essere meglio adeguate nello studente al compito, senza che questo debba soffrire di brusche ricapitolazioni al dualismo, se il contesto lo permette. Ecco perché, a mio avviso, quest’ultimo aspetto di sviluppo dell’impegno dovrebbe essere particolarmente assistito nelle sue primissime tappe: lo studente può trovarvi ostacoli che gli impediscono di progredire nell’impegno, e quindi voler ripristinare una metodologia che prima gli sembrava poter dare risposte nette a situazioni frustranti ma senza ulteriore flessibilità e utilizzo autonomo delle risorse. Si tratta anche dell’impiego di competenze emotive, dello sviluppo di un interesse che vede il coinvolgimento dell’arte di vivere in genere e forse anche di un senso estetico: l’assunzione di responsabilità e il riconoscimento dell’altro, che porta a confrontarsi su valori, aspetti professionali, persino la propria identità può essere minacciata o riuscire ad esprimersi secondo le sue vere potenzialità (idem). Ho potuto osservare in classe dei fenomeni di resistenza: uno studente che crede alla propria maturità e prontezza nell’impegno, di fronte ad un ostacolo può sentirsi a disagio, il temporeggiamento gli permette di riproporre una situazione di dualismo e di controllo e in un certo senso lo studente riesce ad entrare nello stato d’animo di poter misurare i propri errori e le proprie capacità, di correggerli e, pur ritrandosi momentaneamente in una situazione dualista, riacquista le valenze che permettono di riflettere su altri compiti e rimettersi alla situazione di mediazione con serenità. Purtroppo ci sono casi in cui la fuga, anche fisica, dalle lezioni rappresenta il vero momento di stasi per lo studente, anche bravo, che non riesce a trovare, nel rapporto tra esplorazione attiva e sviluppo dell’impegno, le risorse sufficienti per rispondere ad un aumento della complessità, forse dovuta anche da una maggior esigenza di definizione della propria identità dai modelli adulti che impiegano la propria per portarli nel migliore dei modi possibili, rispetto al campo disciplinare, a quelle soddisfazioni che favoriscono l’integrazione del sapere acquisito ed elaborato; un sapere, questo, che Belenky et al.(in, Mason, 2001, p.44) hanno riconosciuto come conoscenza costruita. In questo caso normalmente ho optato per alcune forme di ricapitolazione sugli argomenti trattati, in termini di stili di vita, di passioni che costruiscono lo stile di apprendimento, esplicandosi nella durata, nello sviluppo della tolleranza verso il cambiamento: ho potuto verificare, dopo alcune difficoltà, che tenendo conto del genere, la ricaduta dell’impegno sulla classe è più tollerabile anche per riconoscere meglio le proprie modalità di docente e non divenire espressione di una autorità univoca asessuata, ma favorire la condivisione di aspetti emotivi e discorsivi, a condizione di riuscire a esemplificare proceduralmente le varie tappe (conoscenza ricevuta, conoscenza soggettiva, conoscenza procedurale, conoscenza costruita) per poterle utilizzare nelle situazioni difficili e nello sviluppo in rete di relazioni e ruoli che manifestano la presenza di determinate credenze epistemologiche (Baxter Magolda, in Mason, 2001, p.47-51), le quali danno adito a diversi modi di conoscere: assoluta, transizionale, indipendente e contestuale. Nella pratica possono accentuarsi così i momenti di condivisione della conoscenza costruita in quanto condivisa in modo diretto e non offuscato, come nei primi passi di reciprocità con la classe, da soli giudizi provenienti da una conoscenza soggettiva tout cour.

III. In riferimento al proprio ambito disciplinare (considerare una disciplina), dire cosa significhi avere credenze epistemologiche meno evolute e più evolute e come si possa promuovere il pensiero epistemologico degli studenti.
Tenendo conto della relatività della presenza, in entrambi i sessi, di aspetti distintivi di pattern correlati a tipologie di ragionamento trasversale e quindi differenziato, dell’esigenza manifesta e della «motivazione intrinseca» di studenti in apprendimento della storia dell’arte e dell’arte in genere (intesa anche come ambito pluridisciplinare negli Istituti Superiori d’Arte), mi sono sembrate maggiormente ravvisabili sia dal punto di vista dell’attenzione che dai risultati successivi ai primi compiti strutturati (in cui vi fosse maggiore investimento sia della comprensione del testo, che della diversità di possibili attribuzioni di valore di verità e quindi della presentazione di domande sistematicamente volte alla ripresa della riflessione (sia scritta che verbale) attivata in aula) che il quadro generale presentato da Baxter Magolda sia abbastanza conforme alla situazione descritta. In alcuni alunni le prospettive epistemologiche (tabella 2.3, p. 52) derivate da posizioni «dualiste» nelle prime classi sono quelle che risultano più difficili da superare – ma ritengo che di fronte alla novità di uno stile, in qualche misura, lo studio della storia dell’arte nella sua componete critica si avvalga, in particolar modo, nella manualistica, di questa posizione atta a rendere conto di una forma di sistematicità in cui il sistema di opposizioni non concede ancora una riflessione in termini di sviluppo differenziale e graduato che dev’essere attivato, a mio avviso soprattutto nella lezione frontale e successivamente osservato nella restituzione di compiti e quindi gradualmente nell’ ambito di una programmazione a gruppi o ad esempio, sullo sviluppo di un monografico, che favorisce la verifica della natura del sapere da parte dello studente. Ma la categorizzazione differenziale è sempre un buon punto di partenza, se successivamente completato riflessivamente con i dovuti ampliamenti e le dovute stratificazioni di concetti. Solo quando gli studenti investono maggiore spazio nell’interazione agli strumenti didattici e quindi alla relazione docente – classe, nella riflessione consentita da aspetti condivisi, si ottiene abbastanza rapidamente il superamento di questo primo stadio che appare un comodo riparo, atto ad eliminare qualunque frustrazione sia ambientale che derivata dallo sforzo dello studio: un luogo in cui ritornare a mio avviso necessario che tuttavia dev’essere restituito alla sua valenza relativa di connettore semantico (spazi, tempi, attori) in un contesto di apprendimento motivato dall’acquisizione personale di un sapere costruito con la classe e con la convergenza o la divergenza dei sussidi. Il passo necessario corrisponde proprio al momento di sviluppo di una visione molteplice della conoscenza, in cui la presa soggettiva sui dati, favorisca l’emergere di aspetti transizionali, i quali se ben inquadrati (a mio avviso frasi come alle medie facevo così; il professore precedente faceva così e così) sono messaggi abbastanza evidenti ma che vanno successivamente interpretati dando spazio alle opportunità del progresso indipendente dello studente e quindi facendo leva sulla connessione con altri stili di apprendimento connessi che separati o fortemente individualizzati: spiegare le differenze e le analogie tra artisti che dipingono nello stesso periodo storico, nella stessa “scuola di pittura” ma raggiungono esiti diversi e stimolare l’attenzione verso la percezione di un canone motivato dalla conoscenza sistematica migliore dell’artista, può favorire la graduale strutturazione di una conoscenza, di uno stile o modo di conoscere indipendente. Per favorire queste esperienze la storia dell’arte può essere suscettibile quindi di una tenuta generale: potendo includere ogni livello, si deve tentare, tuttavia, di non rendere superficiale o ridicolo ogni “slittamento” e ogni “salto”. King e Kitchner sembrano cogliere la differenza della configurazione discorsiva del conoscere dal semplice riportare un dato: l’abilità di formulare giudizi riflessivi implica, infatti, la consapevolezza dell’incertezza, il riuscire ad integrare e valutare i diversi dati disponibili in rapporto alle teorie (…), il saper trovare una soluzione ad un problema affrontato, difendibile come razionale e plausibile aiuterebbe a recuperare in modo maggiormente coeso all’interno di modi di strutturare il pensiero critico e riflessivo dove quest’ultimo si attiva in modo più significativo e saliente in problemi mal strutturati; ad esempio una critica estetica insoddisfacente che non rende conto dell’integrazione aggiornabile di strumenti di analisi, testi, sintesi e che manca dell’individuazione di un repertorio sistematico a prova della teoria e quindi sottovaluta gli elementi, ad esempio, di coesione testuale dell’opera, rifugiandosi in una assunzione epistemologica data per scontata, che in realtà poggia su aspetti di tipo associativo e non crea alcuna abilità distintiva a sostegno di una assunzione teorica necessaria). La distinzione tra la natura della conoscenza e la natura della giustificazione data, appare invece in particolar modo nelle quinte classi superiori in cui ci si appresta a discutere l’importanza dell’equilibrio ambientale in relazione alla consapevolezza di compiere dei possibili salti di sviluppo sentiti in ogni ordine disciplinare dal più pratico al più astratto e in particolar modo nella storia dell’arte dove gli studenti sono valutati secondo competenze altamente connesse tra loro, dal recupero storico, alle nozioni presemiotiche dell’iconografia alla distinzione tra una lettura idiosincratica e una metodologicamente e autenticamente riflessiva (disputa che all’interno del dibattito semiotico visivo ed estetico ha visto da un lato la scuola barthesiana e dall’altra quella generativa e interpretativa di A.J. Greimas ed U. Eco, per citare un esempio storicamente rintracciabile e le cui origini metodologiche sono date da attivazioni semio-linguistiche e cognitiviste). Tuttavia è l’entusiasmo della scoperta continua, della completezza o incompletezza del repertorio, che ad una prima reazione insicura, favorisce l’attenzione verso l’acquisizione alternata a momenti di sistemazione e generalizzazione (i “plateau” di Fisher e le “zone di sviluppo prossimale” di Vygostskij) delle abilità relative ai successivi domini.

