lunedì 17 agosto 2009

acque chiare e shallow waters

Forse devo rivedere una cosa sul thesaurus possibile di Calvino alle prese con il Fare un film di Fellini, da cui forse prende spunto per scrivere Se una notte d'inverno un viaggiatore o il più piccolo semiologico per quelli di Limoges (NAS) Comment J'ai écrit un de mes romans, ma non ne sono certa che si tratti di guardare sempre nell'acqua profonda, oceanica per trovare le cose che, senso comune o meno, dovrebbero dare risposte. O che sia un piccolo gorgo, o un movimento sur place, come quando una persona riflette in una stanza, rimuginando apertamente. Ho messo shallow - temendo poi che avesse un sentore di bassezza o di superficialità - ma poi si è aperta la finestra delle allusioni che amo di più - trobadoriche sensazioni - come quando raggiungi immediatamente qualcosa che ti arriva alla mente, alla vista, e poi ci sono un sacco di altre cose che non toccheresti mai perché, chissà cosa sono. Shallow - raggiungibili in un occhiata, o che si presentano alla vista come certe reveries, certo il tono potrebbe essere impressionistico, come certe coltivazioni di Monet - serie indefinite di Ninfee - ma quello sguardo raggiunge il velo della città, il suo lucido scandirsi di luci e ombre non è forse talvolta un po' inquieto?


riapparsi da > appunti_comments blog di/a Simone Annichiarico
Ops: trouvé - Italo Calvino, 1980, "Autobiographie d'un spectateur" in Fare un film, di Federco Fellini, Torino, Einaudi. Non so perché mi è rimasto così tanto impresso - era un Calvino diverso che cercava nelle "shallow water" e forse si è immaginato uno sguardo diverso, un thesaurus soggettivo degno di Ceresy-La-Salle. Ma non è una biologia della città - insomma semmai sarà una fisiologia tra arte e disegno letto a distanza - come un progetto visivo: un corpo onirico, fantastico, sillabico appunto! Telepate, pieno di affetto e affezioni - disciolti poeticamente - lucidamente come in 8 e mezzo, no? Comunque sei un tipe: non te ne vai mi ca via vero? Ciao. Ta

ps: non ho ancora capito se si tratta del Settizonio o del Settisoglio - comincio ad incuriosirmi (l'incipit passa per Lucia Nuti, un bel libro che dà l'idea di città senza cartografia, proprio come una città che deve essere descritta).

Oggi invece ho visto Ok Nerone e il bello è che mentre finisco di trattare un piccolo frammento su Barthes (idiografia e camera lucida/chiara sono termini suoi usati in Communicatio 8 dove compare anche il Bond di Eco) - passo in rassegna qualche immagine scannerizzata da La Nature del 1893 dove c'è l'hémerographique citato, o almeno una versione abbastanza carina, con una cornice a chassis - la cosa buffa è che nel film deve essere proprio affumicato il vetro con cui Nerone ispeziona i seni delle donne che accompagnano Pompea - non riesco a cogliere il cortocircuito tra sogno e motivo della camera lucida se non con questa concatenazione di aspetti onirici, prossemici, sull'orlo del gioco tra fotografia e sensibile sublimato dalle peripezie. Non so se è giusto citare gli italiani a Parigi come Boldini e de Nissis ma mi incuriosisce anche pensare ai Macchiaioli alla lenes gris che aveva la stessa funzione della camera chiara per questa possbilità di creare un effetto di bassorilievo, poi rintracciabile, o almeno specialmente in Ansel Adams per il lavoro sul cielo e non di meno, tornando invece in clima pre-impressionista, la troviamo usata da Cozens e Constable. Non tralascerei l'idea che Kant la usasse nei suoi studi sulla meterologia e così Peirce, il semiotico americano - più che di un valore medio, si tratta della schematizzazione, come, non voglio esagerare e mi scuso, negli altri chiastici giochi visti nei film (Gli amanti, con Mastroianni). Immagino il gioco con il cognome e lo trovo intessuto di aspirazioni, respiri, sensi possibili che stano alla temporalità come al tutte le forme di ipotiposis - maneggio accurato di scelte: complimenti - anzi no, grazie! Poi è ovvio par di veder scrivere, nelle tue scelte, come se si formassero mentre scorrono giornate in una sorta di attesa su cosa troverai, o come metterai le cose a battaglia, quasi saggiassi un italianissimo Elogio dell'ombra di Tanizaki citando al posto dei testi (eccetto I. Calvino si intende - de Il seno nudo) le mosse degli attori. Il saluto-gesto canonico, di tuo papà, W.Chiari che dice all'attrice di concentrare, di sintetizzare, è già gesto scenico, rinvio, così che la pesantezza e la leggerezza si trovano sul filo di lana della luce (tecnica prospettica che citi) che torna al suo percorso, risvegliandosi o rotolando con improvvisi guizzi. Forse, scusa se mi rivolgo, direttamente, a te Simone A., impressionata e touché, forse perché è un po' che non mi trovo più con un amico semiologo a giocare a rileggere qualche categoria antropomorfa, qualche forma divertente di iconizzazione (e che noia magari, detto così, ma è un'altro discorso che non mollo per un certo gusto delle cose) - a trovarne altri soggetti così cloisonnée da essere incastonamenti prospettici, dovresti farne un libro-film per la tv - non ho mai visto nulla del genere che riesce cognitivamente ad essere divertente e autoriflessivo - è la mia testa a confondersi immagino visto che il mio massimo è Otto e mezzo - come se irrimediabilmente ci trovo, nel Neorealismo, un sistema cinematografico a perla, a concrezione, barocco e tortile - e non riesco a togliermi quella sensazione di mal di mare come quando stai camminando su un labirinto. Tra notitia della città, come dice Lucia Nuti e tessera musiva di cui è intessuta la ricerca di questi film che citi - una sorta di storia del cinema sulla città - è un buonissmo punto di partenza - per pellegrini e per connoisseurs.

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