venerdì 16 luglio 2010

relations entre les sciences naturelles et les sciences humaines_15-19 settembre 2008

Rovereto - Palazzo dell'Istruzione | Tra gli altri relaziona Jean Petitot - poi lo incontro sotto la cupola del Mart e curiosamente esce dal gruppo, come la grazia della algoritmica @ e non è difficile pensare che in capo al discorso piuttosto ampio possa aver nutrito qualche curiosità algoritmica anche in questo innesto tra sociologia e cognizione dove l'ambito delle interfacce è vogue-sutura cinematografica-connessione solidale, rara specie. Si parla di soglie, di palinsesti di generosità e di fantasia e credo, potrei affermarlo, che l'ambito strutturale della semiotica su cui si sono sviluppati certi rami, sia quello più creativo della semiotica e delle scienze umane almeno per spirito della condivisione - Petitot ce lo riconferma, basta un effetto di presenza, per far scaturire un discorso, tale che dedichi un resumé sostanzioso poco oltre l'anno - edito da Bombiani, con un suggestivo omaggio a Gobetti.

http://bompiani.rcslibri.corriere.it/libro/6249_per_un_nuovo_illuminismo_petitot.html

Qui non ci resta che il recupero, l'armonizzazione, ma sarà fatto, per qualità della trasparenza del Bene Culturale come semiotica dell'educazione, come continuità di sviluppi, come desiderio di ricerca e forse in qualche misura, di scrittura.
    Cito questa risorsa, che ho frequentato in quei giorni di Settembre, per almeno una curiosità: il pensiero epistemologico, per quanto concerne la storia dell'arte visiva, la storia dell'arte e il disegno come effetto di una rappresentazione, non solo progettuale, ma riflessiva, scioglie alcuni campi dell'ambito deduttivo: uno è quello della generazione di un pensiero generalizzando detto critico, che mantiene con l'oggetto alcune interessanti problematiche (di cui si può occupare a pieno titolo un'analisi del testo filosofico anche in senso logico - insiemistico semplice e quindi diffuso su una problematica tensiva come Fontanille et altri, si direbbe gioco di sguardi, intersezioni tra modalità e modi di intendere, di figurare, nel precisionismo di Peirce, a vocazione egizia probabilmente, il segno per ratio difficilis, di Eco esplicita e lancia un sassolino nell'information tecnology, per innovazione) l'altro risponde solitamente alla questione metodologica della griglia componenziale e semantica in genere, dove a fissare il cuore del discorso, sono le sue stesse declinazioni: ultima esegesi possibile resta quella della sua generazione in un ambito motivazionale, del segno motivato, contestualizzato e culturalizzato che si affaccia, aspettualmente, dignitosamente completo o incompleto, credo, alla restituzione dell'oggetto del discorso. Ma vorrei capire cosa farne di termini come ripresa - riavvio - risalita - quasi coniche, bisbigliate nell'orecchio. No? Oggi non sarebbe tanto sbagliato vederne il seguito nella storia del trilix, del modo proprio dell'oggetto, della rappresentazione in prospettiva.
    Tuttavia sarebbe riduttivo non parlare di una storia dell'arte come scienza naturale in parte, come sua possibile branchia, sia per una storia del paesaggio come bene culturale e oggettivo, pellegrino ed esperanto, protoscientifico in questo, senza cadere nella cosa in sé; sia come geografia storica dell'arte, e si pensi a quando l'architettura angosassone a inglobato la domus paleocristiana e ci si accorge di piste comuni nello sviluppo ma anche di inedite rielaborazioni in itinere (che poc'anzi, alla SSIS, ma grazie a Ferretti del DAMS su Giotto ad Assisi, ho credo voluto assumere queste valenze nella direzione della cartografia, e al primo anno di insegnamento, mi sono rivolta a questo soggetto da cui ho ri-trovato, allora, il mio stesso respiro: un paesaggio di segni, ma ingenuamente come da manuale del regolamente delle regioni - percettivamente per tratteggi essenziali e non ho faticato troppo a ritrasmetterlo, se non sempre con qualche bavaglio economico di troppo nel ricongiungermi ai fattori costitutivi che conosco, non senza concrezioni del gusto descrittivo e chiastico spesso nel montaggio temporale, come insegnerebbe un Barbieri, mentre Romano ne staglia giustamente anche i prodotti riflessivi più costrittivi come il campanile di Firenze - ortograficamente zonale - innesto plastico di valenze meno arbitrarie. Eccoci di nuovo alla storicizzazione necessaria, utile, anche auto-biograficamente se il termine biologico parlasse di ciò che siamo restituirebbe qualche tessitura fine di emancipazione pur negli ostacoli e nelle scelte ingrate.