IV. Quando diventa efficace l’insegnamento di una strategia
Dopo avere acquisito i primi strumenti per la distinzione dei casi specifici attraverso analogie e differenze il docente cerca di individuare la formazione di nuove modalità di schematizzare i nuovi schemi e quindi la capacità di mettere in relazione più frammenti isolati applicabili a situazioni diversificate in cui sia possibile applicare e mettere alla prova il nuovo insegnamento (Pressley, Borkowsk, Schneider, 1989) quindi disporre di una metodologia (Rumelhart e Norman, 1978, cit in Boscolo, p. 332) di ristrutturazione del sapere per conseguire un apprendimento significativo. I casi in cui la soddisfazione circa l’insegnamento di strategie di apprendimento sono maggiori e raggiungono quindi obiettivi che possono essere consolidati nel tempo e quindi divenire efficaci sono diversi ma possono essere riassunti sotto il profilo di una sorta di situazione di delay dovuto a serie di fattori: le caratteristiche che sono osservabili (Boscolo) sono connesse sia con la produzione di risposte psico-attitudinali (rigidità verso nuove operazioni di pensiero) che di tipo strutturale, ovvero è l’organismo a rifiutare l’adattamento richiesto da una modificazione cognitiva. Solo con l’avanzare dell’osservazione in aula si possono notare gli sforzi compiuti dagli studenti in relazione alla situazione di mediazione la quale, secondo la mia esperienza di tirocinio e d’insegnamento, ha dato maggiori frutti in una situazione attiva e partecipe: la prima delle condizioni di Feuerstein, riguardo all’acquisizione di elementi di esperienza investe infatti tutta la relazione di mediazione con varie oscillazioni intersoggettive fino alla realizzazione di una sorta di “buona distanza” in cui il docente riesca a rispondere ai tentativi di apprendimento autoregolato dello studente. Ecco dunque in che misura la mediazione risulta condizione necessaria, ma non sufficiente: la seconda categoria di Feurstein, concernente gli aspetti formali della cognizione, mira alla realizzazione e alla soddisfazione di obiettivi di tipo costruttivo e costitutivo al tempo stesso; organizzare, mettere in relazione, trasformare relazioni, ad esempio con l’aiuto del concreto intervento argomentativo sono fenomeni effettivamente percepiti come prerequisiti all’aquisizione di strumenti migliori, che restituiscono un migliore accesso all’esperienza. Il concetto di non irreversibilità della scarsa modificabilità cognitiva ci può essere quindi di aiuto, rispetto alla nostra stessa risposta emotiva di fronte allo stato di cose: talvolta un libro con errori, e quindi parzialmente mal strutturato, può diventare, una sorta di segnale intermittente rispetto all’apprendimento passivo per modificare e rimettere in gioco l’attenzione critica, nonché la strumentazione metacognitiva che guida i processi di apprendimento. La correzione in itinere permette di non fissarsi sul soggetto ma sul problema e di migliorare la motivazione intrinseca che si opera per inserirsi attivamente nel flusso informativo di una riproduzione rielaborativa. L’attenzione può essere posta alle modalità di produzione e quindi valutata nella potenziale risposta migliorativa della conoscenza. In aula per cominciare da una prima del terzo ciclo, ho adottato l’insegnamento diretto delle strategie per la compilazione di una piccola ricerca sulla Biblioteca di Alessandria motivata dall’integrazione al testo e dalla possibilità di coinvolgimento in gruppi – quando alla verifica che la classe fosse in grado di reperire tali informazioni in modo differenziato e personalizzato. Alla prima consegna ho distribuito loro il compito vero, facendo si che l’informazione trovata potesse restare nella condizione di allegato: comporre un titolo nuovo e quindi originale rispetto a quello reperito, definirsi curatori e quindi datare e restituire con ancora una certa immediatezza informazioni sull’autore del testo, il luogo di produzione e l’anno; fare una premessa all’informazione trovata e quindi un commento circa la validità del documento o la ricchezza e la coerenza informativa; successivamente, ma come strumento d’aula, proporre la disamina del glossario da fissare sul quaderno inserendo in tal senso la forma della citazione tra virgolette che potrebbe essere già necessaria in un lavoro di accesso al testo. Queste modalità processuali sono rese possibili grazie alla facilità con cui, già in una prima superiore gli studenti si relazionino con gli ambienti ipertestuali e i formati di scrittura, quando vengano stimolati e aiutati in casa o in laboratorio di scrittura da un docente esperto. Dal punto di vista metodologico potrebbe implicare una ricaduta ricostruttiva di cui se ne riconosce l’utilità in quanto manipolare il materiale di studio per metterne in rilievo le informazioni più importanti, per ricordarle meglio, per stabilire connessioni con altre conoscenze (Lonka et al., 1994, in Boscolo, p.317) può avere un carattere generativo, in quanto la loro applicazione comporta una trasformazione profonda del materiale stesso a vantaggio della messa in relazione con gli strumenti più sicuri per gli studenti che non riescono ad utilizzare la comunicazione interattiva. L’esempio produttivo può essere quello della restituzione semantizzata per esempio nella forma della grafica schematica, di riassunti, matrici e mappe. Questi aspetti sono stati analizzati dopo che la classe ha conseguito un modulo di scrittura processuale fondato sulla presenza-guida dell’esperto [codocenze per esempio] e sulla successiva opportunità di collaborazione: quest’ultima può dunque essere messa in atto secondo modalità interattive in classe (il docente non sa tutto e quindi l’informazione che l’alunno dà alla classe è elevata – il docente tuttavia sa come strutturare l’informazione in modo attivo e illuminante, sotto alcuni aspetti) che possono risultare efficaci quando, con il riassunto, vengono messe in luce parole chiave che stimolano l’argomentazione, la connessione, il ragionamento mirato ad un tema. La strategia più difficile è quella previsionale: che forse è maggiormente istruibile in periodi della storia dell’Arte estesi, in cui l’assimilazione delle competenze degli artisti può favorire una comprensione elevata di un soggetto inserito come prototipico (l’arte Egizia e quella della Grecia, per esempio, i cui motivi sono soggetti ripresi nella storia e appartenenti, su un piano astratto dello sviluppo della conoscenza, all’umanità). La funzione distributiva, di ordinare le conoscenze e metterne il luce gli aspetti salienti evidenziandone le relazioni, sembra essere quella di maggiore utilità in tutti i tipi di compiti (Novak, 1995, cit. in Boscolo, p. 318). Punto chiave della strutturazione del compito è quello della possibilità di una distribuzione gerarchica che renda accessibile le differenze tra aspetti di maggiore specificità da quelli che riguardano la generalizzazione e l’applicazione. Gli obiettivi che mostrano l’efficacia della strategia in uso possono essere osservabili a posteriori in alcuni modi: attività riassuntive, di organizzazione del testo, quindi saper distinguere la “voce” dell’autore. Inoltre, la chiarificazione studente-testo-commento al testo e quindi docente-studente, come strumento testuale e orale; il fare delle domande al testo, attraverso la riattivazione di strumenti che esso offre, e fare domande al docente quale guida in questa organizzazione dell’apprendimento. Boscolo osserva che occorre sia il docente in tale ruolo di mediatore esperto, colui che costruisce i test di verifica, i compiti relativi alla misurazione delle capacità di lettura: in tal senso, anche gli inviti alla dizione del testo scritto quale primo accesso, devono poter non essere sentiti come meri test, ma come eventi di studio: forse l’aspetto più difficile da integrare in una classe molto vivace di primo anno, in cui il delay iniziale, in alcuni studenti, si manifesta quasi esclusivamente come difficoltà di attenzione. A mio avviso occorre sperimentare un coinvolgimento a carattere collaborativo ed interattivo maggiore che miri a rivalutare la perfomance necessaria allo studio delle discipline umanistiche: lettura, recitazione (è stato dimostrato che leggere in piedi, ai compagni, anche un breve brano adeguato alla prestazione in classe, favorisce un riconoscimento della dignità del compito e dei propri strumenti), riflessione, discussione di gruppo, roleplay non privi del supporto scientifico del riconoscimento della voce dell’autore. Lumbelli, (idem, p. 312), parla dell’attivazione delle strategie in termini metodologici rispetto all’individuazione di incoerenze e alla necessità dell’analisi per condurre le inferenze sul testo. Le tre condizioni che rimettono in gioco la situazione d’aula in modo propositivo anche per situazioni di incomprensione sono: che vi sia la consapevolezza della possibilità di non poter risalire a tutta l’informazione (lacuna), quindi la possibilità che il docente verifichi, attraverso protocolli verbali, le effettive incomprensioni e terza ed ultima, (molto simile alle regole dei gialli, di Chandler, Van Dijk e altri) che l’incongruenza presente, debba essere reperibile ad un’attenta lettura del testo. [Quest'ultima, a mio avviso, è la soluzione migliore]. Al docente sta, a garanzia di queste condizioni, un ruolo di rispecchiamento cui solo in extremis segue l’intervento risolutivo del compito in positivo o negativo (ovvero attraverso una verifica della qualità della restituzione del compito di ricerca-soluzione). In conclusione, poter ricapitolare sul metodo, sulle procedure attivate di controllo e di analisi, restituisce (a mio avviso nei casi più complessi nelle classi terminali di terzo ciclo) il senso non solo di ragionare fornendo evidenze utili, ma anche l’opportunità rielaborativa di attendere alla corretta processazione di testi (Reynolds, 1992, idem) altrimenti letti solo in chiave di casualità disorganica, cui è esclusa la lettura per tratti salienti. Questa diversa modalità di testare l’abilità cognitiva, a mio avviso, è favorita anche dalla possibilità di trasporre il modello attentivo di Reynolds della focalizzazione su processi e sistemi della produzione del senso e sul meccanismo della ricezione, inscritti nella situazione o persino nel testo, che facilitano il rapporto tra autore e lettore – testo, specialmente dove occorre ricostruire tali condizioni per attivare la comprensione in termini storici. Il grado quindi di comprensione delle salienze motiverebbe l’attenzione anche nel senso della sua durata ed intensità, ma non esclusivamente su queste variabili che possono tuttavia incrementare il livello di apprendimento.

