mercoledì 8 ottobre 2008

Impressionisti al MART

La mostra è qualcosa di interessante, di ecologico. Come se si trattasse di guardare in casa d'altri, ospiti nel caloroso living room dove una donna che assomiglia a Virginia Woolf ci fa ammirare il "suo" impressionismo, quel vivere con l'opera scelta non come fatto casuale ma come ispirazione meno scontata, scelta a condizione che sollecitasse un'attenzione particolare, che rispondesse ad un canone.
Appena mettiamo piede nella mostra, la sensazione di scelta curata emerge sin nei dettagli: il suo impaginato, i suoi colori ricordano un ambito sobrio, quasi da cascina milanese, ritornano echi lombardi anche nel modo di insinuare la grafica, come un livello editoriale che ne accarezza velatamente la squisitezza e si alza dai pavimenti umilmente come primo accesso all'opera - così i passi che senti interno rispondono ad una sensazione di limpida calma - i colori delle opere vi si assimilano come per emergere dall'arredo con una sorta di intenzione estetica creatrice che avviluppa qualunque dubbio per farlo volare nel cestino lontano chissà forse nell'ombra ...
"A me piace quello con la frutta" dico ad una amica - credo perché i colori aciduli si fondono, lasciano parte della loro intensità a vantaggio degli altri, in una soluzione armonica che gradualmente fa emergere un po' della sua maturità critica, solare, mediterranea. Ci sono opere che hanno un gusto etnografico: l'antropologo che ha visto la danza del fuoco, in un estate meravigliosa in qualche villaggio lontano, sembra immergersi nello spessore del ricordo pittorico, per far risalire a quell'opera le sensazioni dimenticate. Appena più in là, ci verrebbero in mente tutti i pensierosi lavori di Bonnard, dove l'aria è satura come se vivessimo una giornata di settembre ancora calda, incapace di raffreddare i sentimenti intensi per ogni aspetto che risulta mosso da un'ansia di vivere e di non perdere nulla dei propri ricordi. Dopo aver letto Proust, si pensa alla capacità dell'autore di inventarsi una ricetta "povera" dell'Impressioniasmo letterario: ti sembra di essere sul treno mentre stai scorrendo un paesaggio lungo la costa e il sole entra debolmente per una nebbia diffusa dal vetro - dopo un po' chiudi gli occhi e vedi in negativo quello stesso sole che si levava al mattino presto, ogni giorno. Proust incanta poi con l'idea, sempre povera quasi astratta del montaggio dei suoi personaggi come se avesse davanti a se il metodo Laban: scheltrini disegnati con la matita, con poche linee che man mano si riempiono di folgoranti descrizioni, e poi concrezioni come se la vecchiaia e la memoria riuscissero ad impastare il ricordo; ed è sempre Proust che stando dalla parte degli Swans, decide come aggrottando però un po' il sopraciglio di darci la storiella di una commessa di casa, qualcosa di più di una badante, mentre preparandosi per l'autunno rovescia e ricuce la giacchetta cerata. Quando l'autore riesce ad usare quello che ha, ciò che gli appartiene nel senso vero del termine, credo che nasca il vero senso della letteratura - da lettera - da quello scrivere operoso che si fa sul tavolino prima di andare a dormire, per la grazia delle amiche che riescono a cogliere lo spirito. Si, potrei dire che della mostra sugli Impressioinisti che il Mart è riuscito a carpire, si insinua una logica di stile persino nella grafica che accompagna l'allestimento... non sai se è doratura o umile sabbia d'oro, o qualcosa di ancora più arcano e mobiliaer come il residuo delle conchiglie raccolte sulla spiaggia... ma si impasta bene il tutto, come nella madelain - certo a sentirci parigini solo con un guizzo proustiano non ci vuole molto, ma il gusto c'è: ce lo prendiamo con il caffé dopo aver ricordato certe opere del '16 di Depero, dove il frame questa volta, la cornice, non è colorata per decoro - è un manifesto - sembra presa dalla legnaia!

A me l'Impressionismo fa pensare alla vecchia Londra degli anni '80 quando, verso il 1986 esprimevo la gioia più curiosa di vivere danzando per la strada, con un vestito da sera lungo di mia nonna e una giacca di camoscio leggera, un paio di scarpe inglesi e la sensazione che tutto il mondo fosse pieno di cose meravigliose. A volte nel dopo lavoro, solitaria per le strade affumicate della zona di London Bridge, dove alcuni archeologi più o meno improvvisati trovano opere di indubbio valore, anche se talvolta minuto, restavo a guardare cosa trovavano, ed erano menete, vasetti, bicchieri argentati lavorati a sbalzo e così ne ho acquistati due piccoli per poche lire. Lavoravo in un pub che sia chiama The Anchor sul Bank Side, e poco distante nel 2000 hanno ricostruito il Globe Theatre. Quel pub del XVII secolo si dice che era pieno di fantasmi, così anche sulla sedia di una certa Miss, non si poteva sedere nessuno. A Londra, con quella sorta di magia delle cose che ritornano tramite la marea, una persona non deve mai perdere la speranza e darsi da fare, significa restare al passo con le cose che cambiano, oltremodo ovunque, repentinamente. Il colore, i mercati, Covent Garden con le sue bellissime forme di arte di strada, d'architettura, scelgono per te: il tuo sguardo non si imoverisce, non si deprime, mai. La sensazione che qualcosa di queste promesse sia mantenuto c'è, anche se poi il turista cerca i simboli delle pagine consumate sui libri di storia - l'ideale è provare a distaccarsi un po' dalle solite pagine e vedere cosa torna - se da un pensiero personale, da un'esperienza che ha lasciato un segno davvero particolare, poi ritorna quel sentimento vero e vivido assime a qulcosa di più profondo, quasi una sorta di immagine di storia, della propria autobiografia, ancorata al proprio divenire, mossa a questo, senz'altro fine che ritornare nella memoria visiva di tutti quegli sguardi vissuti...


prima datazione 15.09.2008

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