   Una geografia storica, fatta di stilemi, di modi aspettuali e simbolici-semisimbolici, come risorsa di una selezione culturale svolta sull'ambiente (sistemicamente componibile talvolta per competenze di vario grado come dimostra l'associazione d semiotica visiva IASV) sempre grazie a valenze che si costituiscono a partire da un patrimonio probabilmente anche cognitivo che include le figure del pensiero (e già sarebbe interessante spiegare in che cosa consista, un piano cognitivo non meramente riflessivo, una parentesi necessaria sul dizionario o sul processo inferenziale, che occupa una parte considerevole nella costituzione dell'apprensione, della presa e il mantenimento dell'attenzione sulla configurazione semica dell'oggetto, sia pure discorso che altrove mi sembrava identificarsi con l'accesso teorico e poi sintomaticamente con uno deitanti possibili percorsi più o meno giusti, dell'interpretazione soggettiva, spesso, culturalmente o meno, casualmente o meno, alchemicamente intrisa, impregnata di idiosincrasie, che in genere grazie all'osservazione neutra, cadono come foglie, ammesse al riguardante come impressioni del tempo che fugge) e le figure del discorso le quali se attingono al categorie note, etichette, costruzioni nominalistiche a tutti favorevolemnte note dalla ricchezza potenziale del contenuto lessicale, non di meno, ci diceva Peirce sono soggette ad una valorizzazione anche in senso storico (e per questo vanno rilette), ad un raffinamento con l'esperienza.
In una scala inscindibile dall'apprendimento che è la pratica della conoscenza, ci si chiede se l'epistemologo francese, o Daniele Barbieri, che sembra essere sulla stessa pista, possano parlarci di connessione illuminante: cos'è che fa si che un testo illumini il nostro studio, il nostro percorso di valorizzazione della relazione tra soggetti ed oggetti, se possa dirci, insomma, visto che gli scienziati naturalisti non riescono, a quanto ne sappiamo, da soli a percorrere tutto l'ambito della semiosi, a dirci cosa ne resta dell'appreso, mentre in genere gli storici si, possono dirlo, anzi devono e speso lo fanno batesoniannamente, con grazia, restituendo nell'immediato il segno di un'intima coesione testuale, come fanno i maitre de conference, oppure con il cipiglio della motivazione, come allo scalo del diporto euristico: sei arrivato bene fin qui, ma potresti... Ame piacciono tanto tutte e due le modalità enunciazionali: scorporano partecipativamente, includono l'aula di studio in una risonanza costruttiva della costituzione del sapere, se non è troppo.