V. Cosa significa sapersi autoregolare nell’apprendimento
L’apprendimento autoregolato si verifica quando lo studente è in grado di attivare e mantenere cognizioni e comportamenti sistematicamente orientati a obiettivi di apprendimento (Schunk, 1990, cit. in Boscolo, p.320). Ma ci sono due punti di vista che hanno permesso di individuare e successivamente di unificare i processi di autoregolazione in situazioni di apprendimento: Boscolo citando gli studi su tali aspetti ha rilevato (Garcia, Pintrich, 1994; Boekaerts, 1996) l’importanza sia del punto di vista metacognitivo sul compito che sia quello più strettamente motivazionale che favorisce l’impegno e l’autovalutazione, in grado, quest’ultima, di proteggere l’individuo nel momento di sforzo, incentivandosi e ricomponendosi. Boscolo sottopone all’analisi alcuni criteri ritenuti indispensabili all’accrescimento della motivazione e quindi all’autoregolazione: il senso di efficacia, il porre degli obiettivi, la richiesta di aiuto, le strategie motivazionali difensive, la volontà. Per Bandura, la consapevolezza del primo di questi processi è in grado di favorire il giudizio, propositivo, sulle proprie abilità connesse a certi tipi di compiti e sulla capacità di resistenza di fronte ad ulteriori loro difficoltà; ma non di meno, esercita un ruolo interessante sull’equilibrio emozionale che riguarda il potenziale di ostilità ambientale. Significativo è il fatto che Bandura proponga di osservare la natura del cambiamento di prospettiva dell’”agente” che si attiva sia sul sé che sull’ambiente circostante. Convinzioni come quelle definite di self-efficacy belief permettono di instaurare un senso di continuità prodotta da una situazione di valutazione positiva con esiti motivazionali in vari compiti. Occorre quindi cercare di rendere percepibile l’aspetto dimensionale degli obiettivi in termini di rappresentazione: specificità, standard, vicinanza/lontananza nel tempo. Nonostante questi parametri abbiano dato indicazioni relative alla disponibilità dello studente all’autovalutazione dell’efficacia, sono i gradienti che graduano la facilità o difficoltà percepita nell’esecuzione di un compito che a lungo termine permettono una maggiore informazione relativa alle abilità individuali. Un terzo parametro permette di verificare l’autoregolazione degli studenti in situazioni di apprendimento: la ricerca di aiuto (help-seeking) comporta un rilievo anche sul piano sociale. Per essere genuinamente interattive le richieste devono assumere un aspetto motivazionale adattivo (Newman, 1990) che comporti una sequenzialità nella formulazione della domanda stessa: pur essendo un fattore che si rileva rispetto al senso di efficacia, la qualità e la motivazione della domanda, la pertinenza della scelta dell’interlocutore a cui è rivolta sono fattori che rispondono, forse, ad un senso di efficacia commisurabile ad aspetti conversazionali (regole di Grice) che favoriscono la previsione circa le capacità di adattamento sul compito. Un interessante sviluppo di questo tipo di modulazione dell’adattamento alla situazione può essere esercitato con il reciprocal questioning (King, 1990, in Boscolo), che tuttavia durante il tirocinio ho visto utilizzare di rado, ma che è sentito anche da altri docenti quale strumento per verificare le potenzialità di studenti di livello minore in relazione ai pari ma di livello maggiore, cui non si esclude la partecipazione del docente. Secondo alcuni studiosi, l’esercizio della volontà comporta il controllo dell’azione successivamente alla scelta di operare, in compiti il cui successo sia relativo al sostegno dell’ambiente scolastico (Corno, 1994). Si possono distinguere due tipi di controllo: quello motivazionale e quello emotivo. Le strategie di volontà sono rilevabili quali sintomi propositivi soprattutto quando adeguate, nella ricerca di aiuto, e quando sostanziate da scelte progettuali. L’ultima componente dell’apprendimento autoregolato trattato da Boscolo, e inseribile nelle applicazioni didattiche durante l’insegnamento, è la strategia difensiva che si esplica attraverso fenomeni di auto-osservazione in generale, o specificatamente di auto-ascolto. Sono strategie di self-handicapping tutte le espressioni che portano a danneggiare se stessi, rispetto all’esplicitazione di una richiesta motivata di aiuto: i sintomi sono sempre allusivi e trattano in parte l’esclusione dalla vita quotidiana del docente quindi accusabile di esigere troppo, ma non solo vi sono aspetti latenti di tipo caratteriale che rivestono una certa importanza: alcuni aspetti emotivi che se mal superati, non fanno che replicare l’instabilità attributiva rispetto al valore dello sforzo impiegato nel compito. L’ultimo esempio mi appare noto: quasi fosse la marca presente in quasi ogni scuola e letta anche in parte come “bullismo”; essa si manifesta proprio con il rifiuto di mettersi alla prova e la svalutazione dell’impegno di classe: a mio avviso colpisce maggiormente persone che hanno individuato anche nel timore dell’etichettamento (disagio economico, per es.) un fattore di sottosviluppo (auto) imposto da utilizzare per paura che la richiesta di aiuto esplicita sia smascherante rispetto ad altre risorse della motivazione. Il ruolo propositivo dell’insegnante, inteso come facilitatore, sembra segnare il passo a questo tipo di problematiche quando (Covington, 1985) il clima competitivo è ricondotto alla sfera individuale e viene chiarita la possibilità di un apprendimento e di uno sviluppo delle competenze chiare negli obiettivi ed adeguate alle possibilità ed aspirazioni. Il riconoscimento che lo studente può volgere a se stesso, in quanto in grado di verificare autonomamente il proprio apprendimento e quindi determinare il senso di efficacia, favorisce l’accrescimento della motivazione.

giovedì 5 novembre 2009

storia della semiotica o della scrittura scientifica

La scrittura scientifica ha radici cognitive-semiotiche preistoriche profonde. Da un punto di vista semiotico essa nasce con le prime intenzioni di comunicare qualcosa a qualcun altro (uno stare per l'informazione che si vuole offrire, in un formato rilevante e riconoscibile, talvolta ciclico o seriale, talvolta unico e inconfondibile). La retorica e le forme successive di thesaurus hanno permesso di pianificare alcuni aspetti, riducendo le forme di ridondanza delle sistematiche adibite allo scopo di comunicare in modo autonomo, sperimentale, empirico e indipendente. Con lo sviluppo delle scienze moderne la scrittura ha subito alcuni processi di adeguazione alle forme esatte, benché dallo status abbastanza vario (geometria) di sistemi complessi e speculari, riflessi tra loro e dotati di rispondenze significative paragonabili ad alcune articolazioni del linguaggio, quindi controllabili da ogni punto di vista ed omogenee. Sono state nel corso dei secoli le prime Scuole filosofiche o Università a darsi dei canoni di scrittura, non sempre efficacemente inclusivi, che rispondevano all'esigenza del linguaggio di autoverificarsi in itinere, convocativamente, nel bel mezzo della processualità e della elaborazione in vista di un processo altrettanto complesso di ascolto o ricezione.
Dubbi permangono su due fronti: uno legato alla confluenza della demotica nella nel tentativo di dare una scrittura uniforme dei manoscritti (per cui si parlerebbe di una scuola palatina) - l'altra dello schematismo, la componente più astratta della semiotica che riveste un'importanza tipologica essenziale per il significato che assume di schema presemiotico (prospettiva cavagliera per esempio, dualistica e storicizzata) sia, psicologi permettendo o semiotici evolutivi, di concezione presemitoica della metacognizione proprio come forma di regolazione funzionale alla conoscenza dell'oggetto, che come osservava Fabbri all'università di Bologna, non sarebbe più data da un gioco a salti, ma di una sorta di mossa connessa alla possibilità di contatto con gli oggetti, di presa. Non di meno, puntualizzava, porterebbe la dimensione tattile in una sfera più specifica della congnizione. Non è un caso dunque che rilette le configurazioni sensibili, siano investite di una misurabilità e proporzione, forse leggibile anche nei calcoli più sofisticati dei Greci: sezione aurea non sarebbe quindi che quel vestibolo di sperimentalità, di percorribilità aggiuntiva di un fenomeno o di un dato, per ricomporre una percezione prossemica oggettiva: "giustezza". Nell'ambito delle scritture è stato infine messo anche il montaggio, il collage e l'arte cosiddetta concreta o poesia concreta, che con i caratteri ha cercato di studiare tutti i tipi di restituzione poetica. Nonostante il confine con una semitoica dell'Io qui sia costituito, come ben sappiamo, da un ambito propositivo e riparatorio ormai anche biosemiotico, la scrittura resta un momento inprescindibile per qualunque forma di espressione e ricerca delle forme di produzione di senso. Non è infatti improbabile trovare come in Chiara Frugoni, chi paragona, le metope della cattedrale di Modena ad uno stile corsivo o ad una grammatica del visivo, o chi nella lunga tradizione dei sarcofagi, non abbia individuato quel rapporto con lo sfondo che altro non è che il supporto della pagina. Insomma i confini tra una pittura descrittiva, un'architettura e una scultura dotata di una sua semiotica, spesso puntuale e la scrittura costituita di una sorta di spartito cognitvamente stabile: sono aspetti di una civiltà che ha messo radici profonde nel segno. Vari studiosi delle scritture cosiddette iconiche hanno dimostrato persino elementi di datazione, di coordinazione funzionale al dia-logo. Ora resta solo da rintracciare anche una storia dell'urbanistica basata sulla conchiglia come catalogo coordinata con uno sviluppo sensibile e il Nemex passerà alla storia zonale; forse l'ombra lunga gettata dal monopolio computazionale sarà finalmente rigettata per sempre o invece costituirà un nuovo modo per scompaginare gli errori inserendo parole chiave innovative e fondate - vittoria del sensibile in senso empirico, ma anche dell'orizzonte del linguaggio, dei dati atmosferici e del ruolo attivo dei sensi nella costruzione, nell'architettura del linguaggio.

