giovedì 8 luglio 2010

images|senses|pretextes II

prepost _riflessioni del 18.o6.1o
Il punto del trivio nel quadrivio

Nelle mie escursioni flochiane sulla preistoria (ho fatto alcune equazioni al guazzo di un dolmen, che sembrava una tomba regale, con inscritto il rituale dell'inumazione; tra le altre ricordava il modo di preparare la concia e altrove di lavorare il formaggio) - individuazione grossolana iniziale del genere di discorso - poi da trilix (segno iconologico saussuriano, segno percettivo-schematico logico peirciano, segno come discorso e oggetto narrativo greimasiano), ho intravvisto solo un sistema possibile per la concatenazione dove non c'è che bricolage, sacralizzazione, istruzione, scena.
    Nella mia semplice rappresentazione tre d il segno si sviluppa in direzioni proprie (con-figurazione) ma parte da una base semplice di rapporto con le eccedenze aggiunte del caso con le fisionomie del dato (tematizzazione) - è un'equazione intersemiotica di secondo grado - in cui al freno isotopico del reale, si aggiungono aspetti che Lévi-Strauss chiama 'eccedenze' tra testo/immagine: se da un lato tutto ciò che è profondo e saliente è passibile di infinite intersezioni, la nozione di nodo o di punto obbliga ad una sorta di reticolazione isotopica verificabile (veridittiva). Mentre cercando quindi le soglie della cristallizzazione dell'oggetto narrativo si lavora sulla periodizzazione della mancanza (e sulle conseguenze della menzogna o del tranello, e chissà dove mette l'errore Fontanille, se non nel non sapere incoativo (iniziale) di una abilità, un dover essere modellabile e in modellamento, ovviamente volta a qualunque progetto anche nel pieno di una risorsa creativa), il presemiotico resta nella nebulosa, dove diviene enunciato a suo modo, speranza e rinvio, proiezione e catastrofe apparente di mezzi e strumenti che stanno cominciando a prendere forma. Un esempio ci vorrebbe - di come critica d'arte e semiotica dell'arte convivano a volte come sposi separati a letto per ignote ragioni: entrambe avrebbero l'obbligo di ricostruzione etimologica o filologica, entrame dovrebbero usare griglie funzionali a carpire configurazioni stabilizzate, entrambe dovrebbero possedere una filosofia del diritto virtuosa e non accollare all'oggetto teorico o fisico cose che di fatto non ci sono.
   Se per fare un esempio veneziano colto e un po' repubblichino nel gesto propulsivo, Vedova collima con il senso di Pietà, consapevole, come nel Tondo Doni cui si ispira, di aprire un saggio deonotologico ed epistemologico della pittura italiana (gli americani direbbero coast to coast, e noi da Bellini al disegno Toscano), che il segno temporale, la consecutio, c'è; se, quindi, la demarcazione è ineludibile, 'soggetto' di questa presa, di questo cogliere è proprio lo spazio (nel senso del discorso, della voce dizionariale ed enciclopedica), il suo 'proprio', il contenitore è il continuum, mentre paradossalmente forse la luce (misura dell'atmosferica ineffabilità) ne è il diaframma dissolvente la barriera, giocato in Paolini come replicabilità della rima nel Giovane che guarda Lorenzo Lotto del 1967 - e non dimentichiamoci l'aurea-aureola, dell'oggetto del discorso - altrove connaturata solo al fare estetico, alla curiosità imparziale, misurata, che cerca nell'essenza cava, nella manque, una figurazione diversa dall'apparire omogeneità; poi la soggettività: una concezione della natura strutturata forse.
   Torno al preistorico: è prefigurale? Diciamo di si, va bene. Forse tanto quanto la passione per il paesaggio di un vero fotografo - di un vero pittore. Quando si parla di semiotica nella preistoria occorre sapere che il 'testo' è dato dall'ambiente, dal cosmo, dal rigagnolo di acqua che permette la sopravvivenza ed è per questo che la regola della reciprocità talvolta mette i punti esplicativi in ordine a seconda [più sotto tentiamo di rileggere il pezzo relativo a Silvy citato da Eco nelle lezioni di Harvard, che sembra farci trasalire oltre che per la consistenza del limite da osservare mentre si tenta una buona, la migliore traduzione possibile, per il fatto di riportarci in qualche modo simbolicamente di continuo sulla frons scenae del teatro Palladiano, in versi, ma forse con la marsina regolare (lo smoking) da boccascena, perché non per questioni linguistiche]. Proprio questo singolo complicato congegno dell'imperfetto italiano mi ha fatto pensare: poniamo che invece che sia una questione di descrizione del fare: Eco dice durativo - iterativo come aspetti e giustamente con questo non deve dirci che questo signore, che tutte le sere va a teatro, forse va in scena, perché semmai è il testo che deve dircelo. Allora è proprio l'imperfetto ad instaurare un approccio polemico: non è un'alone di mistero? e certo vedere un signore così elegante, può permetterci infinite illazioni. Se il suo abito, il suo vestito fosse completo, ma la sua vista fosse solo all'ingresso e all'uscita del teatro, sarebbe indizio di una incoatività ineccepibile: siamo solo nell'incipit e nell'exit - d'altra parte nessuno vede, o quasi, l'altro quando calano le luci. Il francese "Je sortais du théâtre où tous les soires Je paraissais aux avant scènes en grande tenue de soupirant" che tradurrei in inglese: "I did get out of the theatre where every evening I did appear to the front scenes in a whispering suit" - lo so la traduzione può sembrare bizzarra, dell'imperfetto, ma a mio avviso possibile per un suggeritore forse per nulla 'affettato'. Eroico (grande tenue), costante (tous les soires) supporto del testo (de soupirant).