    Alcune risposte circa i meccanismi di recupero, di immagazinamento, li abbiamo già scanditi su un problema di modellizzazione che proposto come savoir faire di ambito di studi semiotico-comunicativi, all'IPRASE quest'anno dal Liceo Maffei, potrebbe integrare l'intensione e l'estensione, i gradi di difficoltà, gli inceppi apodittici, gli scarti e forse anche qualche analogia in chiave di modelli precedenti e successivi, etc... e resta per me l'esempio molto bello del test del I corso di Scienze della Comunicazione di Bologna, un must credo come tipologia, dove il frammento di Locke (amato al linguistico e poi rinverdito per chiavi sulla tolleranza all'ISA dove ho concluso le mie tensioni interne di ricerca e di arte estetica grafica) tradotto in molti modi di cui lo studente deve trovare quella buona. La modellizzazione è precipuamente attività dello schema (Levorato, Eco, Kant, Deleuze), e non c'è modo per appropriarsene con un'etichetta qualsiasi; attività simili le abbiamo da una serie piuttosto lunga di tradizioni di studio che attraversono la componente generativa del significato fino alle più recenti scienze cognitive di tradizione non solo aristotelica, ma scientifico plastico-medica, restituiscono il fine, la finalità (kantianamente forse): ovvero in sintesi, solo la corretta valorizzazione bio-storica, permette di non sbagliare la diagnosi, come insegna la vera medicina, e quindi si preoccupano della plasticità della conoscenza, dell'elasticità del linguaggio, grazie alla cultura dei dizionari e delle enciclopedie, delle forme di traduzione e di trasduzione dalla teoria alla pratica, non tanto a doppi legami come certa retorica di matrice psicologica di tempi "freddi" sfruttata a danno degli altri stile pugnalata a Cesare, flatus vocis per situazioni pregne di intrighi, quanto delle relazioni di causa ed effetto e risposta ad una situazione naturale o artificiale, come da tradizione logica, recuperando un nodo fondamentale del Giudizio estetico di Kant. Non so se si tratta anche nel caso del filosofo tedesco di un testo redatto a fini personali, orologio chiastico delle attribuzioni di senso sul testo, di restituzione di una elaborazione filosofica della pragmatica dell'educazione, ma certo lo iato tra teoria e pratica resta uno dei suoi oggetti più interessanti su cui è necessario porre più d'una attenzione e rispetto. A mio avviso, ma è un'opinione, Kant risolve in parte questo iato, sottolinenando come una buona teoria non possa che essere una pratica dignitosa.
    Tornando alle scienze umane, abbiamo componenti che riguardano sia una filosofia della conoscenza che dello spirito, dell'ingegno, della creatività e quindi dell'umanità in senso lato. Possiamo includere tra le voci di cui trattare non solo termini come intensione ed estensione, valide anche per la costruzione dei test di valutazione delle competenze/abilità/contenuti, che strutturate abbastanza finemente nella scuola media superiore e nell'università in pieno sviluppo, possono essere recuperate in modo costruttivo forse anche attraverso il cosiddetto ripasso sistematico di inizio anno o costituire l'exit, un modo per dare spazio al regresso da rivedere davanti a sé, nel montaggio possibile di un momento di rinforzo del giudizio. Recuperare, provavo a costituire il progetto in tal senso, usando un modello che sembrerà strano ma è quello della cupola di Brunelleschi di Santa Maria del Fiore, significa sia percorso attrezzato che faro verso le potenzialità: organizzazione metatestuale, e un po' non lasciar cadere lo spazio semantico che si è costituito davanti ai nostri occhi e valorizzarlo il più possibile. Brunelleschi fa un tamburo circolare ampio, con una molteplicità di finestre. Recuperare è un atto sia intensionale (che assomiglia più alla vela che al tamburo da gran cassa che apre innaugura direzioni pur sempre intensionalmente credo) che un atto estensionale (formalizzando così il raccoglitore si rende fruibile, accessibile di nuovo qualcosa che è già stato detto prima, implicando, quella che più sopra abbiamo rimesso in gioco: la storicizzazione), la scienza naturale, con i suoi orti, potrebbe dirci che al dissodamento di un terreno debba seguire un'attività nutritiva, ma che prima o poi, se l'uso è quello paesistico, il terreno si debba consolidare con radici tanto profonde quanto ancorate a degli scogli solidi ed efficaci.