La scrittura scientifica, in parte, può essere paragonata alle fasi evolutive della psicologia del soggetto e diviene per certi versi operazionale ed impegnata (si pensi al bel testo critico-scientifico della Lucia Mason sulla metacognizione) e quindi apertamente valutativa nella difesa equa della tesi sistematizzata (approccio tema - rema) con l'apporto di categorie filosofiche note. È vero che difficilmente gli pscicologi ovvierebbero alla restituzione rovesciata dei sistemi, per loro, come per certi aspetti della cosiddetta analisi semiotica, le operazioni vengono viste come in controluce, come in trasparenza - la teoria degli insiemi viene usata all'opposto - così per introdurre un elemento ateletico, nella tesi ho proposto una sorta di esercizio sull'asta - la presa sull'estensione me il ruolo dei subcontrari sull'asse delle y, una storia fondata sui propri soggetti (già pensava J. Fontanille). Questo scarto non è sempre accettato dagli scienziati che rispettano la vocazione della semplicità delle norme o leggi e che in virtù del medesimo principio empirico della descrizione preferiscono non il bustrofedico ma lo statuto lineare del discorso. Tuttavia spesso gli storici, dovendo rintracciare una teoria e vedere se è corretta, al concetto, alla verifica storica, giugnon solo alla fine, quando la teoria è provata dalla sua logica interna. Restano così spesso da verificare virtù poetiche o metriche ancorate a certi limiti spaziosi, a certe fughe delle interfacce di alcuni spazi (si ricordi i coretti di Giotto nella Cappella degli Scrovegni), la musica e la rima visiva, coerenti con lo spazio visto o percepito come vissuto? Certo è l'altare in tal contesto il pivot, ma non di meno il viso ha un aspetto, un ruolo. Con questo dal mio punto di vista, non si impone una metacognizione ma un certo stile che permea l'astrazione che solo poi è riconosciuto come naturale - quindi metasemiotico perché richiede un punto di vista sulla storia e sulla teoria simultaneamente.
In altri contesti forse una gerarchia di valori e di azioni che si sostituisce alla parola e alla chiarezza sembrano artifici semplificativi o forzature, se prive di concetti dinamici. Certo il termine "chiaro" già storicizzato di per sé, offre alla costituzionalità chiastica spazi ambiti persino alla biologia genetica. Non è, di nuovo, un caso, che si tratti di un intreccio di valori sottoposto alla regola di una percezione equa.

Una sperimentazione letteraria e saggistica insieme, oltre che efficace ed eccellente (è stato variamente tradotto e adattato intersemioticamente (teoria della traduzione, Roman Jakbson) pressoché in tutte le lingue e formati, dal cinema alla danza, dall'illustrazione alla musica), è quella di Italo Calvino che nelle Lezioni Americane per le Norton Lectures, in Collezioni di sabbia, in Mondo scritto e non scritto, oltre alla saggistica vera e propria e alla sperimentazione novellistica, ha dedicato al formato della scrittura un'attenzione enciclopedica sistematica. Ma si pensi al ruolo della riflessione - al logos trasformato in pietra sopra. Per somiglianza e chiarezza si potrebbe rinviare al «sistema Greimasiano» (ovvero il percorso generativo di Algirdas Jacques Greimas) ai contributi sull'intelligibilità di Francois Rastier, non di meno al sistema di Umberto Eco, in grado di offrire una sorta di "cattedrale" filosofica dell'odierna science of writing. Esistono prototipie esemplari: Charles Sander Peirce forse sulla scorta della prima scrittura iconica e ideografica poi geroglifica applica un sistema non orientato sinistra-destra, convenzionalmente, di scrittura-lettura già alla fine del XIX secolo, quando con una mossa di liberalizzazione delle scienze umane, unisce i presupposti della meterologia, della cartografia e della tesaurizzazione di informazioni da parte di un sistema intelligente - forse sulla scorta della riscoperta della cultura egizia. Si tratta, crediamo, del primo impulso al riconoscimento di una intelligenza, una senzienza, non solo umana, e quindi animale, complessa basata sull'esperienza e sulla ripetizione non casuale di esperimenti: in nuce - la nascita stessa di una forma di generazione - atta a comunicare e trasmettere informazione regolata da un certo tipo di processualità, che si è data un sistema chiaro e articolato all'interno delle relazioni logiche esprimibili. Il segno "uomo" compreso tra lingue diverse, potrebbe essere pensato, come primo denotato riflessivo, una scrittura scientifico-filosofica, un'impronta non casuale sulla variegata strada della rielaborazione dei grafi. Vedi anche regole di pertinenza e adeguazione e ne La svolta semiotica dove si specificano i rispettivi ruoli di deissi e anafore nel discorso produttivo di senso (Paolo Fabbri)o al modo di dichiarare il concetto proveniente dalla retorica (enargeia) pur con direzioni di ricerca letterarie e cinematografiche, pittoriche e musicali, intersemiotiche e metatassonomiche, da parte di Jacques Fontanille: Des mondes de lumière e nella collezione di scritti a cura di Lucia corrain Leggere l'opera d'arte II, Bologna, Esculapio, 1994; per non parlare di alcuni degli scritti di Omar Calabrese nell'Eloquio del senso dedicato a Paolo Fabbri e alle sue affiliazioni studentesche, per quanto concerne chi scrive, dove tesi e sintesi sembrano oggetti di un libero gioco condotto da un soggetto in sviluppo continuo, sulla dimensione e misura della mise en page in analisi.

Possono essere citati il Derridda di Écriture et difference - Fausto Colombo, L'ipertesto - Jay Bolter de Lo spazio della scrittura e per considerazioni più editoriali il francese Gerard Genette di Soglie, piuttosto che altri testi più speditamente narrativi tra traduzione e narrazione (Ricoeur, Todorov, Valery). Le bibliografie di questi approcci sistematici non dissimili alla linea strutturalista ne indagano aspetti normativi anche consuetudinari, talvolta stringendo le proprie arie amicali a territori diversi dall'arte all'architettura al testo narrativo illustrato - che per un estetica contemporanea sulla soglia del contemporaneo, avrebbe un filosofo come Jean Marie Guyau (testo introduttivo di Contini per la Clueb). In altri mari, per un gusto post guerre fredde o calde che siano - sarebbe meglio tornare a guardare quei domini delle arti tra sconfinamenti e ritorni di "specchi" di un inconscio ben più radicato nello stile - dall'Informale all'Astrazione Opaca, con innesti di tipografia, sia concreta che più poetica e libera, passando per un concetto di avanguardia non del tutto bellico: can che abbaia non morde! Un genere di "vento", questo, che ha favorito la nascita di movimenti poetici spontanei pur retti, sempre più, da veri manifesti costitutivi organici. Da non dimenticare come la lettertura, il libro popolare, abbia creato lo stile di strada divenendo letteratura di strada ha messo in pubblico dominio un'attenzione civica molto più interessante di quello che sembra - e non ci sarebbe alcun sviluppo occidentale, forse, senza l'innovazione letteraria - altro che guerre di fondazione! Se l'ingegneria servisse all'ecologia, i nostri mari sarebbero più puliti senz'altro!

mercoledì 4 novembre 2009

new-given news da Cahier du cinema - forum

Between visible and invisible
THE DEPARTED
By Martin Scorsese


Cathedral in the desert of the forms of pedagogically-correct, poetical and absurd, at the border of the Saint Agostinian confessions, may at times prickle dilating the run of the screen with its sharp edges, camera lucida, existential and splatter blueberry juice (or cassis?) – but there’s no trace of the egocentric suspension of belief of Pulp Fiction. A deliberated trial on inter-subjectivity within the tale, released with rhythm, brutal sense of the thing, hidden here and there, a part. Logarithm à l’écran, that makes its callow youth as a film barber, with violins and garages, neoreal_retrò. To the boundaries of Miles Davis, èscalier pour l’echafaud, musics disappears in the archi-text-cinema and you perceive only the skinned darks of the bass drum of Nicholson. Amabile gesture of challenge, that seems to enhance light and darks of the black comedy, but to Maupassant, as everything, in the end, chapters at it’s own tempo, like every ludicrous, odious of crime.
Within visibility and unvisibility, fixed vanitas or moving fugue, DiCaprio merges like the guardian of taboos of our next generation, while Damon seems to grab heavily his Hessian etymon. Differences that may fit in a film tool-bag for the next five years.

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Just few days later I've seen Dejavù,Tony Scott film and it was frightening how it seemd like it came from the same bakery... the same lab or closer as efforts of modelisation and as screen theory. It sounded, in a certain manner more spiritual - and the accent seemed well matched to garantee a certain cooperation - You can't think how I was delighted by the fact that photography-media is gaining such a curious theoretical attention now that we all seem to be drawning by pixels... even as teachers in schools!!! where You can't expect to be defended by a minor and his cell...in case of adeversity of whatever kind...and is curious because I thought it should have been my task! here is the world! these youths that transcend a part to understand the other!

About the film I would say:
Une semiotique tensive du pixel qui parle la langue des anges...!

venerdì 11 settembre 2009

Nicholas Cage - Knowing

Curioso è dire poco - da rivedere di certo - la cosa strana è che si sente nell'aria la domanda: poteva essere peggio di così? - e un vago: un tranquillo film di scienze indicato per tutti - Strano a dirsi per un film che dovrebbe essere canonicamente esagerato - insomma come ci siete riusciti a tenervi nei margini? Tutto è ricondotto al linguaggio naturale, persino i cosidetti segni, sono sempre comunque restituiti, tra le cose più carine, nel lessico famigliare e poi come se fossero al massimo artificiali nel linguaggio fantasy dell'animazione: comprende il movimento e lo anticipa - in un gioco rassicurante di una cosa sola per sempre... e sarà - scaramantico! e affettivo! per sempre... come l'amicizia. La cosa buffa, drole è quel labiale (mi sono chiesta se Nicholas parlasse il francese qui e là e poi in un inquadratura sulle sue labbra, se suonasse il clarinetto o il sax qualche volta) che sfiora quà e là un'assenza di provincialismo - come se il film cercasse di essere "un corso" di filosofia da camera: come dire poi meglio di così di non prendersela troppo per tutti i cabalisti etc. forse non dormono tanto bene, o magari vanno alla toilette un giorno si e uno no. Senza contare che l'anima magari si rispecchia in modo asimmetrico come il dna ellitticamente, per chi ci crede nel parallelismo. Catastrofi alla René Thom che noi conosciamo anche attraverso Omar Calabrese (Il linguaggio dell'arte) poi Jean Petitot, tenute sul filo del rasoio del discorso (e centra un po'anche Hoccam) ma la mia è ironia (tra codice a barre e Mr Cage - ci vedrei anche qualche griglia culturale per una semiotica degli stili un po' contro la banale o stucchevole ripetizione), che adesso diventano una piccola filosofia portatile per il messaggio dal futuro di un cervello operativo-generativo che sta altrove. Non riesci a ridere solo perché non puoi piangere se quello che è successo effettivamente è vero e quello che succederà è abbastanza possibile e ce l'hanno raccontato già alle elementari - rideresti se dal freddo o dalla paura scampassi a brucia pelo una situazione simile. La sensazione che l'umanità in un punto o l'altro scopra la propria indefinitezza - è già un punto.