   Torniamo al figurale: cosa fa? Il sasso, la roccia immersa nel paesaggio, concrezione graduale e sistemica dell'ambiente che colloquia con un fare che sta emergendo come saper fare, per noi che amiamo la natura talvolta senza capire, non disgiunto dal saper essere, come primo limite alla sopraffazione stessa dell'oggetto. Source et scible du droit naturelle: il pluralismo esplicito di attanti e attori. Poi occorrre capire che la figurazione schematica contestuale (bel termine anche questo circa il supporto), illustrata deve essere studiata a contatto anche con la fotografia, con le 'gomme pane' si ottengono primi calchi piccoli di osservazione sul luogo, e, dà una forma ingenua, ma anche con il pennarello e il lucido molle, si hanno sensazioni sorprendenti del solco mentre con la cera, campioni eventuali del segno lasciato indirizzano verso strumenti raffinati e durevoli: dovete sapere se si tratta di punta di quarzo o metallo (trapano o scalpello?), per discriminare un falso ideologico da un reperto 'convenzionale', portatore di un 'segno', per razionalizzare il campione e poi accostarlo alla dinamica semiotico-storica veridittiva dove diviene semiosi.
   Il concetto di congiunzione, quindi: questa non va vista come operazione ma come contenuto concettuale, posta assiomaticamente, sistemicamente - memoria continua, credo possibile nell'oggetto (museografia, design, industrie), potenziale solo nel soggetto: se per astrazione indichiamo un processo astrattivo, astraente, non di meno questo aspetto potrebbe essere contestualizzato. Torniamo all'eccedente, per un momento, se il gabbiano vola non è un rema (Livingstone lo sapeva 'immaginando il senso del luogo'): se il guerriero salta da una roccia ad un'altra si. Lo sapevano già i romani con l'invenzione del quadro di III stile. Il salto è storia, l'ovvio è illustrazione - sono regimi di senso che qualificano l'eroico concettuale disgiunto da qualunque particolare mero accidente e l'estetico basato puramente da relazioni spaziali e schematiche; insomma mentre l'illustrazione si incatena ad una configurazione al massimo paesistica, epica benché trasposizione per garadi di invenzione (ci viene in mente Renato Guttuso che illustra Una Vita di Vittorini con quel segno limpido, quasi a giocare al ton gris), l'eroe segna il passaggio lasciando una traccia di inventio, rendendo 'soggetto' il luogo_ sinechismo eccellente. Una grammatica bell'e pronta per divenire loquace ed eloquente brusio, lavorio di forme. Se la storia della letteratura non è solo illustrazione all'ora anche la storia dell'arte deve scendere nei casi, credo e sforzarsi di tradurre per comprenderne il miracolo (Proust e Monet) ed ha ragione Marco Bona Castellotti a citare "I passages" de L'Angelus Novus di Benjamin quando parla di Parigi. Se leggiamo Ungaretti, come per Montale, non dobbiamo stupirci che i suoi creti siano molto di più di colore, segno, piano possibile di un fotogramma diverso, ton gris o tush. La poesia diviene il topos di confine (Robert Graves ne è l'esempio limite - come saggista e come poeta è pittore, come voleva Marsciani - non sfugge che il suo guazzo possa essere rima acquosa, cinta metrica del testuale): se lasciare traccia dell'esistere è discorso sulla vita, allora la poesia ne è un riflesso tangibile, la registrazione fedele, la punteggiatura ritmica, la rima causale che garantisce coerenza e coesione dell'Io davanti al luogo ineludibile in cui, compensa la storia qui e ora, con l'eternità immaginabile.
   Aristotele cosa ha a che fare con la preistoria? l'anima di Aristotele è tempo? schema? silhouette? "perimetro del senziente" - vedere Wikipedia alla voce Filosofia del diritto
412b - altri modi per un città oculare tipica dei nostri stilemi informatizzati è - l'occhio di Decartes - envelope - limine? Atto primo di un corpo naturale che ha la vita in potenza: il vedere. Una paratassi complessa che costituisce il differenziale, un po' bizantino, ma più o meno. Più quattro shifters! spostamento, alterazione, diminuzione e accrescimento (traducendo forse Peirce che le ha buttate giù come relazioni prensili - prese - estensione/modificazione/sottrazione/moltiplicazione e complementari algoritmici del movimento), tutte da rimettere alla sola prova qualificante: l'essere umano, l'essere in genere, migliora, si raffina, si assottiglia nella sua capacità di percepire la giustezza di qualcosa, con l'esperienza su oggetti simili e dissimili. Per me, Peirce introduce il concetto di magnifico, come qualcosa di rappresentabile e di coglibile (una scelta oltre l'anedottico) e in questo è molto 'American', come certi quadri di storia giganti, che riprendono immense sequoie, eucaliptus che estendono le chiome fino a carpire forse anche le nuvole...ma poi ci ripensa, si ri-sposa con una francese che coltiva qualche curiosità egiziana, e il "magnifico" diviene segno culturale, estrinseco alla natura, creato dall'uomo per un qualcosa che solo il senso della misura contiene in sé. Quasi una scienza ex voto.

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