    Italo Calvino, nato a Cuba, diceva che è così che si invita a rileggere le opere e anche se canonilmente, i classici andrebbero rinverditi specialmente con la ri-traduzione, poiché è la lingua che muta, così come certa storiografia non potrà mai darsi definitiva. La storia dell'arte, analogica e discreta, nella sua possibilità di modelizzarsi sull'opera, ha costituito un ambìto ruolo per secoli: non solo la possibilità della de-scrizione (ékphrasis - quasi un guardare attraverso, oltre la banale superficie delle cose) ma anche quella dell'innovazione terminologica (un po' più ipotipotica e per frasi costitutiva, nella moralità del bozzetto), dell'appropriatezza e adeguatezza del contenuto, la destinano a buona ragione, tra la filosofia della natura e della scienza. Certo se come "storia" si occupasse innanzi tutto del 'godimento di un bene', che non necessariamente è bello o simpatico, ma può avere un valore in senso umano, i più storcono il naso, credendo che fare estetica dell'arte sia "evasione" - che perfetta anlogia con il guardar fuori, aggettare, essere in grado di cogliere le salienze di un problema. Abbiamo appena sondato il problema: la storia dell'arte in quanto intersezione di conoscenze si naturalizza, ma le scienze naturali saprebbero dire altrettanto - ricordo solo un caso in cui uno scientziato anglosassone, scoperto il dna abbia detto che si trattava di una bella forma - Il concetto si compone sulla base di un diritto alla fruizione non solo di un bene, ma dell'informazione relativa ad esso: l'autencità storica tuttavia non si riduce affatto alla fonte, semmai essa sia recuperabile, ma al presente deduttivo e abduttivo deve la sua possibilità di cogliere al meglio quella incredibile sensazione di unicità, con la quale essa custodisce il proposito più elementare nella costituzione di un oggetto, è porsi in relazione con il suo soggetto e con l'ambiente. La storia dell'arte, e tutte le sue derivazioni visuali, forse può restituire la storia ai suoi soggetti (Fontanille): se le si concede la possibilità di ricomporre i piani delle figure del pensiero (piano cognitivo composito e profondo), del discorso (piano pragmatico della distribuzione dei campi semantici articolati), piano delle determinazioni o indici testuali più o meno preferenziali, che riconducono credo a semiotiche diverse come la semiotica semisimbolica (matrix di tutte le teorie delle ombre ad esempio) o simbolica (logico matematica, che tal volta si fonda su una pragmatica del giudizio utopico e quindi serviva a rendere gli universali) e una semiotica complessa, di indubbie articolazioni, dell'ambito del testuale - un po' ri-componendo in modo sempre più costitutivo l'ambito suo proprio. Resta, volevo provare a cogliere l'ultima, quarta, che secondo me non è una semiotica, ma potrei sbagliarmi, la questione esistenziale - è un presupposto. Ma perché l'oggetto, la cosa in sé non può fondare una semiotica e il osggetto invece si? Barbieri dice, in altri termini, ma è lo stesso, che non è senziente. Concordo vivamente che ci debba essere un soggetto per quanto naturale, così però resta l'impronta, un veicolo manierato della passione, un interfaccia del ricordo forse, una sua epidermide astrattiva in germoglio incoativo, a restituirci un allure cui non sappiamo dare spiegazioni. Un esempio: a volte nei nostri tragitti post-traumatici l'oggetto è una carica, meglio una molla che suscita curve sinusoidali, una pila induttiva-conduttiva: basta fermarsi, fare il vuoto e ascoltare e la fotografia emerge chiaramente. A volte nel rimosso ci sono infiltrazioni, ma prima o poi, la genuinità della relazione tra soggetto e oggetto, l'osservazione della proiezione annulla l'anello menzognero - è così che funziona il chiasmo aristotelico - la vince su tutte le questioni - è a questo che serve la psicologia.
    Alla fine di questo post vorrei tornare ad anticipare alcune curiosità - sto finendo un master in informatica della storia medievale, mi sento un po' smarrita per alcuni eventi, ma ci riproverò. accanto al segno ritrovato (plot machine) di Paolo Uccello, sto cercando di dare un'occhiata alla direzioni egizie del testo e della sua messa in prosettiva, duplice, vorrei lavorare sul problema della rigenerazione: quanto insomma faccia bene l'illustrazione e il paesaggio. Spero di cogliere che infine, quanto detto sopra, non è che un modo per parlare dei buffers e delle sistemiche che convergono nel loro buon stato di funzionamento. Un giorno la storia dell'arte sarà una biosemiotica tra le altre e lo studio del segno, la semiotica generale, un'archeologia, ma sin da ora credo che l'attenzione possa esser posta anche in chiave di consegne: una complessità ricevuta.