Osservazioni: ottimo taccuino di ricerca per chi volesse prenderlo come un esercizio di stile alla Quenau, tanto che il film potrebbe essere rimixato con elementi anche più distaccati o passatisti e probabilmente avrebbe solo qualche variazione di gusto tra ateismo smaccato e filosfia della scienza subrealista: quella insomma della persona comune che ha i suoi post quotidiani da rispettare, film che dura poco forse a causa di un finale troppo angelico che quasi nemmeno gli attori contengono completamente la tensione tra essere "doc-doc" ed essere guidati da fantasmini - ma d'altra parte... ah bellissime le querce e l'albero bianco alla fine.

Volevo dire qualcosa sugli ambienti che trovo abbastanza irresistibili - negli interni, per gusto: certi rimescoli di Romanico nell'architettura della casa - quell'aspetto floreale nelle decorazioni del tetto in facciata, che ricorda le chiese romaniche che avevano vicino il cimitero - (chi conosce un po' l'archeologia preistorica maltese o della Sardegna sa cosa intendo) - ma che resta abbastanza polisemico per essere un trivio - insomma mi sembra un film che riesce a ricucire in sintesi alcune cose benissimo - e poi infila incontri che sfiorano la banalità mentre assumono un volto ignoto: ti ricorda quanto facilmente sembra di conoscere qualcuno e quanto altrettanto rapidamente ci si dovrebbe ricordare che non è poi così vero... insomma un registro da chat story e uno molto più profondo da scrittura manoscritta ed emanuense. E questo credo sia un buon risultato e forse un metodo imprevedibile ma abbastanza narrativo in sé - dialogico. Così con uno sguardo a secco, l'affresco non si vede che forse in qualche impercettibile momento e si è nel dubbio, la percezione è di una sorta di spessore dissimulato, lasciato emergere quà e là: con certi piccoli guasti retorici non ci si fa nulla: meglio quella aperta analogia del sé. A volte, a vedere com'è una famiglia di un single ci si direbbe - dove hai messo lo scaccia chiodo - ma non ci sono vetrine per le gazzelle da biblioteca: il processo delle idee è una sorta di cristallizazione indefinita che puoi amare o lasciare. Eccetto quell'accelerazione un po' invadente del solitario che cerca una perfezione tra le corrispondenze accartocciate. Non c'è il peso dell'autobiografia - solo il velo del "così come sarebbe"? Lascia uno spazio nell'anticamera del discorso successivo, come un buon commensale che non strafà mai a cena.

A proposito della "roba" di Lucilla - l'horror trattenuto dalla disperazione umana più immediata: voler sapere e voler comunicare anche se non si capisce ancora nulla - le due E rovesciate alla fine facevano pensare a mille scenari possibili che comprendevano una AT o una AL (l'intelligenza costruenda, architettonica o quella linguistica, talvolta decostruttiva)- forse una e-mail - un'emboittement di quelli visti nei documentari sumeri, una email cloisonné - un regolo aristotelico modificato in modello operativo da C.S. Peirce, per poi scoprire che il sistema delle proporzioni che soddisfa la regola dell'umanesimo filosofico e antropologico è dato dal timore di giocare con il fuoco, il sistema dell'I-Ching che con il 32 si rovescia ma poi arriva al 63 e ti avverte che si rovescerà la clessidra di nuovo, è comunque in sessantaquattresimi. bug

Basta ritornare un po' bambini per accorgersene. Il mio voto è dieci e lode - per l'ironia e la capacità di ricucire con semplicità un sacco di pattern possibili. Bastava un po' di più di fantasy stucchevole e credo sarebbe diventato un polpettone per qualche setta - invece è rimasto in un limite accessibile - all'idea autoriflessiva di cinema come lanterna luminosa, come lampada sul discorso veridittivo.

Ho detto troppo - non sarei riuscita a trovare una soluzione più efficace allo stesso problema - spero che non ne voglia male ti dico grazie per l'interpretazione.

Grazie e ciao!

@

venerdì 21 agosto 2009

set sides stories - i nuovi sguardi di Simone Annichiarico in tv

Grazie per i tuoi affascinanti paesaggi delle meraviglie, per la tua stanza delle meraviglie che sembra uno studiolo - credo che fai innamorare la gente dell'Italia - e riscoprire di avere un cuore per le cose belle e sincere!
Non demordere!

Forse la ricerca potrebbe darci risposte e tentare di proporre altre soluzioni sulla depurazione del Mediterraneo e sarebbe rispettosa verso la tutela dell'ambiente come patrimonio collettivo: un unione dei paesi del Mediteraneo potrebbe essere utile anche per questo genere di progetti oltre che per garantire stabilità e pace in altri ordini di situazioni politiche e commerciali.
Scusate la materialità del discorso ma è da qualche anno che sto riscrivendo una voce denigrata della cultura romana - "utilitarismo" in storia dell'arte, forse anche perché da Baxandall, ricercatore Inglese, che ha studiato a Cambridge e poi ha studiato l'architettura e l'arte romanica (Giotto e gli umanisti), ha scritto anche un libro meno letterario sulle tipologie di invenzioni come aspetto culturale - Ammiro l'architettura romana, non so quanto debba all'Egitto e credo ancora che ci sia tanto da riscoprire e ricollegare al passato, fuori dalle sole logiche di potere, per amare il Mediterraneo nel senso pragmatico ed estetico che conosciamo. Ma dato che l'unesco ha riconosciuto le montagne, credete che sarà fatto qualcosa per i nostri mari? Io lo spero tantissimo!
Trovo che sia meraviglioso che Simone Annichiarico, figlio d'arte, ci porti sui set dei fim - che abbia il coraggio di restituire l'anima riflessiva di qualche ambiente, come potrebbe fare disvelando un corallo, una stella marina, un rilevo architettonico e scoprire che qualcosa sfiora l'anima - tra cultura e natura - del paesaggio e del sé. Poi adoro letteralmente quelle passeggiate nella città, quasi scoprendo che nel film c'era forse l'anagramma del //la7 dipinto vicino a uno dei negozi - non so se ho visto bene...ne Gli amanti.
Se riscoprendo il Neorealismo si potesse influenzare in qualche modo il desiderio di chi ama il cinema e vuole proteggerne alcuni soggetti dall'inquinamento barbarico, allora sono con te - con lui - perché è un sentimento, non solo un'emozione, una passione sincera. E ti ringrazio di cuore per ogni spunto ed esempio di navigazione possibile.

lunedì 17 agosto 2009

acque chiare e shallow waters

Forse devo rivedere una cosa sul thesaurus possibile di Calvino alle prese con il Fare un film di Fellini, da cui forse prende spunto per scrivere Se una notte d'inverno un viaggiatore o il più piccolo semiologico per quelli di Limoges (NAS) Comment J'ai écrit un de mes romans, ma non ne sono certa che si tratti di guardare sempre nell'acqua profonda, oceanica per trovare le cose che, senso comune o meno, dovrebbero dare risposte. O che sia un piccolo gorgo, o un movimento sur place, come quando una persona riflette in una stanza, rimuginando apertamente. Ho messo shallow - temendo poi che avesse un sentore di bassezza o di superficialità - ma poi si è aperta la finestra delle allusioni che amo di più - trobadoriche sensazioni - come quando raggiungi immediatamente qualcosa che ti arriva alla mente, alla vista, e poi ci sono un sacco di altre cose che non toccheresti mai perché, chissà cosa sono. Shallow - raggiungibili in un occhiata, o che si presentano alla vista come certe reveries, certo il tono potrebbe essere impressionistico, come certe coltivazioni di Monet - serie indefinite di Ninfee - ma quello sguardo raggiunge il velo della città, il suo lucido scandirsi di luci e ombre non è forse talvolta un po' inquieto?


riapparsi da > appunti_comments blog di/a Simone Annichiarico
Ops: trouvé - Italo Calvino, 1980, "Autobiographie d'un spectateur" in Fare un film, di Federco Fellini, Torino, Einaudi. Non so perché mi è rimasto così tanto impresso - era un Calvino diverso che cercava nelle "shallow water" e forse si è immaginato uno sguardo diverso, un thesaurus soggettivo degno di Ceresy-La-Salle. Ma non è una biologia della città - insomma semmai sarà una fisiologia tra arte e disegno letto a distanza - come un progetto visivo: un corpo onirico, fantastico, sillabico appunto! Telepate, pieno di affetto e affezioni - disciolti poeticamente - lucidamente come in 8 e mezzo, no? Comunque sei un tipe: non te ne vai mi ca via vero? Ciao. Ta

ps: non ho ancora capito se si tratta del Settizonio o del Settisoglio - comincio ad incuriosirmi (l'incipit passa per Lucia Nuti, un bel libro che dà l'idea di città senza cartografia, proprio come una città che deve essere descritta).