Con tanto affetto - agli amici.

Per me, credo come per alcune altre persone, la scrittura è l'aria, il disegno il corpo fluttuante di questa. Amo, corrispondentemente, chi ama, nella migliore delle ipotesi, mentre riemergo, è come risonanza.


LES RUINES DE SOU-TAI
des arbustes ont poussé dans les ruines du palais. A présent, la lune de Si-Kiang est la seule danseuse qui évolue dans les salles où glissaient tant e jolies femmes.

LES NUAGES
Le solei se couche. Autour de lui, en robes vertes, en robes violettes, toutes ces favorites, déjà mollement étendues!
dans LE FLUT DE JADE, a cura di Franz Toussaint

giovedì 8 luglio 2010

images|senses|pretextes II

prepost _riflessioni del 18.o6.1o
Il punto del trivio nel quadrivio

Nelle mie escursioni flochiane sulla preistoria (ho fatto alcune equazioni al guazzo di un dolmen, che sembrava una tomba regale, con inscritto il rituale dell'inumazione; tra le altre ricordava il modo di preparare la concia e altrove di lavorare il formaggio) - individuazione grossolana iniziale del genere di discorso - poi da trilix (segno iconologico saussuriano, segno percettivo-schematico logico peirciano, segno come discorso e oggetto narrativo greimasiano), ho intravvisto solo un sistema possibile per la concatenazione dove non c'è che bricolage, sacralizzazione, istruzione, scena.
    Nella mia semplice rappresentazione tre d il segno si sviluppa in direzioni proprie (con-figurazione) ma parte da una base semplice di rapporto con le eccedenze aggiunte del caso con le fisionomie del dato (tematizzazione) - è un'equazione intersemiotica di secondo grado - in cui al freno isotopico del reale, si aggiungono aspetti che Lévi-Strauss chiama 'eccedenze' tra testo/immagine: se da un lato tutto ciò che è profondo e saliente è passibile di infinite intersezioni, la nozione di nodo o di punto obbliga ad una sorta di reticolazione isotopica verificabile (veridittiva). Mentre cercando quindi le soglie della cristallizzazione dell'oggetto narrativo si lavora sulla periodizzazione della mancanza (e sulle conseguenze della menzogna o del tranello, e chissà dove mette l'errore Fontanille, se non nel non sapere incoativo (iniziale) di una abilità, un dover essere modellabile e in modellamento, ovviamente volta a qualunque progetto anche nel pieno di una risorsa creativa), il presemiotico resta nella nebulosa, dove diviene enunciato a suo modo, speranza e rinvio, proiezione e catastrofe apparente di mezzi e strumenti che stanno cominciando a prendere forma. Un esempio ci vorrebbe - di come critica d'arte e semiotica dell'arte convivano a volte come sposi separati a letto per ignote ragioni: entrambe avrebbero l'obbligo di ricostruzione etimologica o filologica, entrame dovrebbero usare griglie funzionali a carpire configurazioni stabilizzate, entrambe dovrebbero possedere una filosofia del diritto virtuosa e non accollare all'oggetto teorico o fisico cose che di fatto non ci sono.
   Se per fare un esempio veneziano colto e un po' repubblichino nel gesto propulsivo, Vedova collima con il senso di Pietà, consapevole, come nel Tondo Doni cui si ispira, di aprire un saggio deonotologico ed epistemologico della pittura italiana (gli americani direbbero coast to coast, e noi da Bellini al disegno Toscano), che il segno temporale, la consecutio, c'è; se, quindi, la demarcazione è ineludibile, 'soggetto' di questa presa, di questo cogliere è proprio lo spazio (nel senso del discorso, della voce dizionariale ed enciclopedica), il suo 'proprio', il contenitore è il continuum, mentre paradossalmente forse la luce (misura dell'atmosferica ineffabilità) ne è il diaframma dissolvente la barriera, giocato in Paolini come replicabilità della rima nel Giovane che guarda Lorenzo Lotto del 1967 - e non dimentichiamoci l'aurea-aureola, dell'oggetto del discorso - altrove connaturata solo al fare estetico, alla curiosità imparziale, misurata, che cerca nell'essenza cava, nella manque, una figurazione diversa dall'apparire omogeneità; poi la soggettività: una concezione della natura strutturata forse.
   Torno al preistorico: è prefigurale? Diciamo di si, va bene. Forse tanto quanto la passione per il paesaggio di un vero fotografo - di un vero pittore. Quando si parla di semiotica nella preistoria occorre sapere che il 'testo' è dato dall'ambiente, dal cosmo, dal rigagnolo di acqua che permette la sopravvivenza ed è per questo che la regola della reciprocità talvolta mette i punti esplicativi in ordine a seconda [più sotto tentiamo di rileggere il pezzo relativo a Silvy citato da Eco nelle lezioni di Harvard, che sembra farci trasalire oltre che per la consistenza del limite da osservare mentre si tenta una buona, la migliore traduzione possibile, per il fatto di riportarci in qualche modo simbolicamente di continuo sulla frons scenae del teatro Palladiano, in versi, ma forse con la marsina regolare (lo smoking) da boccascena, perché non per questioni linguistiche]. Proprio questo singolo complicato congegno dell'imperfetto italiano mi ha fatto pensare: poniamo che invece che sia una questione di descrizione del fare: Eco dice durativo - iterativo come aspetti e giustamente con questo non deve dirci che questo signore, che tutte le sere va a teatro, forse va in scena, perché semmai è il testo che deve dircelo. Allora è proprio l'imperfetto ad instaurare un approccio polemico: non è un'alone di mistero? e certo vedere un signore così elegante, può permetterci infinite illazioni. Se il suo abito, il suo vestito fosse completo, ma la sua vista fosse solo all'ingresso e all'uscita del teatro, sarebbe indizio di una incoatività ineccepibile: siamo solo nell'incipit e nell'exit - d'altra parte nessuno vede, o quasi, l'altro quando calano le luci. Il francese "Je sortais du théâtre où tous les soires Je paraissais aux avant scènes en grande tenue de soupirant" che tradurrei in inglese: "I did get out of the theatre where every evening I did appear to the front scenes in a whispering suit" - lo so la traduzione può sembrare bizzarra, dell'imperfetto, ma a mio avviso possibile per un suggeritore forse per nulla 'affettato'. Eroico (grande tenue), costante (tous les soires) supporto del testo (de soupirant).
   Torniamo al figurale: cosa fa? Il sasso, la roccia immersa nel paesaggio, concrezione graduale e sistemica dell'ambiente che colloquia con un fare che sta emergendo come saper fare, per noi che amiamo la natura talvolta senza capire, non disgiunto dal saper essere, come primo limite alla sopraffazione stessa dell'oggetto. Source et scible du droit naturelle: il pluralismo esplicito di attanti e attori. Poi occorrre capire che la figurazione schematica contestuale (bel termine anche questo circa il supporto), illustrata deve essere studiata a contatto anche con la fotografia, con le 'gomme pane' si ottengono primi calchi piccoli di osservazione sul luogo, e, dà una forma ingenua, ma anche con il pennarello e il lucido molle, si hanno sensazioni sorprendenti del solco mentre con la cera, campioni eventuali del segno lasciato indirizzano verso strumenti raffinati e durevoli: dovete sapere se si tratta di punta di quarzo o metallo (trapano o scalpello?), per discriminare un falso ideologico da un reperto 'convenzionale', portatore di un 'segno', per razionalizzare il campione e poi accostarlo alla dinamica semiotico-storica veridittiva dove diviene semiosi.