Oggi invece ho visto Ok Nerone e il bello è che mentre finisco di trattare un piccolo frammento su Barthes (idiografia e camera lucida/chiara sono termini suoi usati in Communicatio 8 dove compare anche il Bond di Eco) - passo in rassegna qualche immagine scannerizzata da La Nature del 1893 dove c'è l'hémerographique citato, o almeno una versione abbastanza carina, con una cornice a chassis - la cosa buffa è che nel film deve essere proprio affumicato il vetro con cui Nerone ispeziona i seni delle donne che accompagnano Pompea - non riesco a cogliere il cortocircuito tra sogno e motivo della camera lucida se non con questa concatenazione di aspetti onirici, prossemici, sull'orlo del gioco tra fotografia e sensibile sublimato dalle peripezie. Non so se è giusto citare gli italiani a Parigi come Boldini e de Nissis ma mi incuriosisce anche pensare ai Macchiaioli alla lenes gris che aveva la stessa funzione della camera chiara per questa possbilità di creare un effetto di bassorilievo, poi rintracciabile, o almeno specialmente in Ansel Adams per il lavoro sul cielo e non di meno, tornando invece in clima pre-impressionista, la troviamo usata da Cozens e Constable. Non tralascerei l'idea che Kant la usasse nei suoi studi sulla meterologia e così Peirce, il semiotico americano - più che di un valore medio, si tratta della schematizzazione, come, non voglio esagerare e mi scuso, negli altri chiastici giochi visti nei film (Gli amanti, con Mastroianni). Immagino il gioco con il cognome e lo trovo intessuto di aspirazioni, respiri, sensi possibili che stano alla temporalità come al tutte le forme di ipotiposis - maneggio accurato di scelte: complimenti - anzi no, grazie! Poi è ovvio par di veder scrivere, nelle tue scelte, come se si formassero mentre scorrono giornate in una sorta di attesa su cosa troverai, o come metterai le cose a battaglia, quasi saggiassi un italianissimo Elogio dell'ombra di Tanizaki citando al posto dei testi (eccetto I. Calvino si intende - de Il seno nudo) le mosse degli attori. Il saluto-gesto canonico, di tuo papà, W.Chiari che dice all'attrice di concentrare, di sintetizzare, è già gesto scenico, rinvio, così che la pesantezza e la leggerezza si trovano sul filo di lana della luce (tecnica prospettica che citi) che torna al suo percorso, risvegliandosi o rotolando con improvvisi guizzi. Forse, scusa se mi rivolgo, direttamente, a te Simone A., impressionata e touché, forse perché è un po' che non mi trovo più con un amico semiologo a giocare a rileggere qualche categoria antropomorfa, qualche forma divertente di iconizzazione (e che noia magari, detto così, ma è un'altro discorso che non mollo per un certo gusto delle cose) - a trovarne altri soggetti così cloisonnée da essere incastonamenti prospettici, dovresti farne un libro-film per la tv - non ho mai visto nulla del genere che riesce cognitivamente ad essere divertente e autoriflessivo - è la mia testa a confondersi immagino visto che il mio massimo è Otto e mezzo - come se irrimediabilmente ci trovo, nel Neorealismo, un sistema cinematografico a perla, a concrezione, barocco e tortile - e non riesco a togliermi quella sensazione di mal di mare come quando stai camminando su un labirinto. Tra notitia della città, come dice Lucia Nuti e tessera musiva di cui è intessuta la ricerca di questi film che citi - una sorta di storia del cinema sulla città - è un buonissmo punto di partenza - per pellegrini e per connoisseurs.

martedì 4 agosto 2009

per un dottorato in semiotica dell'arte a distanza

Per un dottorato di semiotica - sulla storia della libertà di ricerca

> un tema dedicato agli studi
SEMIOTICA INTERPRETATIVA e SEMIOTICA GENERATIVA
a confronto sulle problematiche del VISIVO
Proposal_abstract


1. Le origini del confronto
2. Perché della possibilità di punti di vista diversi
3. La società riflessa negli oggetti


Il Novecento sembra aprirsi con una sfida storica in cui, per ciò che concerne i risultati, non ci sono né vinti né vincitori, ma una scienza in divenire. Penso ad una scienza per poterne privilegiare, in linea di massima, gli oggetti: si tratta dell’ambito problematico del visivo che per quanto ne sappiamo è sempre stato oggetto di studio con diversi approcci più o meno finalizzati a rinverdire metodologie di scoperta o soluzioni a problemi reali. Per una scienza del visivo, dunque, non è veramente importante come con esattezza, passo dopo passo, è stata realizzata l’opera ma, credo, quali siano in generale i modi di leggerla. Sono questi in fatti i luoghi di attracco cui partecipano questi due orientamenti semiotici.
Ma ecco qualche concetto. Sulle file della filosofia del linguaggio Umberto Eco scopre l’opportunità di una rivisitazione accurata delle soglie trasmesse ai posteri di una possibile storia dell’iconismo, termine con il quale si designa l’ambito specifico che vorremmo studiare. I primi gesti operativi su tale oggetto sono stati svolti in Opera aperta negli anni ’69-’70, sulle linee percorse attorno all’idea che l’opera avesse una sua costruzione metaforica e in quanto tale fosse interpretabile. Muovendo dagli anni ’70 in poi su quelle che vennero percorse come modalità di produzione segnica, tale costrutto implicito venne articolato sia nelle distinzioni più radicali delle ratio graduate con cui distinguiamo modalità stilistiche (tra le quali ‘tracce’ e ‘campioni’) e le ‘invenzioni’ vere e proprie, ma allo stesso rango di difficoltà interpretativa, per via della ricostruzione dell’oggetto|soggetto impressore, le ‘impronte’. Tuttavia è con il percorso filosofico che si ha accesso a queste soglie e il “segno come differenza”, in Semiotica e filosofia del linguaggio apre alla necessità di articolare le reciproche forme e sostanze dell’espressione e del contenuto, concependo un raccordo, una generale ricapitolazione ipotetica, dello strutturalismo hjelmsleviano sull’istanza interpretativa di origine americana e pragmatica che vede in Charles Sanders Peirce il suo padre fondatore. La distinzione del segno in modalità attraverso le quali conosciamo il segno sono per il semiotico americano “aspettualizzabili” incrociando alcuni termini di base, in «icona, indice, simbolo». “Un segno”, risolvendo così il tratto della somiglianza, “sta per il suo antecedente per alcuni aspetti e capacità”. Peirce mise in rilievo la necessità sia speculativa, credo immanente, della comprensione, che quella della sua produttività in termini di risoluzione, deittica se vogliamo, alla stregua della risoluzione greimasiana, generativa dell’École de Paris. In effetti, la profondità istituita come processo, quasi di comprensione, dei dati della significazione nel processo generativo, garantiva entrambe queste due facoltà: da un lato la convocazione restituisce la sintassi profonda del senso, dall’altro la conversione garantisce della sua adeguazione sul piano figurativo e semantico, in vista dell’enunciazione vera e propria.
Tuttavia per certi aspetti la semiotica generativa ritiene non sia osservabile il segno, immediatamente è così chiarita la necessità di poter contribuire all’intelligibilità di ciò che avviene sotto la superficie del significante in termini di relazioni strutturalmente orientate. I processi abduttivi e inferenziali con i quali comprendiamo e interpretiamo i segni, sono perciò possibili, ma in un certo senso necessitano di una serie di operazioni di riduzione agli elementi e aspetti minimi che restituiscono la rappresentazione del significato nella sua generatività. Eco, in Kant e l’orintorinco, sostiene infine la non incompatibilità delle analisi: si tratta di un di più di senso, di una comprensione qualitativa, non di una mera disposizione di dati lungo questa o quella strategia analitica. Tuttavia le due modalità, le due epistème, interdefiniscono le proprie metodologie a partire da porzioni diverse degli universi di senso. Il dizionario di Greimas e Courtés, del 1979 (tr.it. 1986) fissa in quattro tappe il percorso della teoria al fine di scandagliarne i livelli e garantire la coerenza. Per Peirce, questo processo, appare nel Memoir, dove discute delle più piccole unità di significato possibili a cui giungere, in un certo senso, per meglio gestire i dati, la loro analisi, gli strumenti che ne favoriscono l’accesso; inoltre parla di una sorta di quadrato sempre più piccolo, che serve a ridurre il molteplice in vista di una regola minima sufficientemente generale. Tanto che, leggendo i risultati di una sorta di ibrido tra interpretazione e generazione, nel testo di Jacques Fontanille, Tensivité et signification, alla voce «schema» e al suo modello canonile, mi venne spontaneo di correlare questi approcci sostenendo che forse, da un punto di vista interattivo, fosse possibile leggervi le medesime conseguenze di osservanza del principio empirico dell’analisi: il testo, forse meglio, le forme di testualità possiedono delle strutture di significazione che sono intelligibili e dunque visibili attraverso il loro significante. In questi ultimi decenni, il testo di Eco succitato è del 1997, quello di Fontanille del 1998, l’orientamento più costruttivo è stato quello di cercare più le somiglianze, i contributi positivi, le capacità euristiche, piuttosto che il contrario. L’icona per Eco è e rimane termine complesso quando possiede un valore iponimico [ipoicona – cit. in VISIO] che la configura come categoria e solo in tal senso si ritiene la sua possibilità di risolvere in modo appropriato la correlazione intersoggettiva dei subcontrari. Le origini aristoteliche in Eco e in Greimas, sembrano dunque, come dicevo più sopra, ad una logica passo passo, set by step, una diversa logica per opposizioni, sulla quale, successivamente si apre in maniera interessante il concetto di “sasie” e di esperienza. Vi è un soggetto che partecipa della distribuzione del contenuto e che attraverso tale esperienza condivide perdite e acquisizioni in termini di modalizzazioni dei valori e soprattutto nei termini aspettuali, circa la prossimità e distanza da tali forme della significazione. La sfida sembra doversi svolgere tra la graduale acquisizione della competenza del soggetto e l’orientamento valoriale che in seguito, ne realizzerà alcune modalità in modo regolato alla stregua dell’abito logico finale. Queste negoziazioni non sono asettiche, ma sono veri e propri luoghi di trasformazione dei soggetti e degli oggetti di valore. Ecco come la logica dell’esperienza nella sua componente enunciazionale interviene, da un lato, ristabilendo una sorta di ritmica di partecipatività: la logica della sfida, del duello, contraddittoria per eccellenza, si dispone sulla scelta dei soggetti rispetto alle proprie abilità di riconoscimento degli oggetti di valore o se vogliamo delle categorie da contemplare. Qui si risolvono a mio avviso entrambe le semiotiche: un fondamento etico volto all’estetica e alla sanzione come morale in atto.
Per quanto gli approcci sembrano analizzare momenti diversi, campionamenti appartenenti a diversi tipi d’efficacia, si sono posti entrambi il compito di ricongiungersi negli obiettivi dell’analisi del visivo attraverso strumenti teorici interdefiniti. Nel 1984, Greimas rende pubblico il testo in cui procrastina la fine di un limite nei confronti del visivo ed interpella i cultori della materia e gli scienziati, perché si verifichino le ipotesi su testi visivi concreti “i nostri selvaggi”. Il segno (ora metaforicamente) di un cambiamento epistemologico tuttavia non deve essere azzardato. In realtà sono le nozioni di semi-simbolico, interdefinite a partire dalle semiotiche multiplanari che spinsero in tale direzione di ricerca. Il significante plastico appare dunque sotto l’aspetto delle sue relazioni alla stregua del suo significato. In questi termini, anche se meno radicali, già operava nel 1966 Jakobson, portando a termine alcune analisi sulla trasposizione in tema di traduzione intersemiotica, al cui interno è ravvisabile, se non per il concetto di tratto differenziale distintivo, lo stesso tipo di procedure. È in fatti Hjielmslev (Zinna, A., Versus, 43) a risalire al problema immanente, dal punto di vista filosofico ed estetico oltre che linguistico tracciando così una diversa e nuova soglia di lettura per “figure” minime del contenuto. Ecco dunque che negli anni ’90 un fervente interesse di ricerca attorno al semisimbolico trova la sua ragione. Da un lato le ratio saranno ridefinibili in gradienti permettendo alla semiotica interpretativa un’avvicinamento progressivo ai dati della percezione. Dall’altro la semiotica generativa si trova sul campo l’onere di un’enorme quantità di termini tra astratto e concreto da interdefinire per garantire la coerenza della disciplina.
Nel 1986 gli studiosi di tutta l’Europa che si occupano del visivo collaborarono alla riscrittura, per quelli della Hachette, dell’ambito che oltre al visivo è oggi conosciuto in parte come semiotica del sensibile e che deve a questi primi urgenti rivolgimenti disciplinari il proprio successivo sviluppo. Ma torniamo ai luoghi: l’École de Paris si è articolata in modo talmente ricco e vario da rendere difficile la sua sintetica ricostruzione. Dopo i risultati teorici di Roland Barthes su l’Ovvio e l’ottuso, i Miti d’oggi, Camera chiara, la semiotica si è volta ad una concezione scientifica mirante ad una maggiore efficacia delle sue procedure di esplicitazione. Termini come “figurale”, “figurativo” e “figura”, appaiono oggi come afferenti alle semiotiche pluriplanari tanto quanto le loro origini linguistiche e in certi aspetti ne recuperano, per fare un esempio, alcune forme indicali (anafora, catafora | anaforici, deittici); la direzione dell’analisi quindi non esclude a priori il soggetto, ma minimizza l’ingerenza idiosincratica in vista della migliore e più efficace possibile adesione ai dati. Uno degli altri termini paradigmatici che oggi si trova a competere tra queste due strategie esplicative è il termine «sincretico». U. Eco ne parlò, quasi male, nelle Cinque lezioni morali asserendo di un banale e strumentale uso, praticamente monosemico, da parte del fascismo. Tuttavia in testi, di un certo rigore credo, sia scientifici, che atti alla ricerca, questo problema sembra ricoprire uno dei maggiori ambiti del visivo: differenziare le immagini, coglierne gli aspetti sincretici, ricostruirne le sommation o eventualmente lo statuto inferenziale, ovvero, credo, il rapporto statico e dinamico che genera la testualità e desta la semiosi: lo schema. Eco non aveva tutti i torti, se leggiamo dal punto di vista algebrico matematico i risultati, ma se il punto di vista è quello di cogliere nuovamente, riscoprendone il valore, quella data complessità, allora né la semiotica interpretativa diviene strumentale né quella generativa sarà orientata in modo univoco e dunque il segno ci appare “sotto certi aspetti e capacità” che gli sono propri, con la consapevolezza di gradi di approssimazione.
Il compito tuttavia fin qui sembra chiaro. In realtà la semiotica interpretativa possiede qualcosa in più: il risultato delle operazioni offre un simulacro testuale, una sorta di testo finto, le cui tappe interne corrispondono a quelle lette in analisi, e, a questo punto, sembra, la spiegazione ottiene un elemento in più: diviene fortemente interattiva con il testo-oggetto osservato. È a questo punto forse che occorre cercare cosa è giusto poter dire, l’esempio è tratto dai tratti sincretici di arte rupestre (frequento il Corso della Comunità Europea al Centro Camuno di Studi Preistorici_Corsi integrati di scavo archeologico e manutenzione dei parchi – estate 2002 conferenze internazionali). Infatti penso che trovata la regola di generazione il semiotico debba assolvere squisitamente all’osservanza dei criteri di pertinenza e solo successivamente tentare una risemantizzazione dei criteri, codici estetici con i quali normalmente opera. La mia, forse per brevità, esemplificazione del problema quanto mai vasto, è solo un accenno. Forse è giusto dire che l’interpretazione più che fingere un testo di partenza dovrebbe cercare di permetterci di riscoprire tale testo e in tal senso trasformare le nostre competenze, le nostre abilità di comprensione dei testi visivi. La sola stringa di testo, che ricalca arbitrariamente una sommasion, spesso così pensata come oggetto della semiosi statica non più attualizzabile, non mi permette, credo di scegliere tra il racconto e la comparazione di altri testi. In pratica, per concludere, la semiotica interpretativa si pone in termini di accesso ai sistemi di significazione in modo infinito, potenzialmente, e per ciò è volta soprattutto a contribuire alla formazione di un lettore capace di leggere i testi più antichi e forse ad ipotizzare letture su testi dai codici sconosciuti, là dove la semiotica generativa svolge un altro incessante lavoro sulla pertinenza e l’adeguazione della teoria e all’abbrivio dell’incertezza attraverso il ritaglio e l’opportunità di strumenti più semplici e universali il possibile. In entrambi i casi, l’etica, la responsabilità, sono due compiti che trovano nelle scienze umane un valore più che un interesse.