   Il concetto di congiunzione, quindi: questa non va vista come operazione ma come contenuto concettuale, posta assiomaticamente, sistemicamente - memoria continua, credo possibile nell'oggetto (museografia, design, industrie), potenziale solo nel soggetto: se per astrazione indichiamo un processo astrattivo, astraente, non di meno questo aspetto potrebbe essere contestualizzato. Torniamo all'eccedente, per un momento, se il gabbiano vola non è un rema (Livingstone lo sapeva 'immaginando il senso del luogo'): se il guerriero salta da una roccia ad un'altra si. Lo sapevano già i romani con l'invenzione del quadro di III stile. Il salto è storia, l'ovvio è illustrazione - sono regimi di senso che qualificano l'eroico concettuale disgiunto da qualunque particolare mero accidente e l'estetico basato puramente da relazioni spaziali e schematiche; insomma mentre l'illustrazione si incatena ad una configurazione al massimo paesistica, epica benché trasposizione per garadi di invenzione (ci viene in mente Renato Guttuso che illustra Una Vita di Vittorini con quel segno limpido, quasi a giocare al ton gris), l'eroe segna il passaggio lasciando una traccia di inventio, rendendo 'soggetto' il luogo_ sinechismo eccellente. Una grammatica bell'e pronta per divenire loquace ed eloquente brusio, lavorio di forme. Se la storia della letteratura non è solo illustrazione all'ora anche la storia dell'arte deve scendere nei casi, credo e sforzarsi di tradurre per comprenderne il miracolo (Proust e Monet) ed ha ragione Marco Bona Castellotti a citare "I passages" de L'Angelus Novus di Benjamin quando parla di Parigi. Se leggiamo Ungaretti, come per Montale, non dobbiamo stupirci che i suoi creti siano molto di più di colore, segno, piano possibile di un fotogramma diverso, ton gris o tush. La poesia diviene il topos di confine (Robert Graves ne è l'esempio limite - come saggista e come poeta è pittore, come voleva Marsciani - non sfugge che il suo guazzo possa essere rima acquosa, cinta metrica del testuale): se lasciare traccia dell'esistere è discorso sulla vita, allora la poesia ne è un riflesso tangibile, la registrazione fedele, la punteggiatura ritmica, la rima causale che garantisce coerenza e coesione dell'Io davanti al luogo ineludibile in cui, compensa la storia qui e ora, con l'eternità immaginabile.
   Aristotele cosa ha a che fare con la preistoria? l'anima di Aristotele è tempo? schema? silhouette? "perimetro del senziente" - vedere Wikipedia alla voce Filosofia del diritto
412b - altri modi per un città oculare tipica dei nostri stilemi informatizzati è - l'occhio di Decartes - envelope - limine? Atto primo di un corpo naturale che ha la vita in potenza: il vedere. Una paratassi complessa che costituisce il differenziale, un po' bizantino, ma più o meno. Più quattro shifters! spostamento, alterazione, diminuzione e accrescimento (traducendo forse Peirce che le ha buttate giù come relazioni prensili - prese - estensione/modificazione/sottrazione/moltiplicazione e complementari algoritmici del movimento), tutte da rimettere alla sola prova qualificante: l'essere umano, l'essere in genere, migliora, si raffina, si assottiglia nella sua capacità di percepire la giustezza di qualcosa, con l'esperienza su oggetti simili e dissimili. Per me, Peirce introduce il concetto di magnifico, come qualcosa di rappresentabile e di coglibile (una scelta oltre l'anedottico) e in questo è molto 'American', come certi quadri di storia giganti, che riprendono immense sequoie, eucaliptus che estendono le chiome fino a carpire forse anche le nuvole...ma poi ci ripensa, si ri-sposa con una francese che coltiva qualche curiosità egiziana, e il "magnifico" diviene segno culturale, estrinseco alla natura, creato dall'uomo per un qualcosa che solo il senso della misura contiene in sé. Quasi una scienza ex voto.