L’analisi del visivo ha restituito al semiotico la possibilità di leggere gli oggetti senza ridurli sociologicamente a riflessi della cultura, partecipando così in parte a quella stessa vita a cui la semiosis in un certo senso aspira.

venerdì 5 giugno 2009

bad boys and good boys_walking like an egiptian

Sono stata all'inaugurazione della mostra sugli scavi Schiapparelli che è aperta da ieri a Trento al Castello del Buon Consiglio, a proposito di calligrafia ne sono rimasta colpita - ma non saprei dire se il produttore del ductus coincide con quello della dictio ne se il testo sia esente di "partecipazione emotiva". L'organizzazione testuale sembra regolata da atteggiamenti descrittivi diversificati - da comparti relativi alla biografia "oggettiva" - aspetti iconografici che sembrano quelli di un atteggiamento emblematico come di novità / anomalia enunciazionale - un discorso "su la persona e la sua vita", come un - se ne potrebbe dire o direbbe che - che rimane sospeso come per riservarsi uno spazio per restare neutro, obiettivo e infine «equilibrato» nel valutarne il peso (in relazione a colui che commemora). Sorpresa, perché tutto è così fresco, leggibile, logico e non edulcorato da formule ripetitive - si c'è una convenzione ma tutto caso per caso, situazione per situazione con il dovuto rispetto. C'è persino una stele in cui una sacerdotessa sembra ricordare le sue lezioni di storia egiziana - di intercultura - sembra una maestra, ma il corpo assume una posizione che è quasi eccedente il profilo - e sotto, all'altezza delle sue gambe, seduta, una striscia dove riappare il discorso pronominale: la striscia, su di lei, che riguarda solo lei come persona e cosa se ne è detto.
Sorpresa e stregata forse, o ammaliata, perché qualche forma di amuleto l'ho compresa, per la sobrietà della collezione e l'umanità - un signore si era fatto seppellire in un tronco d'albero! era tarlato tanto quanto l'albero. Ci sono dei papiri, con la scrittura rossa e nera, dove veramente sembra più araba che egiziana per una inesperta come me. In effetti probabilmente i frammenti del libro dei morti riporta delle condizioni di soppesamento dell'anima e anche delle parole - non sono certa sulla distanza, cioè che l'impaginazione abbia dei criteri di prossemica e che la penna non sia invece relativa a chi fa la stesura, alla sua "pregnanza" - ma potrebbe anche essere, occorre vedere se queste "metriche" spaziose sono ravvisabili sul profilo pronominale e affettivo. Più c'è presenza di ex voto più c'è embeddment - incassamento - emboitement. Ma se ti lasci guidare a viso a viso trovi da una parte l'envelope, il quadrattino tipico di un'ekphrasis, che destino volendo, per eccellenza promette dinamica, ma potrebbe essere l'opposto; - comunque in un caso la descrizione di una coppia, in un bellissimo sarcofago lapideo (la faccia in stiacciato è di pietra calcarea e a chi sarà sfuggito il confronto con il sarcofato etrusco?), la descrizione biografica iniziale lascia il posto non solo alla descrizione delle azioni, dei fatti (cosa fece), ma quindi alla presentazione cerimoniale sulla stregua di una concezione culturale-geografica. Poi ce n'è uno di un poliziotto, attorno a questo la scalatura bianco e nera mi pare lascia il posto a una scalatura rosso bianca - immagino che il peso del colore abbia un senso - se non ricordo male Dorfles cita un giardino che appare come genesi dove la scalatura è bianco nera (ma pensate che Paolo Uccello ne Il diluvio Universale inserisce sempre questa di scalettatura cromatica, la coincidenza è curiosa quantomeno. Il discorso, come spazio semiotico potrebbe differenziarsi prima nell'essere un abbozzo, fisso, codificato di hypotiposis e poi una descrizione raffinata, dettagliata, che tende ad eccedere, che fa corpo con il ruolo del discorso pronunciato (quella che definiremmo appunto come una finestra potrebbe però essere più profonda e rituale, di accoglimento della famiglia, degli affetti); comunque la seconda certo merita alcuni tratti dell'inventio, l'ultima è sicuramente dedicatoria.
Ho deciso di tornare a dare una seconda sbirciata, volevo controllare alcuni problemi del testo e al ductus testuale - volto davvero alla lettura-ricordo - alla memoria intellettiva. Vorrei davvero lavorare sullo spazio della "pagina" come primo elemento-oggetto di ricerca, è quello in cui riscontro maggiormente una felicità armonica di strumenti culturali e semiotici.
Non avrei mai detto che mi avrebbe affascinato così - sono andava per via del gatto imbalsamato - visto che amo i gatti, ma sono rimasta davvero di stucco: lo scarabeo che fa la cacchina come grumo di un potenziale grado zero iconico - ! Mi ricorda un nomignolo che utilizzavo a scuola per definire una persona simpatica: cacchina pelosa di mosca rosa..., temo di aver definito così anche JF una volta, ma non è un insulto. Sembra che la semiotica francese sia invasata dall'Egitto mania e temo che li seguirò in cordata - è come se fossi rimasta a bocca aperta sul discorso della "pagina" - ma perché mi succede sempre così, anche a Urbino la prima volta che ho fatto una lettura, mi sono voltata verso le immagini che avevo portato, erano definitissime e grandissime, era come se le ri-vedessi veramente, come se fossero visibili realmente solo in quel momento in un certo modo.

Dopo la visita il solito pétit delire quasi incolmabile della fascinazione. Mi sono venute le barzellette. Quasi uno sfogo per divertissement - niente davvero di serio. I soliti classici internazionali dei tre o quattro buffi!
C'è un egiziano che ha chiesto ad un arabo un preventivo per la costruzione della sua casa a due piani. Arriva l'arabo con le misure perfette e l'egiziano si accorge che ha fatto il gabinetto sopra la cucina e gli dice sventolando il dito per aria "non sono mica il suo scarabeo"! e l'arabo incredulo tira fuori una ciabatta "starai mica scherzando"! in tanto lì c'è un cugino di suo zio, che abita in Israele e fa le vacanze "noi abbiamo diviso i due lavandini, così nessuno può lamentarsi" - di lì la carne e di là il resto; l'egiziano lo guarda strabigliato - nel mentre un cugino di terzo grado italiano che ha assistito alla scena, mumbling mumbling, rimbrotta "non te la farai mica in braghe per così poco!". I due lo guardano pensando uno se è pazzo e l'altro se ha le stravergole storte; l'arabo spiega come rimediare connettendo grossomodo i tubi. Ma c'è un evento imprevisto: alla fiera del mobile c'è uno stand di cinesi che adottano il feng shui letteralmente - l'egiziano va a chiedere se ha fatto bene a lamentarsi della posizione della cucina rispetto al bagno sopra - e il cinese "dipende da dove metti la testa"... ops, forse non ci capiranno più niente! Adoro l'ammobiliamento della casa. Ma non avevano detto che non bevevano?

senza contenuto

si parla di Rotchko?

allora lo conosciamo

senza contenuto, senza disegno
all'estreme conseguenze, senza vita
resta una finestra, non di meno
da dove passa qualche cosa
qualcosa che non è senza luce
anche se l'ultima sembra un'esalazione
qualcosa resta
senza volto, senza continuum?
grana sottile e comunque pesante abbastanza
di un genere del discorso
che spoglia le strategie
da se stesse, liberando ellitticamente
il significato

aura o patina
anima

a J. Fontanille - Impression Les levers de soleil de Marcel Proust

Cito questo pezzo per una questione o due: l'idea di continuo e di disegno sotto forma di hypotiposis - fissa, immagine dal basso valore cinetico, animata, resa schematicamente con un passaggio di elementi e oggetti che restano così ad un grado minimo della presa: si tratterebbe di frame aspettuale dove l'incoatività non di meno segna il punto della deriva; di negativo, in cui tuttavia non si confonde la decadenza con la rinascita; di corsa, all'assemblaggio di un immagine unitaria: fragments intermittents - vue totale. (Proust, 1954, p. 240)

Les levers de soleil sont un accompagnement des longs voyage en chemins de fer, comme les oeufs durs, les journaux illustrés, les jeux des cartes, les rivières où des barques s'évertuents sans avancer. A un moment où je dénombrais les pensée qui avaient rempli mon ésprit pendant les minutes précédentes, pour me rendre compte si je venais ou non de dormir (et où l'incertitude même qui me faisait poser la question était en train de me fournir une réponse affirmative), dans le carreau de la fenêtre, au-dessous d'un petit bois noir, je vis de nuages échancrés dont le doux duvet était d'un rose fixé, mort, qui ne changera plus, comme celui qui teinte les plumes de l'aile qui l'a assimilé au le pastel sur le quel l'a déposé la fantasie de peintre. Mais je sentais qu'au contraire cette couleur n'était ni inertie, ni caprice, mais neccessité et vie. Bientôt s'amoncelèrent derrière elle des réserves de lumière. Elle s'aviva, le ciel devint d'un incarnat que je tâchait, en collant mes eyeux à la vitre, de mieux voir, car je le santais en rapport avec l'existence profonde de la nature, mais la ligne du chemin de fer ayant changé en direction, le train tourna, la scène matinale fut remplacée dans le cadre de la fenêtre par un village nocturne aux toits bleus de clair de lune, avec un lavoir encrassé de la nacre opaline de la nuit, sous un ciel encore semé de toutes ses étoiles, et je me désolais d'avoir perdu ma bande de ciel rose quand je l'aperçus de nouveau, mais rouge cette fois, dans la fenêtre d'en face qu'elle abandonna è un deuxième coude de la voie ferrée; si bien que je passais mon temps à courir d'une fenêtre au lautre pour rapprocher, pour rentoiler les fragmentes intermittents et opposites de mon beau matin écarlate et versatile et en avoir une vue totale et en tableau continu.

J. Fontanille - Soma et Séma: agape - l'ékphrasis - la scène peinte


A l'ombre des jeunes filles en fleures, Marcel Proust (M.Proust, Paris, Gallimard, 1954, p. 229-230)

[...] Ce voyage, on le ferait sans dout aujourd'hui en automobile, croyant le rendre ainsi plus agréable. On verra qu'accompli de cette façon, il serait même, en un sens, plus vrais puisqu'on y suivrait de plus près, dans une intimite plus étroite, les diverses gradations selons lesquelles change la face de la terre. Mais enfin le plasir spécifique du voyage n'èst pas de pouvoir descendre en route et s'arrêter quand on est faitigué, c'est de rendre la difference entre le départ et l'arrivée non pas aussi insensible, mais aussi profonde qu'on peut, de la ressentir dans sa totalité, intacte, telle qu'elle était en nous quand notre imagination nous portait du lieu où nous vivions jusqu'au coeur d'un lieu désiré, en un bond qui nous semblait moin miraculeux parce qu'il franchissait une distance que parce qu'il unissait deux individualités distinctes de la terre, qu'il nous menait d'un nom à un autre nom, et que schématise (mieux qu'une promenade où, comme on débarque où l'on veut, il n'y a guère plus d'arrivée) l'opération mystérieuse qui s'accomplissait dans ces lieux spéciaux, les gares, lesquels ne font presque partie de la ville mais contiennent l'essence de sa personnalité de même que sur un écriteau signalétique elle portent son nom.
Mais en tout genre, notre temps a la manie de vouloir ne montrer les choses qu'avec ce qui les entoure dans la réalité, et par là de soupprimer l'essentiel, l'acte de l'esprit qui les isola d'elle. On " présente " un tableau au milieu de meubles, de bibelots, de tentures de la même époque, fade décor qu'excelle à composer dans les hôtels d'aujourd'hui la maîtresse de maison la plus ignorante la veille, passant maintenent ses journée dans les archives et les bibliothècques, et au milieu duquel le chef d'oeuvre qu'on regarde tout en dînant ne nous donne pas la même enivrante joie qu'on ne doit lui demander que dans une salle de musée, la quelle symbolise bien mieux, par sa nudité et son dépoillement de toutes particularités, les espaces intérieure où l'artiste s'est abstrait pour créer.
Malheuresement ces lieux merveilleux que sont les gares, d'où l'on part pour une destination éloignée, sont aussi des lieux tragiques car si le miracle s'y accomplit grâce auquel les pays qui n'avaient encore d'existence que dans notre pensée vont être ceux au milieu desquels nous vivrons, pour cette raison même il faut renoncer, au sortir de la salle d'atteinte, à retrouver tout à l'heure la chambre familière où l'on était il y a un instant encore. Il faut laisser toute espérance de rentrer coucher chez soi, une fois qu'on s'est décidé à pénétre dans l'antre empesté par où l'on accède au mystere, dans un de ces grands atelier vitrés, comme celui de Saintes-Lazare où j'aillais chercher le train de Belbec, et qui déployait au-dessus de la ville éventrée un des ces immenses ciels crus et gros des menaces amoncelées de drame, parails à certains ciels, d'une modernité presque parisienne, de Mantegna ou de Véronèse, et sous lequel ne pouvait s'accomplir que quelque acte terrible et solennel comme un départ en chemin de fer ou l'érection de la Croix.
[...]

sabato 16 maggio 2009

post tutto! - mart - les jeunes fils en fleures

Non so - ma non è pulviscolo: è fuligine! Impregnata di ossido di carbonio delle fabbriche: come di quelle facce che esprimono tutto come se provenissero dal mondo di McCay o dalle mani timide di un romano travestito da artista rinascimentale... tavolozza graffiante, acida, iper ossessiva. Squadrature d'api, utensili del gusto e cucina di New York mescolata con certi dolcetti viennesi - cremerie?

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